UNIVERSITÀ E SCUOLA

Insegnamento e apprendimento in Italia: figli di un Dio minore?

La prima missione dell’università è la didattica, ma sembra proprio che ce ne siamo dimenticati. L’affastellarsi incoerente di leggi, di provvedimenti, di regole e prescrizioni di ogni tipo la stanno infatti relegando in un angolo, rendendola sempre meno centrale ed efficace e sempre più difficile da decifrare, aggiornare e innovare. Gli appelli dell’Unione Europea alla sua modernizzazione sono caduti nel vuoto con un assordante silenzio. 

Modernizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento in Italia? No grazie!

La Commissione Europea ha indetto una Consultazione pubblica sulla modernizzazione della formazione superiore (Public consultation on a renewed Modernisation Agenda for Higher Education in the European Union), aperta il 27 novembre 2015 e ormai chiusa il 29 febbraio 2016. Quale è stato il contributo italiano alla consultazione? Nullo, o quasi. Né risulta che da parte del MIUR sia stata data alcuna informazione, indicazione o sollecitazione a parteciparvi; nessuna informazione è stata data al Cun, nessuna alla Crui o direttamente agli atenei. Il vuoto più assoluto. 

Come è possibile tanta disattenzione? Eppure da diversi anni il tema della modernizzazione della didattica è affrontato molto decisamente dalla Commissione Europea, che lo ha posto tra le priorità della propria agenda, nella convinzione che proprio dalla qualità della formazione superiore dipenderà la crescita, lo sviluppo e la competitività dell’Unione. Per rendersene conto è sufficiente leggere alcuni documenti recenti della Commissione, come ad esempio:

  • Opening up education: innovative teaching and learning for all through new technologies and open educational resource
  • Analysis and mapping of innovative teaching and learning for all through new technologies and open educational resources in Europe
  • Modernisation of Higher Education in Europe - Access, Retention and Employability 2014 - Eurydice Report
  • Improving the quality of teaching and learning in Europe’s higher education institutions: High Level Group on the Modernisation of Higher Education

In particolare il Gruppo di lavoro, incaricato di affrontare il tema della modernizzazione e della qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, nel suo rapporto alla Commissione, sintetizza le proprie conclusioni in 16 raccomandazioni, tra le quali:

  • la Raccomandazione 1 richiama alla necessità di specifici e adeguati finanziamenti per sostenere il miglioramento della qualità della didattica e dell’apprendimento;
  • la Raccomandazione 2 esprime la necessità di stabilire una strategia per migliorare l’insegnamento e l’apprendimento e di attribuire uguale peso a ricerca e didattica;
  • la Raccomandazione 4 indica la necessità di un adeguato addestramento alla didattica per i docenti;
  • la Raccomandazione 5 afferma che il reclutamento e l’avanzamento di carriera devono tenere in debita considerazione la valutazione delle competenze didattiche, assieme ad altri aspetti.
  • la Raccomandazione 6 sostiene la necessità che i meriti dei docenti che danno significativi contribuiti al miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento vadano riconosciuti e premiati.

 Anche nel Comunicato finale della Conferenza interministeriale, tenuta a Yerevan nei giorni 14-15 maggio 2015, il tema del miglioramento della qualità dell’apprendimento e dell’insegnamento è ribadito come impegno prioritario. L’Unione Europea attribuisce dunque grandissima rilevanza alla qualità della formazione superiore, perché vi è la consapevolezza che da essa dipendono le conoscenze e le competenze dei suoi cittadini di domani e quindi la sua stessa competitività.

L’irrilevanza della didattica in Italia

E in Italia cosa si è fatto e cosa si sta facendo? Poco o nulla! Con la legge Gelmini, i suoi decreti attuativi e con gli ulteriori provvedimenti adottati successivamente si è infatti andato consolidando un quadro normativo decisamente sfavorevole allo sviluppo e alla valorizzazione di una didattica di qualità, assai distante, quando non chiaramente divergente, rispetto agli indirizzi Europei. La legge, infatti, concentra e polarizza tutta la sua attenzione sull’attività di ricerca, mentre la didattica, come figlia di un dio minore, è marginale, irrilevante e resa estranea rispetto agli stessi interessi dei docenti, dei dipartimenti e degli atenei.

I temi della qualità della didattica, della sua modernizzazione e della formazione alla docenza sono pressoché ignorati dal legislatore, che pare avere ampiamente sottovalutato gli effetti negativi che derivano da un impianto normativo molto sbilanciato, che penalizza e talora perfino ostacola lo svilupparsi di una didattica di qualità; in particolare:

  • la didattica è del tutto irrilevante ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), perché quest’ultima è concepita come esclusivamente scientifica; di conseguenza i professori associati e i ricercatori di ruolo sono indotti a concentrarsi sul miglioramento dei propri indicatori e parametri per conseguire l’abilitazione e a trascurare la didattica; a maggior ragione lo sono i Ricercatori a Tempo Determinato (RTD), preoccupati dal fatto che, se non conseguono l’ASN, sono destinati ad essere espulsi dal sistema universitario;
  • i pesanti adempimenti burocratici, imposti centralmente, lungi dal toccare il tema della modernizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento e privi come sono di ricadute premiali, non incentivano e non valorizzano le iniziative di miglioramento della didattica e lo sviluppo di “best practice” in campo didattico;
  • non vi è alcun richiamo alla necessità di armonizzare la formazione superiore nell’ambito del Processo di Bologna e in particolare non si trova traccia di una impostazione didattica centrata sull’apprendimento dello studente anziché sull’insegnamento del docente, come richiesto dai più moderni paradigmi didattici;
  • altri provvedimenti successivi continuano a privilegiare la ricerca rispetto alla didattica; è il caso del Decreto che ripartisce il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) tra gli atenei per il 2015, che attribuisce l’85% della quota premiale alla qualità della ricerca, il 15% alla mobilità studentesca e alla regolarità degli studi e 0% alla qualità della didattica.

La didattica è dunque considerata oramai da molti come una palla al piede che frena le carriere dei docenti e non incide sui finanziamenti. Ma ancora più preoccupanti sono gli effetti negativi a lungo termine sulla didattica, prodotti dalla struttura organizzativa imposta alle università dalla legge 240/10, che già oggi iniziano a farsi sentire, e precisamente:

  • con la cancellazione delle facoltà e l’attribuzione della responsabilità didattica ai Dipartimenti, costituiti per legge da docenti afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei, si va verso un progressivo impoverimento dei contenuti interdisciplinari dei corsi di studio; in assenza di un forte organismo per il coordinamento della didattica, come erano le facoltà, l’interdisciplinarietà è sempre più a rischio, non potendo certamente essere garantita da quel pallido simulacro di struttura di coordinamento previsto dalla legge Gelmini, che nemmeno è obbligatorio;
  • i dipartimenti, nella loro omogeneità, tendono ad offrire percorsi formativi focalizzati sulle proprie competenze disciplinari, trascurando e lasciando poco spazio allo sviluppo delle competenze trasversali, indispensabili a garantire una formazione flessibile e spendibile sul mercato.

È pertanto più che naturale domandarsi se e in quale misura la nostra formazione universitaria possa ancora collocarsi a pieno titolo nell’Area Europea della Formazione Superiore o se non ce ne stiamo rapidamente allontanando.

Andrea Stella

Articolo originale tratto da Roars

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