UNIVERSITÀ E SCUOLA

Io, bibliotecaria nelle zone di guerra

La vita spesso ripresenta davanti a sé strade che sembravano essersi chiuse per sempre, percorsi in cui le esperienze precedenti diventano fondamentali. Quando una persona cambia il proprio lavoro, soprattutto se questo è stato il fulcro di due decenni di vita, ha sempre il timore che chiudendo una porta quella non possa mai più riaprirsi. Spesso però le proprie convinzioni vengono dissipate dalla realtà che offre nuove ed inaspettate possibilità.

È questa la storia di Carla Patrizia Dani, bibliotecaria dell’università di Padova che dal 2005, dopo aver ascoltato un accorato appello di Gino Strada, ha deciso di mettere a disposizione le sue conoscenze partendo per delle missioni umanitarie.

Carla infatti per 20 anni è stata un’ostetrica universitaria fino a quando, per motivi personali, non ha deciso di lasciare il lavoro e dedicarsi ai libri. Da bibliotecaria dell’università di Padova però non ha mai abbandonato la sua passione per il precedente lavoro, tanto da conseguire nel 2005 la laurea in ostetricia come aggiornamento della sua professione (fino alla legge n. 341 del 19 novembre 1990 per accedere alle professioni sanitarie come ostetrica e infermiere bastava seguire una scuola diretta a fini speciali. Dall’anno accademico 2002/2003, l’università di Padova ha attivato il corso di laurea triennale in Ostetricia, che è andato a sostituire il precedente diploma universitario).

È stata però una trasmissione televisiva, guardata casualmente, ad aprire un nuovo capitolo nella vita di Carla. L’ostetrica infatti nel 2005 stava guardando Che Tempo che Fa di Fabio Fazio, e un’intervista a Gino Strada l’ha letteralmente folgorata. Il medico fondatore di Emergency durante la serata aveva lanciato un appello: “In Afghanistan servono ostetriche”.

Carla Patrizia Dani non c’ha pensato due volte, ha compilato il documento per rendersi disponibile e dopo due mesi si è ritrovata immersa nel mondo delle missioni umanitarie.

“La mia prima missione è stata ad Anabah, nella Valle del Panjshir in Afghanistan nel 2006” ha dichiarato Carla. Emergency infatti, dal 2003 è attiva con un centro di maternità nella valle nel nord dell’Afghanistan, martoriata dalle guerre. Come riportato dalla stessa Ong fondata dal medico italiano, “in Afghanistan la mortalità materna è 99 volte più alta di quella registrata in Italia, il tasso di mortalità infantile 47 volte più alto.” Era evidente quindi la necessità di permettere le cure alla popolazione locale. Il centro maternità di Emergency ad Anabah infatti, ad oggi, è l’unica struttura specializzata e completamente gratuita in un’area molto vasta, abitata da almeno 250.000 persone.

Centro maternità Emergency ad Anabah (Afghanistan)Infogram

L’accesso alle cure è un tema centrale in ogni missione effettuata da Carla. “In tutti i paesi in cui sono stata - ha dichiarato Carla Patrizia Dani - l’accesso alle cure sanitarie avviene tramite pagamento, quindi per essere ricoverata in ospedale nel Sud Sudan o nell’Afghanistan devi mettere i soldi di tasca propria. Oltre a questo devi anche portarti le lenzuola, comprare il cibo, le medicine, l’assistenza…e queste persone naturalmente non sono ricche. In particolare nella valle del Panjshir, sono tutti contadini e le donne son sempre chiuse in casa. Loro non vedevano mai un ginecologo o non facevano un’ecografia o visite. Per arrivare all’ospedale più vicino dovevano fare molte ore di mulo. Ora invece la popolazione è contentissima di questo ospedale perché per loro è l’unica possibilità di accedere alle cure in quella valle”.

Carla in Afghanistan è tornata, sempre con Emergency, anche nel 2008. A distanza di due anni poi, la bibliotecaria ostetrica è partita per una missione a Juba. Nella capitale del Sud Sudan l’Ong OVCI (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale) è presente con diverse attività dal 1983. Carla Patrizia Dani ha visitato nel 2010 il centro materno-infantile che ha l’obiettivo di diminuire la mortalità materna e infantile, e di ridurre l'incidenza della disabilità in età precoce.

Anche l’esperienza nel Sud Sudan è stata doppia, in quanto l’ostetrica è stata in missione anche con Medici Senza Frontiere, in un villaggio chiamato Pibor. Come ha dichiarato la protagonista della storia “in Sud Sudan MSF lavora in posti dove non c’è nulla ed è molto difficile portare le cose”.

“Dove eravamo noi - ha continuato Carla -, a Pibor, si arrivava solamente in elicottero o con una settimana di camion e non hanno naturalmente tutti i ritrovati tecnici più moderni. L’ospedale era molto piccolo ed aveva solo 4 letti e quindi si cerca di usare tutto ciò che si può reperire nel luogo”. E’ stato proprio a Pibor che Medici Senza Frontiere ha vissuto una grave situazione di pericolo. Il 31 dicembre 2011 infatti, l’ospedale della Ong è stato saccheggiato e danneggiato in seguito alle violenze scoppiate nello Jonglei State.

“La cosa importante per queste organizzazioni è la sicurezza delle persone che lavorano con loro - ha commentato Carla Patrizia Dani -. Dalle case in cui viviamo, che sono più che dignitose e sono dei luoghi vivibili, alle vaccinazioni e al cibo. Naturalmente bisogna adattarsi alle varie condizioni dei posti perché sono luoghi in cui in confronto a noi non hanno nulla, non è di certo una vacanza”.

“La vita che i collaboratori fanno in questi luoghi però è di totale reclusione - ha continuato Carla -, cioè stai a casa, vai in ospedale e poi ritorni a casa: non puoi muoverti e questa è una delle prime forme di sicurezza. Naturalmente facciamo diversi briefing su come bisogna comportarsi e su cosa possiamo o non possiamo fare. Io non mi sono mai sentita in pericolo, anche se nel campo profughi in Giordania c’hanno sparato. Un giorno sono entrati quelli dell’ISIS, hanno aperto il fuoco e io li ho visti lì. Però non ho avuto paura, la prima reazione è stata di buttarsi per terra, poi siamo scappati ma subito dopo siamo anche ritornati al lavoro. Quando succedono queste cose non hai tempo per pensare, entro 5 minuti arrivano già i feriti e tu devi curare la gente”.

L’esperienza raccontata da Carla è avvenuta durante la sua sesta missione internazionale. Con la Ong Medici Senza Frontiere l’ostetrica è andata a Rukban, confine nordorientale della Giordania. “Eravamo in un campo profughi al confine con la Siria. 75 mila persone che vivevano nelle tende. Noi arrivavamo direttamente con il camion attrezzato e ci mettevamo lì in mezzo a fare il nostro lavoro”.

Campo profughi Rukban al confine tra Siria e GiordaniaInfogram

 

“La prima volta che sono partita è stata per curiosità e desiderio di vedere cose diverse, posti di guerra. Quando arrivi è tutto nuovo, quello che ti aspetti di solito non lo trovi, dal clima al posto, dalla mentalità della gente al cibo. Uno si fa delle idee prima di partire, e di solito non corrispondono mai alla realtà”, ha concluso la dottoressa.

Lavorare come ostetrica in missioni umanitarie significa anche e soprattutto rapportarsi con situazioni dolorose, situazioni in cui le donne sono sottomesse alla volontà fisica e psicologica dell’uomo. “In tutti i posti in cui sono stata la vita delle donne è terrificante - ha concluso Carla -. Il Pakistan in particolare può essere un inferno se sei una donna. Anche in Sud Sudan, che è cattolico, una donna puoi comprarla per 50 mucche, è un oggetto acquistabile sul mercato e quando ce l’hai devi farle fare figli”.

“Il bello delle donne con cui ho lavorato però è che erano delle persone carinissime con tanta voglia di imparare e lavorare. Soffrivano molto il fatto di essere donne, e quindi viste in malo modo se lavori o costrette a stare a casa se sposate. Tutte sono vittime di matrimoni combinati. Quando vai in questi posti è meglio non partire con dei preconcetti, quando sei lì ti arriva tutto, e capisci moltissime cose. Capisci soprattutto che esiste un altro mondo e che la nostra non è l’unica verità”.

 

Ad oggi Carla Patrizia Dani ha effettuato 7 missioni: 3  nell'ospedale afghano di Emergency ad Anabah, nella Valle del Panjshir, due in Sud Sudan rispettivamente a Juba con OVCI e a Pibor con Medici Senza Frontiere, una, sempre con MSF, nel campo profughi di Rukban in Giordania ed una, conclusasi nell'aprile 2017 a Kuchlak e Dera Murad Jamali in Pakistan.

Antonio Massariolo

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