UNIVERSITÀ E SCUOLA

In Italia "maturi" con un esame, ma all'estero?

Ragazzi curvi sui banchi geometricamente distanziati per evitare occhiate troppo lunghe su fogli protocollo altrui. I passi inquisitori o bonari dei commissari che passeggiano fra le file scandiscono il tempo a disposizione. La campanella suona, si esce sollevati. Fuori è giugno inoltrato e le tre prove scritte previste dall’esame di maturità sono concluse. Non rimane che il passo finale, l’orale, seduti di fronte alla commissione (quest’anno ancora mista, con tre membri interni e tre esterni) e  al suo presidente. 

Dal 1923 si perpetua in Italia il rito della “Maturità” - che dal ’97 è l’ “Esame di Stato” - negli anni variamente riformato nel tipo di prove e nel numero e provenienza degli  esaminatori. E come ogni anno va incontro alle critiche sulla sua effettiva utilità. Possibile che un esame che conta la quasi totalità di promossi abbia valore in termine valutativi? Vale veramente la pena profondere energie e denaro in questo tipo di prova? La questione dei costi, che palesa per l’ennesima volta  l’abitudine tutta italiana a valutare la bontà dell’esame in base alla spesa sostenuta, ritorna inevitabile. “200 milioni”, titolano i giornali. Con il 99% di promossi, anche se non è sempre stato così. Fino al dopoguerra, infatti, i promossi erano circa il 60%; il 70% nei primi anni Sessanta. La riforma del ’69 portò la percentuale a oltrepassare quota 90, per aumentare  poi sempre più.

Non sarà forse la promozione – quasi sicura - all’esame di Stato a decidere del futuro dei ragazzi, ma il voto finale potrebbe farlo: pesa anche consistentemente, per esempio, nella valutazione per l’ammissione ai corsi universitari a numero chiuso;  apre o chiude le porte di scuole universitarie di eccellenza; può fare la differenza nei concorsi per posti di lavoro statali.

Ma come funzionano le cose oltreconfine?  Con o senza esame, il passaggio alla “maturità” rimane un momento fondamentale soprattutto per coloro che intendono proseguire gli studi iscrivendosi a corsi d’istruzione terziaria. A cominciare dalla Francia, dove l’esame per ottenere il baccalauréat non è solo uno, ma prevede prove da sostenere al termine del penultimo e dell’ultimo anno. Il conseguimento del diploma permette poi l’iscrizione all’università, ma non a una delle Grand Ecole, per le quali è necessario seguire un anno integrativo di studi. Dal 2010 sia in Francia che in quasi 300 scuole italiane è possibile sostenere un percorso formativo che si conclude con l’Esabac, fusione fra “esame di Stato” e “baccalauréat”, prova che  conduce al duplice rilascio del  diploma italiano e francese. 

In Germania, per ottenere l’Abitur non servono esami: il diploma tedesco viene rilasciato da commissioni interne sulla base del percorso dello studente negli ultimi due anni di scuola superiore. Come in Italia, comunque, ha un esito positivo per la quasi intera popolazione studentesca. Anche in questo caso è il voto a fare la differenza: se è molto buono, lo studente potrà decidere di iscriversi a qualsiasi università; se il risultato è scarso, invece, potrebbe essere costretto a rinunciare al corso universitario desiderato e a scegliere il proprio ateneo fra quelli presenti negli elenchi del Zentralstelle für die Vergabe von Studienplätzen, l’ufficio centrale per il collocamento degli studenti .

Senza esami è anche il percorso degli studenti americani che, una volta diplomati in base ai crediti guadagnati lungo il percorso formativo, possono scegliere di mettere il tocco in cassetto e trovarsi un lavoro. Ma se volessero invece proseguire gli studi, all’ultimo o al penultimo anno di high school dovrebbero sostenere il Sat o l’Act, i test riconosciuti per l’ammissione ai college statunitensi. Similmente, nel Regno Unito chi vorrà iscriversi all’università dovrà ottenere l’A-Level, ma solo in questo caso. 

Ma è il Gaokao, il temutissimo esame cinese, a fare parlare maggiormente di sé. Il 7 e l’8 giugno di quest’anno lo hanno  affrontato 9,42 milioni di studenti cinesi al termine del loro percorso scolastico secondario. Obbligatorio solo per coloro che intendono proseguire gli studi, l’esame nazione di ammissione all’istruzione superiore diventa senza mezzi termini , in una società altamente competitiva come quella cinese, un momento decisivo per la vita e il futuro dei ragazzi e dello loro famiglie. Al punto da rappresentare il culmine di un sistema formativo tanto rigido da uccidere, come testimonia l’altissimo tasso di suicidio per motivi scolastici fra adolescenti. Intere famiglie, anche provenienti  dalle più povere zone rurali del paese, investono tutto sulla formazione dei figli, che potranno (forse) accedere a un buon lavoro solo se con la laurea giusta e nell’università più prestigiosa possibile. Per fare questo è imprescindibile ottenere ottimi risultati al Gaokao, possibili solo dopo anni di studi serrati nelle giuste scuole, e senza distrazioni; la pressione sui ragazzi arriva dunque ad essere talmente forte da innescare processi a volte distruttivi. Quello cinese è forse l’esempio estremo di un sistema che rincorre l’affermazione professionale e personale attraverso un percorso di formazione scolastica selettiva, dove la valutazione è affidata a momenti cruciali irripetibili. Si gioca tutto in pochi momenti, e il prezzo da pagare a volte non è solo in danaro. 

Certo l’esame di Stato italiano non è il Gaokao, tantomeno le nostre famiglie devono iscrivere i figli agli asili più prestigiosi per instradarli sul giusto percorso verso l’ammissione alle università d’élite. L’esasperata competitività non è una componente storica della società italiana, ma l’esame di maturità, anche se affrontato individualmente, rimane un temuto rito collettivo che non si lascia scalfire dalla straordinaria percentuale di promozioni. E poi, anche se il lavoro è poco, un 100 può sempre servire. 

Chiara Mezzalira

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