UNIVERSITÀ E SCUOLA

Il “capolavoro” dello studente e la sfida a riflettere sull’istruzione scolastica

Alle soglie della bella stagione, per quasi 500.000 studenti italiani si avvicina anche il momento dell’esame di maturità. La novità di quest’anno, che da alcune settimane è diventata oggetto di dibattito pubblico, riguarda l’invito rivolto agli iscritti agli ultimi tre anni di scuola superiore a presentare un “capolavoro”, ovvero un prodotto di qualsiasi tipologia che si ritiene particolarmente rappresentativo dei progressi e delle competenze sviluppati.

Il capolavoro può riguardare un risultato individuale o collettivo conseguito in ambito scolastico (nel caso di un compito o un progetto particolarmente riuscito) o extrascolastico (in campo sportivo, artistico o di volontariato, ad esempio). La consegna del capolavoro dovrà avvenire entro la fine delle lezioni tramite la compilazione dell’apposito campo sulla piattaforma Unica, seguendo le istruzioni pubblicate sui canali ufficiali del Ministero dell’istruzione e del merito. Nel caso in cui si decida di caricarne altri (due al massimo, per un totale di tre capolavori all’anno), ciò dovrà essere fatto entro il 31 agosto.

La novità del capolavoro ha suscitato un diffuso senso di spaesamento tra alunni, genitori e insegnanti soprattutto a causa dell’iniziale carenza di linee guida ufficiali. La maggior parte degli interrogativi di tipo “pratico” hanno trovato risposta dopo la pubblicazione di una recente nota ministeriale contenente istruzioni più dettagliate in merito all’individuazione e alla consegna del capolavoro; tuttavia, soffermarsi sulle caratteristiche e sugli obiettivi di questo nuovo strumento di autovalutazione può servire a sviluppare delle riflessioni più ampie sul senso che attribuiamo all’istruzione e sull’equità del sistema scolastico.

Cercando di mantenere uno spirito critico ma equilibrato, abbiamo affrontato gli argomenti in questione con il professor Mino Conte, docente di filosofia dell’educazione all’università di Padova, il quale concorda sulla possibilità che il capolavoro si riveli utile, se non altro, a veicolare l’idea che il valore di una persona non sia riducibile alla somma dei suoi voti o, in generale, ai risultati conseguiti tra le mura scolastiche. In altre parole, la possibilità di presentare un progetto o un risultato che non abbia necessariamente a che fare con i successi accademici, fornisce l’opportunità di mostrare qualcosa di positivo su di sé anche a chi non vanta il massimo dei voti. “Questo strumento potrebbe inoltre rappresentare un’occasione per fermarsi a riflettere, a posteriori, sulle attività svolte e sui traguardi raggiunti durante l’anno scolastico, che spesso viene vissuto come un susseguirsi frenetico di impegni e scadenze”, commenta il professor Conte. “Realizzare un progetto finale di questo tipo potrebbe quindi consentire a studenti e studentesse di guardarsi indietro e provare a esprimere un giudizio su sé stessi e sul proprio lavoro al di là delle valutazioni degli insegnanti”.

Tuttavia, pur tenendo conto dei possibili lati positivi legati al capolavoro, non si può ignorare il rischio che esso diventi un mezzo per esacerbare delle disuguaglianze preesistenti. “È ragionevole pensare che gli studenti e le studentesse privilegiati abbiano più probabilità di produrre capolavori qualitativamente superiori rispetto ai loro pari che provengono invece da contesti svantaggiati”, spiega Conte. “Anche le attività extrascolastiche, infatti, dipendono molto dalle possibilità economiche della famiglia di provenienza e dal ceto sociale: chi ha più opportunità di sperimentare, viaggiare e conoscere il mondo ha accesso a consumi culturali diversi che aumentano le sue possibilità di realizzare o produrre un lavoro particolarmente significativo.

Si potrebbe ribattere che anche chi proviene da contesti svantaggiati possa dimostrarsi capace di produrre un capolavoro degno di nota. Questo è senza dubbio vero, ma retoriche di questo tipo servono piuttosto a trasmettere un’illusione di uguaglianza, che ci legittima, implicitamente, ad accettare le disuguaglianze e a non modificare il sistema per renderlo più equo e inclusivo”.

“Non si può escludere, inoltre, che il confronto tra capolavori diversi confermi una disuguaglianza anche in una prospettiva futura, quando ci si candida per un posto di lavoro, ad esempio”, prosegue Conte. Infatti, sebbene la nota ministeriale del 17 maggio specifichi che il capolavoro non costituirà oggetto di discussione durante la prova orale e non confluirà nel Curriculum digitale dello studente, esso resterà comunque all’interno del suo E-Portfolio.

“Il portfolio digitale richiama una concezione in cui la scuola rappresenta una specie di apprendistato in funzione lavorativa”, continua il professore. “Secondo quest’ottica, che potremmo definire come una didattica per competenze”, si esclude la possibilità che uno studente o una studentessa possa innamorarsi di un argomento o di una materia senza che l’apprendimento debba per forza servire all’acquisizione di una competenza da inserire nel curriculum”.

Come osserva Conte, anche la funzione del capolavoro sembra in linea con la concezione della “didattica per competenze” appena descritta. Durante il caricamento del capolavoro sulla piattaforma digitale viene infatti richiesto di indicare una o più competenze chiave acquisite durante la sua realizzazione, scegliendo da una lista predefinita di otto categorie. “Sembra che la concezione del capolavoro si basi su una logica di mercato per cui le attività scolastiche ed extrascolastiche non siano dotate di un valore “in sé”, ma debbano necessariamente tradursi in un “saper fare”. Il portfolio in cui il capolavoro viene inserito serve a sua volta per riepilogare una persona secondo una sequenza ordinata di esperienze e certificazioni in un periodo della vita in cui non si dovrebbe ragionare già in termini di appetibilità e concorrenza sul mercato del lavoro, e in cui si dovrebbe avere la libertà di accedere a un insieme eterogeneo di saperi ed esperienze sperimentando, fallendo, e anche scoprendo i propri limiti, perché no”.

Vale infine la pena di riflettere sulla denominazione che si è deciso di dare a questo progetto di fine anno. “Sarebbe interessante conoscere le intenzioni dietro la scelta di questo termine così altisonante, che suona come una vera e propria iperbole, in questo contesto”, commenta Conte. “Se prendiamo sul serio le parole che utilizziamo, ci rendiamo conto che il termine “capolavoro” ha un significato ben preciso che si riferisce a un’opera di grande eccellenza, la migliore rispetto a tutte le altre”. La parola richiama un immaginario legato principalmente all’ambito artistico, al punto massimo dell’espressione e della produzione di un artista, ad esempio, o comunque al risultato migliore che si possa conseguire in un certo campo.

“Se ci aspettiamo che si sfornino uno o più capolavori all’anno per tre anni di seguito, o stiamo abbassando l’asticella rispetto a ciò che consideriamo un capolavoro, oppure riteniamo che ogni persona tra i sedici e i diciott’anni debba essere all’altezza di produrre un capolavoro”, afferma Conte. “In qualunque modo la si metta, c’è qualcosa di dissonante, se non di addirittura contraddittorio, in questo. Il rischio è quello di caricare sulle spalle degli studenti e delle studentesse delle aspettative molto alte, rischiando di generare, di conseguenza, un senso di inadeguatezza”.

Non ci si aspetta, comunque, che il progetto di fine anno in questione rappresenti un capolavoro in senso stretto. Infatti, come spiega la nota ministeriale già menzionata, il termine ‘capolavoro’ non va inteso nella sua accezione più diffusa, vale a dire come un’opera somma, unica e universalmente riconosciuta per il suo valore di eternità. Si tratta piuttosto di strumento che consenta alle studentesse e agli studenti di riflettere e saper individuare una realizzazione ritenuta come migliore e maggiormente rappresentativa dei progressi compiuti, delle competenze sviluppate durante l’anno scolastico.

Che lo si intenda letteralmente o meno, resta comunque da capire perché la scelta sia ricaduta proprio su questo termine così enfatico. Possiamo pensare che il linguaggio che utilizziamo non sia poi così importante, ma i termini che scegliamo non sono mai neutri. Ogni parola porta con sé delle sfumature di significato differenti, richiamando alla mente idee, interpretazioni e collegamenti concettuali talvolta molto specifici. “Il termine capolavoro, così come quello di “portfolio” – il cui significato originario è quello di un “pannello espositivo”, che serve a rendere una merce più appetibile sul mercato – ci rimanda perciò a una certa idea di scuola, che è una tra le tante, ma non è detto che sia quella che vogliamo”, conclude Conte.

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