UNIVERSITÀ E SCUOLA

L’impatto del cambiamento climatico ora si insegna a Medicina

Il cambiamento climatico può avere significative ripercussioni sulla salute umana: può variare i modelli di trasmissione delle malattie infettive, deteriorare le risorse alimentari e idriche, avere un impatto sulle condizioni socioeconomiche e causare un aumento della pressione sui sistemi sanitari. I medici, pertanto, devono essere preparati ad affrontare nuove emergenze: a questo scopo, è stato recentemente istituito l'European Network on Climate & Health Education (Enche), una rete di 25 università sostenuta dall'Organizzazione mondiale della Sanità e da altre organizzazioni attraverso la Sustainable Markets Initiative Health Systems Task Force. Obiettivo: dotare nei primi tre anni di lavoro oltre 10.000 studenti di medicina delle conoscenze e competenze necessarie per rispondere all'impatto dei cambiamenti climatici sulla salute delle persone, e fornire un'assistenza sanitaria più sostenibile, in considerazione del fatto che il settore contribuisce al 5% delle emissioni di gas serra. 

Ciò concretamente cosa significa? In sostanza, impegnarsi a inserire nei programmi di studio dei futuri medici insegnamenti sulla relazione tra clima e salute, materia nella quale oggi la formazione dipende più dalle conoscenze dei singoli docenti e dal coinvolgimento di gruppi di studenti che da curricula strutturati. Sebbene, come vedremo, ci sia l’interesse da parte delle università a muoversi in questa direzione, mancano ancora strumenti di condivisione delle buone prassi a livello europeo e internazionale per migliorare le competenze nel settore. Perciò si prevede di creare anche un hub online, e di organizzare webinar e incontri per rafforzare la rete di esperti e formatori medici. 

L’European Network on Climate & Health Education è stato fondato da alcune delle scuole di medicina di Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Slovenia, Svezia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Anche altre università, se interessate, possono prendere parte alla rete. In Italia, aderiscono gli atenei di Pavia, Milano e Torino.  Il consorzio sarà presieduto dall’Università di Glasgow e diventerà un polo regionale del Global Consortium on Climate and Health Education della Columbia University Mailman School of Public Health. 

La volontà di intraprendere questo nuovo percorso, dunque, nasce dalla consapevolezza – dati alla mano – degli effetti che il cambiamento climatico può avere sulla salute della popolazione, e accoglie spinte che provengono anche dal mondo studentesco.

Clima e salute: qualche numero 

Per capire la dimensione del fenomeno, qualche dato può tornare utile. Secondo quando riferito da The 2023 Global Report of the Lancet Countdown, nel periodo 2018-2022, le persone hanno sperimentato in media 86 giorni all'anno di temperature elevate pericolose per la salute. La maggiore frequenza di giorni di ondate di calore e di mesi di siccità nel 2021 rispetto al periodo 1981-2010 è associata a 127 milioni di persone in più che vivono un’insicurezza alimentare da moderata a grave. 

Stando invece a uno studio pubblicato su Nature Climate Change nel 2022 il 58% delle malattie infettive (218 su 375) con cui le persone si confrontano a livello mondiale è stato aggravato dai rischi climatici. Il riscaldamento globale e le variazioni nei livelli di precipitazione sono stati associati all'espansione di vettori come zecche, zanzare, pulci, uccelli e diversi mammiferi implicati in epidemie da virus, batteri, animali e protozoi, tra cui la dengue, la chikungunya, la malattia di Lyme, le infezioni da virus del Nilo occidentale e Zika, la malaria. Si prenda, a titolo di esempio, la dengue: dal 2000 al 2019 i casi a livello mondiale  sono saliti da 500.000 a 5,2 milioni. E la potenziale trasmissibilità della malattia da parte di Aedes aegypti e albopictus è aumentato rispettivamente del 42,7% e del 39,5%

Non poche ripercussioni sulla salute della popolazione può avere poi l’inquinamento atmosferico:  l'esposizione prolungata nel tempo anche a bassi livelli di polveri sottili, PM10 e PM2,5, è associata all’aumento di un’ampia gamma di disturbi respiratori come tosse, asma, diminuzione della capacità polmonare, riduzione della funzionalità respiratoria, bronchite cronica. L’inalazione del pulviscolo più piccolo, in particolare, è correlata a un maggior rischio di cancro alle vie respiratorie. 

Se l’apparato respiratorio è il più interessato dalle conseguenze di un’aria malsana, studi epidemiologici dimostrano anche un consistente aumento del rischio di eventi cardiovascolari in relazione all'esposizione a breve e a lungo termine al particolato. Ci sono prove poi che riguardano le malattie neurologiche: l’esposizione a PM2.5 soprattutto a lungo termine può generare disturbi dello spettro autistico, disturbi cognitivi, demenza, Parkinson. Le informazioni che oggi si possiedono sono vaste, alcune più solide, altre solo probabili o limitate. La ricerca continua, ma alcune certezze ormai sono state raggiunte.

“Il cambiamento climatico – sottolinea  Camille Huser, docente alla University of Glasgow e copresidente della rete Enche – non crea necessariamente una nuova gamma di malattie che non abbiamo mai visto prima, ma aggrava quelle che già esistono”. 

Le istanze degli studenti e le risposte istituzionali

“Gli impatti sulla salute causati dal cambiamento climatico – sostiene Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità – non sono minacce ipotetiche per il futuro; sono qui, adesso. L'Oms sta supportando i Paesi nel costruire sistemi sanitari resilienti al clima e rispettosi dell’ambiente, il che include fornire agli operatori sanitari le competenze necessarie per affrontare questa grande sfida per la salute pubblica”. E aggiunge Esther Ngoy, studentessa di medicina dell'Università di Glasgow: “Per la nostra generazione la crisi climatica è una delle questioni più urgenti e allarmanti che siamo chiamati ad affrontare in questo momento. Per il bene dei pazienti, delle comunità e della società, è fondamentale che i medici del futuro siano istruiti e preparati ad affrontare frontalmente questa sfida”.  

La necessità di nuove competenze mediche spesso proviene proprio dai giovani. Stando ai risultati di un sondaggio condotto all’università di Yale nel 2018 da Emma C. Ryan e colleghi, quasi il 60% degli studenti di medicina (su 162 che hanno risposto) ritiene che la relazione tra inquinamento, cambiamento climatico e salute debba essere affrontata in aula, il 30% che il percorso di studi sia già abbastanza impegnativo senza nuovi contenuti, mentre solo circa il 17%  pensa che questo tipo di insegnamento non debba essere incluso nei programmi curriculari. Allo stesso modo, nel corso di un'indagine condotta in Cina l'80% degli studenti di area medica (su 1387) ammette di non avere conoscenze sufficienti su cambiamento climatico e salute e la maggior parte concorda sul fatto che l’argomento deve essere incluso nel loro curriculum. 

In alcune parti del mondo, le scuole di medicina hanno già iniziato a muoversi in questo senso. Negli Stati Uniti per esempio tra gli anni accademici 2019 e 2021, la percentuale di quelle che hanno chiesto dei programmi su cambiamento climatico e salute è passata dal 27% al 55%, e nel 2022 la percentuale è salita al 65%. Alla Harvard Medical School un gruppo di studenti ha collaborato con i docenti per integrare i contenuti sul clima nel piano di studi, ottenendo un riconoscimento istituzionale del percorso nel 2023. Dal punto di vista metodologico i contenuti, in questo caso, non sono stati accorpati in un unico insegnamento isolato e immersivo, ma sono stati integrati piuttosto nei corsi preesistenti.  

“Quando la classe stava imparando a conoscere l'asma infantile, per esempio – approfondisce Monique Brouillette in un articolo su Jama –, è stato chiesto loro di considerare i fattori di rischio sociali e ambientali di un ipotetico paziente, come il fatto di vivere in un quartiere con aria inquinata dalla combustione di combustibili fossili o degli incendi. Sono stati spiegati i diversi tipi di inquinamento, le rispettive fonti e le interazioni con i polmoni. Le dimensioni delle particelle determinano il punto in cui l'inquinante si deposita nei polmoni, un concetto già trattato nella scuola di medicina, ma la nuova lezione trattava il modo in cui i diversi tipi di inquinanti interagiscono con la fisiologia del polmone per creare malattie”. 

In questo contesto si colloca la rete europea di recente istituita, che intende rispondere alle nuove istanze della futura classe medica. In un’ottica One Health, la salute umana è strettamente correlata a quella animale e del pianeta: ne consegue che, se non si affrontano le emergenze di salute ambientale, anche il benessere della popolazione può essere compromesso. 

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SPECIALE “AMBIENTE E SALUTE”

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