SCIENZA E RICERCA

L’origine delle tegnùe, sculture del mare

Sculture del mare, habitat coralligeno dell’Alto Adriatico, patrimonio di biodiversità e geodiversità. Sono le tegnùe, in dialetto veneto, ovvero le trattenute perché trattenevano le reti dei pescatori. Preziose e fragili scogliere sommerse, a una profondità di oltre venti metri, composte da organismi incrostanti, che si elevano dal fondale limoso-sabbioso dell’Adriatico settentrionale, al largo di Chioggia. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Scientific Reports (Paleochannel and beach-bar palimpsest topography as initial substrate for coralligenous buildups offshore Venice, Italy), coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr), ha indagato l’origine di queste conformazioni rocciose e ha coinvolto anche l’università di Padova, oltre all’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs), l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e l’argentino Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (Conicet). Il lavoro è stato realizzato grazie al progetto Tegnùe finanziato dal comune di Chioggia, su fondi della Regione del Veneto, e al progetto Bandiera Ritmare Cnr, finanziato dal Miur e condotto dal ricercatore Ismar-Cnr Luigi Tosi, primo autore dell’articolo. 

A dare un importante contributo alla ricerca anche il professor Claudio Mazzoli del dipartimento di Geoscienze dell’ateneo padovano: “Mi occupo di petrografia applicata e studi paleoclimatici, a questa ricerca ho contribuito attraverso lo studio dei cementi e la loro composizione”, ha spiegato al Bo Magazine. “È ormai riconosciuta l’importanza delle tegnùe, sia dal punto di vista ecologico che economico – precisa Mazzoli – Molte sono protette come zone di tutela biologica, punto di riproduzione per moltissimi pesci, e contribuiscono al ripopolamento di specie ittiche. Questi livelli cementificati, substrati duri e resistenti all’erosione delle correnti marine, sono habitat ideali per le comunità che si sviluppano sopra, sono punti di ancoraggio per gli organismi che hanno bisogno di un substrato solido e non sabbioso, specie di coralli, briozoi, molluschi, alghe corallinacee e incrostanti, grandi spugne, crostacei, e per la riproduzione di organismi che hanno anche vita pelagica. Non sono strutture molto diffuse come le barriere coralline, pensiamo per esempio all’enorme barriera australiana; nel nord adriatico il coralligeno è un habitat molto poco diffuso e questi ambienti, proprio per mantenere l’equilibrio dell’intero ecosistema marino, visto il loro importantissimo ruolo ecologico, meritano di essere più estesamente tutelati, anche in ottemperanza alle direttive europee” (Direttiva Habitat del 1994). E Mazzoli continua: “Abbiamo cercato di capire come si possano essere formate e quali meccanismi le abbiano prodotte”. Geologi, oceanografi, geofisici e biologi hanno dapprima eseguito rilievi geofisici per l’analisi e la mappatura morfo-batimetrica del fondale e del sottosuolo, effettuando oltre 200 ricognizioni subacquee, anche in condizioni di scarsa visibilità, e osservazioni geomorfologiche e geologiche, campionando rocce e sedimenti sciolti e installando pozzi per l’analisi dell’acqua sottomarina sui fondali. La seconda fase si è poi svolta in laboratorio, dove sono state fatte analisi isotopiche, paleoambientali e di microscopia elettronica. “Ci sono vari modelli che sono stati invocati per spiegare l’origine delle tegnùe – spiega -, dai processi di cementazione precoce in ambiente costiero, in sabbie, dove si registrano fenomeni di erosione delle spiagge, i cosiddetti beach rock, alle strutture metanogeniche, emissioni di metano che, venendo in contatto con l’acqua marina, favoriscono la precipitazione di carbonato di calcio cementando il fondale. Ci sono tegnùe, più a largo di Chioggia e a profondità superiori ai quaranta metri, che hanno proprio questo tipo di origine. Noi proponiamo un terzo modello alternativo, che non sostituisce ma affianca i due appena citati: ci siamo concentrati sul consolidamento degli argini di fiumi costieri ad andamento meandriforme, ovvero una pianura costiera con fiumi che formano meandri poi sepolta in un periodo post-glaciale caratterizzato dall’innalzamento del livello del mare. Durante le glaciazioni una gran quantità di acqua resta intrappolata nei ghiacci, il livello del mare è più basso e quindi le pianure si estendono. Nei massimi glaciali tutto l’Adriatico è una grande pianura alluvionale. Il contrario succede alla fine della glaciazione, quando l’acqua viene rilasciata e il livello del mare si alza e sommerge le pianure alluvionali e quindi anche i fiumi. La forma di queste tegnùe, che si ergono dal fondale sabbioso, sono allungate e a distanza di quaranta, cinquanta metri l’una dall’altra”. 

Per ricavare informazioni sulle datazioni di questi processi sono stati analizzati molluschi cementati all’interno di questi sedimenti consolidati. In questo senso, dalla ricerca emergono dati nuovi e interessati: le tegnùe si sono sviluppate lungo le strutture morfologiche allungate e sinuose attribuite ad antichi canali fluviali, presenti nella pianura durante l’ultimo periodo glaciale. Analizzando un particolare lastrone di sabbia cementata con inglobati gusci di molluschi è stato possibile datare a circa 9.000 anni fa l’arrivo del mare in questa parte della pianura pleistocenica e a 7.000 anni fa la sua cementazione, sulla quale hanno attecchito i primi organismi biocostruttori.

Francesca Boccaletto

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