SCIENZA E RICERCA

L'anatomia moderna di Vesalio

Concerti, libri, convegni, mostre in tutto il mondo. Come The Body Illustrated: 500 Years of Vesalius allestita all’International Museum of Surgical Science di Chicago, o Vesalius On The Verge: The Book and The Bodyal Mütter Museum di Philadelphia aperta fino a gennaio 2016. E ancora The Fabric of the body, monumentale traduzione del celebre De humani corporis fabrica, nelle edizioni del 1543 e del 1555, frutto di un ventennio di lavoro di Daniel H. Garrison and Malcolm H. Hast. A distanza di 500 anni dalla nascita, le iniziative che hanno preso il via nel 2014 per celebrare la figura di Andrea Vesalio sono state numerose e volgono al termine. A Padova con un “tributo” organizzato dal direttivo dell’International Society for the History of Medicine.  

Uomo “taciturno e malinconico ma anche ambizioso e infaticabile promotore della propria ascesa sociale e professionale”, Andrea Vesalio è unanimemente considerato il fondatore dell’anatomia moderna. Figlio di Wijtink van Wesele, speziale al servizio degli Asburgo, e di Isabelle Crabbe, a partire dal 1533 studia medicina a Parigi con Jacques Dubois e Johann Guinther. Quattro anni dopo è a Padova dove si laurea e ottiene la cattedra di anatomia e chirurgia. 

Fin dall’inizio delle sue lezioni Vesalio mostra di essere un docente “un po’ fuori dalle righe” per quei tempi. Suggerisce agli studenti di rifarsi direttamente alle fonti, dunque ai testi del medico greco Galeno, anziché al manuale di Mondino dei Liucci (l’Anothomia) utilizzato da oltre due secoli nelle università di tutta Europa. Utilizza strumenti didattici tra i più vari, come scheletri o altri preparati anatomici e si serve di disegni per illustrare meglio il corpo umano. Ciò che lo contraddistingue in modo particolare, tuttavia, è la consuetudine a eseguire personalmente le dissezioni anatomiche sul cadavere, diversamente da quanto era avvenuto fino a quel momento. Gli studenti infatti erano abituati a vedere in cattedra un docente che leggeva il testo di anatomia dei classici, un incisore che sezionava il corpo del defunto e un ostensore che indicava le varie parti. Ora le cose cambiano. 

La nuova metodologia didattica è evidentemente il frutto di un diverso modo di concepire la scienza anatomica. E lo indica chiaramente Vesalio nella prefazione alla sua opera maggiore, il De humani corporis fabrica conservato a Padova nella sezione antica della biblioteca medica “Vincenzo Pinali” in due esemplari e nella biblioteca Universitaria. Esalta l’importanza della manualità, dell’aspetto pratico rispetto a quello teorico. “Oggi – scrive Vesalio secondo la traduzione che ne fa Loris Premuda – possiamo vedere che anche i più esperti in medicina si astengono dalla chirurgia come dalla peste”. E per questo avevano perso l’abilità settoria, affidata alle mani di “barbieri troppo ignoranti per capire gli scritti dei professori”. Vesalio invece rivaluta il dato empirico nel processo conoscitivo e rende sistematico in anatomia il metodo dimostrativo. Ciò significa osservare personalmente il corpo umano, senza accettare in modo passivo la lezione (allora ancora imperante) dei classici. Tant’è che in molti punti della sua opera l’anatomista contesta le conclusioni di Galeno, uno dei classici per eccellenza, poichè pur sottolineando l’importanza dell’esperienza manuale aveva basato le proprie conclusioni sulla sola dissezione di animali. Un atteggiamento che suscita talora reazioni violente come quelle del vecchio maestro Dubois che lo accusa di “follia ed empietà per il tentativo di screditare l’impianto delle acquisizioni galeniche”.  

Alla forza del messaggio Vesalio unisce un sapiente lavoro di “comunicazione scientifica”, sottolinea Massimo Rinaldi. Un progetto editoriale imponente, quello della Fabrica, che al testo affianca oltre trecento illustrazioni. Le immagini sono realizzate a Venezia da artisti della scuola di Tiziano, tra cui Jan Stephan van Calcar, sotto la supervisione dell’anatomista stesso. Ritenuto da alcuni uno dei più alti traguardi della xilografia rinascimentale, l’apparato iconografico non è un semplice corredo al testo: parole e illustrazioni sono legati a doppio filo da continui richiami alfabetici e numerici al punto che le une non vivono senza le altre. Consapevole tuttavia che il suo lavoro non può essere accessibile a tutti, per ragioni di natura economica, linguistica o professionale, Vesalio lo stesso anno pubblica una sintesi del volume, l’Epitome, per garantire la diffusione del suo messaggio anche tra gli studenti o semplici curiosi.  

Sebbene il contributo di Vesalio alla storia della medicina, ma più in generale alla storia del pensiero scientifico, sia evidentemente decisivo, non va trascurato l’humus culturale di quel periodo e il fatto che già prima del 1543 comincia a insinuarsi l’uso di “far notomie”. “I meriti – sottolinea ancora Premuda nella sua Storia dell’iconografia anatomica – non sono di un uomo solo… bensì risalgono a tutto un movimento di pensiero e di azione… il cui centro propulsivo è stato sicuramente Padova”. Si pensi, solo per citare alcuni nomi, a Leonardo da Bertipaglia e a Bartolomeo da Montagnana che nel XV secolo affermano di aver praticato personalmente delle dissezioni; o a Giovanni Arcolani che nell’opera dal titolo Practica… particularium morborum omnium inserisce una tavola con gli strumenti utili per la dissezione molto simile a un’analoga immagine che più tardi verrà inserita nella Fabrica da Vesalio. E ancora, nel Cinquecento Alessandro Benedetti nella sua Historia corporis humani sive Anatomice valorizza l’importanza dei sensi, in particolare dello sguardo “cosicchè attraverso tali accessi l’esperienza possa giungere alla mente”; e Berengario da Carpi sottopone a revisione il trattato d’anatomia di Mondino sulla base di osservazioni condotte in prima persona. L’opera di Vesalio s’inserisce dunque nel solco di una corrente di pensiero che, accanto all’indiscusso legame con la tradizione e al sistema d’insegnamento ufficiale, comincia a valorizzare la componente manuale nella pratica medica. Un insegnamento che viene ereditato dai successori di Vesalio e, tramandato nei secoli, sopravvive ancora oggi nelle aule universitarie. 

Monica Panetto

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