CULTURA

L'arte (e la scienza) del restauro di un manoscritto

Se bibliotecari, restauratori e chimici siedono allo stesso tavolo può accadere che anche i santi “risorgano” a nuova vita. Su quel tavolo poco tempo fa qualcuno ha pensato di mettere nientemeno che un testo annotato da sant’Ignazio di Loyola, il fondatore della compagnia di Gesù. Risalente al XVI secolo, è il più antico manoscritto degli Esercizi spirituali, un volume di particolare valore che sarà possibile tramandare alle future generazioni proprio grazie all’intervento di studiosi italiani, tra i quali anche alcuni docenti dell’università di Padova.

A proporne il restauro nel 2015 fu padre Ignacio Echarte segretario della Compagnia di Gesù, davanti alle condizioni in cui versava il testo. La carta aveva subito negli anni degli imbrunimenti e presentava anche dei fori dovuti all’inchiostro particolarmente aggressivo. Inoltre i veli di seta utilizzati nel corso di precedenti restauri per rinforzare i fogli avevano causato il passaggio dell’inchiostro da una faccia all’altra. A quel punto si valutò la necessità di intervenire per non rischiare di perdere, con l’avanzare del tempo, una testimonianza tanto preziosa.

Il progetto di recupero del manoscritto venne assegnato a un team coordinato da Carlo Federici, che da più di 40 anni ormai lavora nel campo della conservazione e del restauro dei beni librari e archivistici. Melania Zanetti, presidente dell’Associazione italiana dei conservatori e restauratori degli archivi e delle biblioteche, curò il lavoro di restauro, mentre Alfonso Zoleo e Maddalena Bronzato, del dipartimento di Scienze chimiche dell’università di Padova, condussero le analisi spettroscopiche sul testo (raggi X, infrarossi e raggi ultravioletti).   

Una delle prime fasi del restauro del manoscritto

Dall’Archivium Romanum Societatis Iesu, dove era conservato, il manoscritto raggiunse i laboratori padovani. “Il problema principale – spiega Zoleo – era il tipo di inchiostro utilizzato. Si tratta di inchiostro ferrogallico, a base acquosa e contenente ferro, impiegato spesso nei manoscritti di epoca medievale. Può succedere che l’inchiostro non trattenga bene il ferro il quale, dunque, diffonde sulla pagina e ne determina rapidamente una vera e propria corrosione”. I chimici hanno innanzitutto verificato quali parti fossero più degradate e bisognose di restauro e quali invece si mantenessero prive di foratura e di necessità di intervento. “Abbiamo controllato se nei punti vicini all’inchiostro c’era migrazione di ferro: un campanello d’allarme e un segnale che il foglio era minacciato”. Analisi che sono state ripetute durante le varie fasi del restauro per monitorare che ogni azione sul testo avesse esito positivo. 

Si è poi intervenuti rimuovendo i veli di seta applicati in precedenza e utilizzando sulle pagine della gelatina purificata ad alto peso molecolare per contrastare l’azione ossidante degli ioni di ferro liberi. In un secondo momento il manoscritto è stato trattato con gelatina contenente nanoparticelle di idrossido di calcio per neutralizzare l’acidità e l’azione aggressiva dell’inchiostro, un procedimento messo a punto da Piero Baglioni, direttore del Consorzio interuniversitario per lo sviluppo dei sistemi a grande interfase (Csgi) di Firenze. “Quest’ultima operazione si è dimostrata molto efficace – sottolinea Zoleo – Le analisi che abbiamo condotto prima e dopo il trattamento non hanno rilevato infatti alcuna variazione nel colore del manoscritto, né migrazioni di sostanze chimiche al di fuori delle aree inchiostrate e dunque nemmeno di ferro”. Il restauro è stato completato rinforzando i fogli più compromessi con una carta sottolissima e trasparente (due grammi per metro quadrato), ma molto robusta, ottenuta dalla corteccia del gelso da carta. 

Il restauro degli Esercizi spirituali, tornati ora ai legittimi “proprietari”, è un esempio del sodalizio tra scienze chimiche, nanotecnologie e conservazione dei beni culturali, che si sta affermando in misura sempre maggiore. Alfonso Zoleo all’università di Padova si muove in questo campo ormai da una decina d’anni, coinvolto da Marina Rosa Brustolon che insegnava nel corso di laurea in Scienze e tecnologie per i beni culturali. Ha iniziato studiando vari tipi di materiale, fino a concentrarsi in modo particolare sui manoscritti e da tempo collabora con Carlo Federici e Melania Zanetti. 

Allo scopo di migliorare le tecniche di conservazione dei beni culturali, particolare attenzione si sta riservando allo sviluppo di nanomateriali avanzati. C’è chi ritiene infatti che, nonostante siano stati prodotti sofisticati materiali nanostrutturati, la conservazione del patrimonio culturale sia ancora basata su metodi tradizionali e materiali convenzionali che spesso non hanno effetti duraturi e la necessaria compatibilità con le opere d'arte originali. Da queste premesse è partito ad esempio il progetto NanoforArt concluso qualche mese fa e a cui ha contribuito un consorzio di 15 istituzioni europee. 

“La conservazione del patrimonio culturale può essere paragonato alla medicina – scrivono Piero Baglioni e il suo gruppo in un articolo pubblicato su Nature Nanotechnology – Le opere d’arte rivestono il ruolo di pazienti, i conservatori sono i medici. Diagnosi, trattamento e prevenzione sono importanti nella conservazione dei beni culturali e la scienza ha dato il proprio contributo in questa direzione”. Tuttavia se molti sforzi sono stati dedicati alla conservazione preventiva e allo sviluppo di “tecniche diagnostiche” avanzate, solo in minima parte secondo gli autori ci si è dedicati alla “terapia”, cioè alla produzione di materiali innovativi che possano essere impiegati nel restauro delle opere d’arte. E su questa linea si sta insistendo, dato che potrebbe costituire un’opportunità in più per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale. 

Monica Panetto

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012