UNIVERSITÀ E SCUOLA

Libri per aprire la mente (e guadagnare di più)

“Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà”, scriveva Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore. Il recente studio Books are forever: the long-lasting effects of early life conditions on lifetime earnings - condotto dall’Università di Padova e inserito nell’indagine Share, progetto europeo sull’invecchiamento della popolazione in cui il dipartimento di Scienze economiche e aziendali è coinvolto da oltre un decennio - ha evidenziato una forte correlazione tra i guadagni in età adulta, l’istruzione e un’infanzia con o senza libri in casa. Tre economisti dell’ateneo patavino - Giorgio Brunello, Guglielmo Weber e il borsista svizzero post-doc Christoph Weiss - hanno preso in esame circa 6.000 bambini dell’età di dieci anni, oggi uomini e lavoratori, nati in nove Paesi europei tra il 1920 e il 1956 (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda e Svezia).

Secondo lo studio pubblicato su The Economic Journal, le riforme che all’epoca avevano portato all’innalzamento dell’obbligo scolastico avrebbero aumentato i guadagni medi nel corso della vita del 9%. Ma i rendimenti sarebbero aumentati solo del 5% per gli uomini cresciuti in famiglie con meno di uno scaffale di libri non scolastici, mentre arriverebbero al 21% per quelli con più di dieci libri in casa.

La ricerca ha suscitato notevole interesse anche e soprattutto sulla stampa internazionale, conquistando le pagine di The Guardian (con oltre 18.000 condivisioni sui social network) e The Telegraph. Abbiamo intervistato il professor Guglielmo Weber per saperne di più.

La vostra ricerca sembra evidenziare lo stretto legame tra libri, istruzione e redditi da lavoro nel corso della vita. Cosa dimostra esattamente?

“Abbiamo preso in considerazione un campione di residenti in nove Paesi europei che sono stato costretti, fra il 1942 e il 1963, ad aumentare gli anni di scuola a causa delle riforme scolastiche, e li abbiamo confrontati con quelli che, subito prima, non erano stati toccati da queste trasformazioni. La ricerca non è sull’effetto positivo dei libri nella vita delle persone, in assoluto. L’affermazione è senza dubbio vera, ma qui ci si concentra sui vantaggi economici ottenuti da chi, nel periodo preso in esame, aveva più di dieci libri in casa e proprio per questo sarebbe riuscito a beneficiare molto dell’innalzamento dell’obbligo scolastico. Viceversa chi ne aveva pochi, meno di dieci per la precisione, non ne avrebbe tratto gran vantaggio”.

Questo cosa significa?

“Significa che la ricerca mostra l’importanza della relazione fra istruzione e libri non scolastici, evidenziando in questo quadro l’effetto moltiplicatore dei libri stessi. Qui non si tratta di dire 'più libri, è meglio', in senso generale. Chi è cresciuto in una casa con più di dieci libri ha tratto più vantaggio dall’innalzamento dell’obbligo scolastico, arrivando a ottenere alti guadagni in età adulta. Queste persone hanno avuto più opportunità, più stimoli in grado di favorire l’apertura mentale. Una apertura mentale che potrebbe essere collegata agli interessi delle madri che, all’epoca, non sempre lavoravano, ma più facilmente accudivano i figli”.  

In un’epoca in cui era quasi sempre solo il padre a lavorare, l’avere libri in casa potrebbe quindi non essere legato esclusivamente al tenore di vita, al benessere economico della famiglia... 

“Non è il tipo di occupazione del padre che porta ad avere più alti guadagni in età adulta per effetto degli anni addizionali d’istruzione, qui non vi è differenza tra figli di impiegati e di operai o contadini. La ricerca dimostra che l’effetto moltiplicatore si ha solo considerando il numero di libri, non altri indicatori socio-economici come l’acqua corrente o il bagno in casa. Non è un confronto tra benestanti e indigenti, è qualcosa di più. Lo stato socio-economico può pesare, certo, perché chi stava bene all’epoca poteva anche permettersi di avere qualche libro in più, ma si tratta soprattutto di un fatto culturale importante. E aggiungo un dettaglio fondamentale: la maggior parte delle persone che sono state obbligate ad andare a scuola un anno in più sono state quelle che vivevano in zone rurali. Chi viveva in città, in molti casi, già andava a scuola superando, per scelta, quello che sarebbe diventato poi l’obbligo scolastico”.

Quindi i risultati riguardano un particolare gruppo di persone: quei bambini delle campagne che, se non fossero stati obbligati dalla riforma, avrebbero lasciato la scuola quasi subito per andare a lavorare la terra.

“Queste persone sono state costrette dalla riforma a studiare ancora ed è proprio qui che pesano i libri: coloro che sono andati a scuola di più, e con più di dieci libri a casa, hanno sentito l’esigenza di sapere e conoscere. E si sono trasferiti in città, dimostrando di non temere l’ignoto”.

Questione di apertura mentale.

“Proprio così, l’ha detto. La coltivazione dei campi non bastava più. Si cercava fortuna in città perché ci si proiettava in mondi nuovi. Per la piccola Matilde, nata dalla penna dello scrittore Roald Dahl, i libri erano navi su cui viaggiare. Chi legge si proietta in mondi diversi e non teme di guardare oltre le cose conosciute. Chi fino a quel momento aveva vissuto solo nella sua valle, leggendo, iniziava a immaginare l’esistenza di altre valli...”

Torniamo per un attimo a Roald Dahl: Matilde è una bambina, mentre la vostra ricerca si concentra solo sui maschi. Perché?

“A noi interessava ricavare il rendimento in termini monetari nell’arco della vita e all’epoca molte donne non lavoravano. E, attenzione, non stiamo parlando delle persone più colte, anzi, spesso chi andava a lavorare era proprio chi non poteva permettersi di stare a casa. Per quanto riguarda le donne bisognerebbe riuscire a trovare un altro indicatore di successo economico”.

Dunque, concludendo, se nel Novecento la differenza la facevano dieci libri e un po' di scuola in più, ai ragazzi di oggi cosa potrebbe garantire un futuro di successi?

“Oggi c’è una importante trasformazione tecnologica in atto, è evidente. Quello che sappiamo è che fino a dieci anni fa i test di valutazione scolastica mostravano rendimenti migliori nei ragazzi con libri a casa, anche tenuto conto dell’istruzione dei genitori. Possedere un buon numero di libri sembra essere rilevante ancora oggi, ma è chiaro che per le nuove generazioni c’è molto altro e anche l’accesso alla lettura avviene sempre più spesso per via informatica. Dico che, se il meccanismo che rendeva più ricettive le persone prese in esame nella ricerca era dato dall’apertura verso mondi altri proprio grazie alla lettura, questa capacità di guardare oltre può essere collegata oggi all’uso che si fa della cultura disponibile in internet. Insomma, internet si può usare per postare video di gattini, è vero, ma anche e soprattutto per conoscere e approfondire. Forse non avremo a che fare con un indicatore semplice, ma possiamo pensare che lo stesso meccanismo da noi individuato potrebbe operare anche in futuro”.

Francesca Boccaletto

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