SCIENZA E RICERCA
La lunga relazione tra uomo e numeri
Numeri: l’impalcatura intorno alla quale abbiamo costruito il nostro mondo. Struttura concettuale tanto efficace e pervasiva da apparirci naturale, quando invece è il frutto di millenni di studi, scambi e incroci di culture e conoscenze. Perché la matematica è come la musica: un linguaggio universale che come pochi si è sviluppato in una dimensione globale e oggi, con l’informatica e le sue applicazioni, sembra dominare il nostro modo di vivere e persino la natura. Complici anche un’economia e un’industria fatte di cose misurabili, standardizzate e infinitamente riproducibili.
Eppure i numeri non sono entità fredde e asettiche, per essi anzi ci si può anche appassionare: per esempio leggendo Numeri. Raccontare la matematica (Il Mulino 2015), scritto dal matematico Umberto Bottazzini e selezionato nella cinquina dei finalisti del Premio Galileo 2016. Libro agile, rivolto essenzialmente a un pubblico non specialistico a partire dagli studenti, non solo universitari: “Per questo ho cercato di fornire un racconto in cui gli elementi matematici si intrecciano con la storia, l’arte e letteratura – spiega l’autore –. L’idea è di far vedere che i numeri non sono separati, anzi, si intrecciano profondamente con la cultura umana nel suo complesso fin dall’antichità più remota”.
Ma com’è che l’uomo scopre o ‘inventa’ i numeri?
Oggi sappiamo qualcosa in più rispetto ai processi cognitivi connessi alle capacità matematiche: sono stati scoperti i ‘neuroni dei numeri’ che si accendono quando contiamo. Forse non aveva torto Kant, che giudicava i numeri giudizi sintetici a priori, anche se questo non vuole certo dire che sono ‘incorporati’ in noi. Un qualche primitivo senso della numerosità, che non va oltre tre o forse quattro oggetti, è presente in diversi esseri, tra cui le galline e persino i pulcini. Il passo avanti decisivo che ci contraddistingue è stata la capacità di costruire un sistema che, unità dopo unità, va avanti all’infinito con un processo additivo.
Ma cosa sono i numeri? Esistono veramente o sono solo una creazione della nostra mente?
È una domanda difficile, e in maniera sorprendente abbiamo iniziato a porcela piuttosto tardi: i matematici hanno iniziato a cercare una definizione di numero appena un secolo fa. L’universo è davvero retto da leggi matematiche, oppure siamo noi che con la nostra mente leggiamo regolarità di tipo matematico nel caos? Spesso si parla a questo riguardo di irragionevole efficacia della matematica, dal titolo di un celebre studio di oltre 50 anni fa: a volte la natura sembra quasi obbedire alle leggi matematiche che noi scopriamo. Un esempio viene dalle onde gravitazionali, dimostrate decenni dopo la predizione di Einstein: frutto di un’idea profonda che ha trovato espressione in termini matematici.
Detto tra parentesi, alcuni sostengono che Einstein non fosse un matematico così dotato...
Era uno straordinario fisico ma non altrettanto grande nella matematica, e sicuramente non avrebbe potuto esporre le sue teorie senza gli strumenti predisposti da matematici come Tullio Levi Civita. Einstein sudava letteralmente a fiumi per capire le sue equazioni, che gli erano state segnalate dall’amico matematico Marcel Grossmann, il quale aveva studiato e conosceva bene il calcolo tensoriale.
Del resto possono le scienze naturali fare a meno della matematica?
La scienza come noi la conosciamo diventa tale quando trova espressione matematica, ed è impensabile senza questa forma. Il metodo scientifico non è solo osservazione ed esperimento: anche Aristotele si basava sull’esperienza ma, al contrario degli scienziati moderni, si limitava a una descrizione di tipo qualitativo e non quantitativo.
Eppure oggi i numeri, dati OCSE alla mano, non sembrano interessare molto i giovani, in particolare italiani.
La situazione purtroppo è sotto gli occhi di tutti anche se altri paesi non sono poi messi molto meglio, a cominciare dagli Stati Uniti. Che fare? Nelle scuole si potrebbe ad esempio insegnare la matematica inserendo collegamenti con la storia culturale e artistica, che certo non mancano. D’altra parte però la matematica è talmente fondamentale per la vita quotidiana che, amata o no, converrebbe comunque a tutti familiarizzarsi con essa. Sapere ad esempio qualcosa di più sulla probabilità e sulle percentuali serve anche ad essere informati più correttamente. Uno dei tentativi di questo libro è proprio far vedere che i numeri hanno un intimo legame con molti altri aspetti della vita umana, non sono semplicemente questioni astratte frutto della fantasia di alcuni studiosi.
Proprio i matematici sono spesso considerati una specie di setta di persone piuttosto strane…
Nell’immaginario diffuso il matematico è un tipo originale, se non addirittura un matto completo. E a volte bisogna ammettere che la realtà non è così distante dalla fantasia. Penso a John Nash (reso famoso dal film A beautiful Mind e mancato l’anno scorso, ndr), che ho conosciuto e frequentato durante un congresso internazionale a Pechino: di lui mi colpiva lo sguardo innocente e un po’ naif. Per cogliere risultati notevoli occorre una capacità di concentrazione enorme e protratta per molto tempo. Andrew Wiles ad esempio ha impiegato 10 anni a dimostrare il teorema di Fermat, pensandoci letteralmente dalla mattina alla sera. Questo richiede sicuramente capacità straordinarie, e a volte c’è il rischio di andare letteralmente fuori di testa.
Che senso ha oggi continuare a studiare la matematica? Quali sono le ricadute concrete?
La cosa più sbagliata è pensare che tutto sia già stato scoperto: viviamo anzi un periodo molto interessante con molti progressi in geometria, aritmetica, analisi, teoria dei numeri…. A che serve tutto questo concretamente? Se prendiamo ad esempio l’ipotesi di Riemann (su cui l’anno scorso si erano diffuse voci riguardo una possibile soluzione), che riguarda la distribuzione dei numeri primi, questa potrebbe ad esempio rivelarsi importante nella crittografia: servono infatti numeri primi molto grandi, con migliaia o milioni di cifre, per creare linguaggi sempre più difficili da decifrare. Pensiamo solo alle ricadute nelle tecnologie per la comunicazione e per le carte di credito. Spesso e volentieri però le applicazioni concrete sono arrivate anche molto, molto tempo dopo le scoperte. Perché la ricerca matematica non è orientata alle possibili applicazioni, ma nasce innanzitutto dalla curiosità.
Daniele Mont D’Arpizio