SCIENZA E RICERCA

Marte, la fiction supera (ancora) la realtà scientifica

Una serie di cupole in grado di ospitare fino a 10.000 persone, collegate da tunnel sotterranei che proteggono gli abitanti dalle radiazioni e dall’impatto di meteoriti. È Redwood Forest, il progetto del Massachusetts Institute of Technology che si è aggiudicato la Mars City Design Competition 2017. L’iniziativa non è certo l’unica che spinge a immaginare un futuro su Marte. The future living and the planet of the future è il titolo dell’edizione 2018 di Space&interiors, evento milanese dedicato a interior designer e architetti curato da Stefano Boeri, che quest’anno propone di indagare “il futuro dell’abitare nel luogo dove l’umanità si trasferirà tra 100 anni”. Film e telefilm sul quarto pianeta del sistema solare si sprecano. E ancora una mostra a Madrid, Marte. La conquista de un sueño, che comprende anche libri e strumenti provenienti dal museo copernicano dell’Inaf di Roma e dall’Osservatorio astronomico di Padova, partendo dalle origini dell’interesse per Marte, esamina il futuro dell’esplorazione umana sul pianeta. Marte insomma è sotto i riflettori ormai da tempo e con molte aspettative per il futuro.

Le agenzie spaziali si muovono da tempo in questa direzione, Nasa ed Esa in prima linea. Si lavora sulle tecnologie, ma si lavora anche sulla formazione degli astronauti in vista di future missioni umane su Marte e sulla Luna. È il caso di Pangaea, corso organizzato dall’Esa in collaborazione con il Centro di ateneo di studi e attività spaziali “Giuseppe Colombo” (Cisas) dell’università di Padova, che prepara gli astronauti a riportare campioni, informazioni e testimonianze sulla geologia di altri pianeti. “Nell’ultima edizione il corso – spiega Matteo Massironi del dipartimento di Geoscienze, docente a Pangaea con Riccardo Pozzobon dello stesso dipartimento – ha visto una prima sessione didattica al centro astronauti Esa di Colonia e a Nordlingen per lo studio del cratere di impatto di Ries, una seconda al Bletterbach in Alto Adige per lo studio di analoghi sedimentari di Marte e una terza a Lanzarote per il training in ambiente vulcanico, analogo di Marte e Luna. Infine, sempre a Lanzarote, sono stati testati strumenti di esplorazione, come gli Apollo tools usati per il campionamento sul suolo lunare, rover e droni, strumenti per indagini geofisiche di superficie e in tunnel di lava”.

Gli astronauti del gruppo Pangaea mentre esplorano un tunnel di lava nell'isola di Lanzarote. Foto: Esa/Robbie Shone

Su questi ultimi in particolare si sta concentrando l’attenzione da più parti dato che, trattandosi di grotte sotterranee scavate da flussi di lava, potrebbero costituire degli ambienti protetti per l’esplorazione spaziale e per possibili futuri insediamenti umani. Esistono tubi lavici sulla Terra – il più lungo dei quali alle Hawaii sul vulcano Kīlauea di circa 70 chilometri – e ne esistono sulla Luna e su Marte. Possono essere individuati in superficie grazie a grandi cavità che si generano per il collasso della volta dei tubi e che ne costituiscono l’unico accesso possibile. Sulla Luna sono state individuate più di 200 di queste cavità e altrettante su Marte. Sul nostro pianeta i tunnel di lava possono raggiungere i 30 metri di diametro, su Marte i 250 metri, mentre sulla Luna possono essere larghi anche più di un chilometro e lunghi centinaia di chilometri.

L'astronauta Samantha Cristoforetti studia sedimenti lavici durante il corso Pangaea. Foto: Esa/Robbie Shone

“I tubi lavici – spiega Pozzobon che ha presentato uno studio sull’argomento condotto in collaborazione con Francesco Sauro dell’università di Bologna all’ultimo Congresso europeo di scienze planetarie (Epsc 2017) – forniscono una protezione naturale per poter avere insediamenti umani o semplicemente stoccaggio di materiale visto che la temperatura è un po’ più controllata rispetto alla superficie planetaria e non subisce grosse escursioni termiche. È un habitat schermato dalla radiazione cosmica, dalla radiazione ultravioletta e dall’irraggiamento solare e, per queste ragioni, potrebbe anche ospitare tracce di vita presente o passata”.  Il prossimo passo dunque sarà quello di studiare come si siano formati i tunnel di lava su Marte e sulla Luna, come si possano individuare e derivare le loro dimensioni con precisione, quanto siano stabili e come è composto l’ambiente al loro interno, cercando di capire anche come accedervi in sicurezza. Sarà necessario “mappare” ed esplorare questo tipo di vuoti per comprendere se il terreno e le condizioni ambientali siano realmente adatti a ospitare insediamenti (anche abitativi), non solo a livello teorico.

“Prima di pensare all’esplorazione umana marziana, tuttavia, è importante riuscire a tornare sulla Luna” precisa Pozzobon. Lo studioso spiega che il viaggio verso Marte richiede più di un anno di permanenza nello spazio, se si calcola il tempo di andata e ritorno e almeno un paio di settimane sulla superficie planetaria. Questo comporta una serie di problemi tecnologici, fisici e psicologici da affrontare. Innanzitutto sarà necessario costruire una navicella dai volumi molto contenuti e tener conto, ad esempio, che la comunicazione da Terra impiega in media 13 minuti ad arrivare su Marte, cosa che richiede all’equipaggio autonomia decisionale nell’esplorazione e nel campionamento planetario. A ciò si aggiunga, dal punto di vista fisiologico, il possibile insorgere sul lungo periodo di osteoporosi e di atrofia muscolare negli astronauti e la redistribuzione dei liquidi corporei non più soggetti a gravità. Notevole stress psicologico, inoltre, potrebbe derivare dal confinamento in ambienti chiusi a una estrema distanza da terra con un equipaggio di numerose persone. “Atterrare prima sulla Luna permette di testare le tecnologie di discesa e di permanenza sulla superficie e le procedure da seguire sul campo. Si tratta di protocolli che vanno prima simulati sulla Terra, poi riportati in un corpo planetario che già conosciamo, come la Luna e infine su Marte”. Secondo Pozzobon è plausibile supporre che le prime esplorazioni umane su Marte avranno luogo non prima di 20 anni ed esprime molta cautela quando ci si spinge a parlare di “colonizzazione”.  

Giuseppe Galletta, astrobiologo del dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei” dell’università di Padova, aggiunge anche altri aspetti da considerare quando si parla di “abitabilità marziana”, come il cibo, le apparecchiature per produrre ossigeno e aria respirabile, il carburante, l’eliminazione dei rifiuti. “Non possiamo escludere l’ipotesi di abitare Marte: l’ossigeno si potrebbe ricavare dalle rocce, l’acqua può esistere ancora in profondità, si può tentare di coltivare nelle serre. Tecnicamente non è impossibile, presumendo però che la vita avvenga in ambienti chiusi e non in superficie, dato che su Marte non è presente lo strato di ozono (che protegge dalla radiazione solare Ndr), le radiazioni ultraviolette sono intense e l’escursione termica giornaliera può raggiungere anche i 100 gradi centigradi”.

Monica Panetto

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