SOCIETÀ

Il mercato nero del legno. Ancora

Trenta milioni di dollari, a tanto ammonta il finanziamento che l’Unione Europea e la Fao (Food and Agricolture Organization of the United Nations) hanno stabilito di investire per combattere il commercio illegale di legname. O, sarebbe meglio dire, per potenziare con nuovi strumenti il piano di azione avviato ormai da più di dieci anni, il Forest Law Enforcement, Governance and Trade (Flegt), in vigore fino al 2020.

“I fenomeni di illegalità – spiega Davide Pettenella del dipartimento di Territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova – possono porsi a diversi livelli, a seconda delle caratteristiche di ogni Paese. Possono riguardare il sistema di gestione forestale, le attività di taglio, di trasporto e di controllo nei diversi punti di trasferimento del legname e dei prodotti derivati. Possono riguardare le esportazioni”. Il che significa, per fare qualche esempio, contraffazione dei documenti doganali, mancato pagamento delle imposte sul prelievo, mancanza di autorizzazioni al taglio, in violazione dunque delle leggi nazionali. Si tratta del crimine ambientale più redditizio con impatti socio-economici rilevanti. A cominciare dalle perdite di entrate erariali per le casse dello Stato (di almeno 10 miliardi di dollari all’anno, secondo il rapporto Green carbon, black trade di Interpol e Unep-United Nations Environment Programme), alla violazione dei diritti delle popolazioni indigene fino alla perdita di biodiversità e agli effetti che il disboscamento illegale può avere sull’emissione di gas serra e dunque sui cambiamenti climatici globali.  

A fronte di questa situazione l’Unione europea si è dotata ormai da qualche tempo del piano di azione Flegt. “Lo schema per il controllo della legalità – sottolinea Pettenella – deve essere calato nelle realtà specifiche di ogni Paese per andare a incidere là dove i problemi sono più significativi. Da qui la necessità di stipulare accordi con ogni singolo Stato, diversi nei contenuti e nelle modalità di controllo stesso delle pratiche amministrative e degli attori”. Sono i cosiddetti “accordi di partnership su base volontaria” (voluntary partnership agreements) con cui il Paese esportatore si impegna a introdurre un sistema di licenze (licenze Flegt) che presuppone forme di controllo della legalità lungo la filiera. Un processo largamente partecipativo che vede coinvolti rappresentanti del mondo privato, proprietari forestali, industrie del legno, rappresentanti delle comunità, organizzazioni ambientaliste e che, secondo il docente, spiegherebbe il numero esiguo di accordi firmati finora. Ad oggi sei, con il Camerun, la Repubblica Centrafricana, la Repubblica del Congo, il Ghana, l’Indonesia e la Liberia, mentre altri sono in corso di negoziato.

Non va trascurato tuttavia che, con l’adozione di questi protocolli, a farne le spese potrebbero essere i piccoli produttori, le aziende familiari, le piccole comunità indigene meno attrezzate e meno abituate a forme di controllo amministrativo rispetto alle grandi concessioni.“Si tenga presente – argomenta Pettenella – che nei Paesi centro-africani larga parte del patrimonio forestale è di proprietà dello Stato e viene dato su concessioni decennali, ventennali a imprese private, molte delle quali europee e molte di queste anche italiane. Un’impresa che gestisce 100.000 ettari ha evidentemente capacità organizzative e amministrative molto maggiori rispetto ai piccoli proprietari che hanno difficoltà notevoli ad assolvere a tutti i passaggi amministrativi e burocratici richiesti”. Nasce da queste considerazioni la recente decisione della Fao e dell’Unione europea di destinare 30 milioni di dollari al potenziamento delle aziende forestali di piccole e medie dimensioni, in Africa, in America Latina, nei Caraibi e in Asia nell’intenzione di “aiutarli a essere legali, ad avere accesso ai mercati verdi e diventare partecipanti attivi nella gestione sostenibile delle risorse forestali”.

Oltre agli Stati dell’Unione europea anche altre nazioni occidentali si sono dotate di strumenti per contrastare il commercio illegale di legname. È il caso degli Stati Uniti che per primi hanno adottato il Lacely Act e dell’Australia che ha emanato l’Illegal logging prohibition act, senza contare altri Paesi che stanno per avviare iniziative analoghe. “Questo però – evidenzia il docente – rischia di spaccare il mercato del legname in due componenti: un mercato ‘legale’ e normato con gli Stati occidentali e uno ‘illegale’ con i Paesi emergenti che ancora non hanno introdotto alcuna regolamentazione”. Pettenella, Paolo Masiero del dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova e Paolo Omar Cerutti del Centre for International Forestry Research di Nairobi, hanno affrontato la questione in uno studio in cui hanno analizzato i flussi del mercato del legname verso l’Australia, l’Unione europea e gli Stati Uniti da un lato, e le economie emergenti come Cina, India e Vietnam dall’altro. Ebbene, i risultati dimostrano che tra il 2001 e il 2013 il commercio internazionale di legname tropicale è diminuito del 13% in termini di volume e aumentato di quasi il 5% in termini economici. Le importazioni in Australia, negli Stati Uniti e nell’Unione europea sono diminuite (sebbene siano aumentati i prezzi e dunque il valore commerciale complessivo), mentre sono aumentate in Cina, India e Vietnam, le economie emergenti.  

Senza essere conclusivi, sottolineano gli autori, e tenendo conto anche della crisi economica del 2008 che ha avuto ripercussioni in molti settori, si potrebbe imputare questo andamento di mercato agli standard più bassi richiesti dai regolamenti sulle esportazioni nelle economie emergenti, a differenza dei Paesi occidentali che invece stanno potenziando le misure di controllo della legalità. A ciò si aggiunga lo sviluppo di un nuovo e crescente mercato di legname tropicale tra i Paesi del Sud del mondo, e cioè di un mercato interno regionale in molti casi illegale, come avviene ad esempio tra gli Stati dell’Africa centrale. “Il rischio – commenta Pettenella – è che i Paesi in via di sviluppo che producono ed esportano legname per i mercati avanzati occidentali rispondano a determinati requisiti di legalità e quindi offrano legname, anche a costi più alti e a prezzi più remunerativi, mentre nei mercati emergenti, fra l’altro molto più dinamici e in crescita, questo non avvenga. E ciò rischia di premiare la componente di legname illegale”.

Monica Panetto

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