L’occasione era troppo ghiotta. L’esca era irresistibile. L’estate, con i suoi 40° all’ombra, colpisce anche le redazioni, dove non sempre l’aria condizionata funziona come dovrebbe. E così i giornali di oggi, nel riferire dell’ingresso della Sea Watch3 a Lampedusa nonostante il divieto, hanno immediatamente collocato una questione umanitaria gravissima come quella dei salvataggi in mare nel formato pressoché esclusivo del duello: Carola Rackete contro Matteo Salvini. La “Capitana” contro il “Capitano”. La Bella (anche se Rackete non è poi così bella) e la Bestia (anche se Salvini non è poi così brutto). Il trionfo dei cliché.
Facciamo un passo indietro: nel successo dei leader Capitan Fracassa avevano avuto non poca responsabilità i media tradizionali, che da Washington fino a Budapest analizzano la politica nel formato pressoché esclusivo del duello, come possiamo vedere dal tempo dedicato ai temi sostanziali nei telegiornali della sera: una manciata di minuti nel contesto di campagne elettorali permanenti come quelle di Trump o di Salvini. Oggi, però, scopriamo che ignorare il potere degli stereotipi può essere pericoloso.
Giusto per fare qualche esempio: il bolognese Resto del Carlino, a fianco di un editoriale pro-Salvini (evidentemente scritto prima che qualcuno guardasse com’era fatta la prima pagina) mette insieme le due foto della Capitana e del Capitano, ignorando il potere delle immagini di cancellare qualsiasi ragionamento contenuto nello scritto. Lo stesso fa La Verità, un altro quotidiano ferocemente anti-immigrati, che titola “La Sea Watch infrange la legge ma il PD si schiera con i pirati” sopra una foto in cui Carola Rackete appare particolarmente carina (mentre al Carlino hanno scelto un’immagine di Salvini particolarmente truce). Dal canto suo, Repubblica, dove soffia forte il vento del ’68, ha un titolo a tutta pagina, “Forza Capitana”. Il Corriere della sera, per non essere da meno, pubblica un dettagliato articolo sull’equipaggio femminile della nave: “Sea-Watch, donne e giovani: chi sono i membri della crew che sta sfidando Salvini”. E così via.
Se i giornalisti cedono alla tentazione della facilità, la macchina della comunicazione del ministro, che negli ultimi 12 mesi aveva vinto tutti gli oscar e portato la Lega al 34% dei voti alle elezioni europee, sta invece girando a vuoto. Succede, fa caldo anche per Luca Morisi e i suoi Pontida-boys. Tra mercoledì sera e giovedì mattina, infatti, l’account Twitter del ministro Salvini ha prodotto decine e decine di tweet oscillando tra la faccia feroce (“non permetto che siano Ong straniere a dettare le leggi sui confini nazionali di un Paese come l’Italia”), la volgarità (“la capitana è una sbruffoncella”) e le minacce (“I governi di Germania e Olanda ne risponderanno. Facciano partire un aereo per caricarne un po’ ad Amsterdam, un po’ a Berlino e quello che avanza a Bruxelles”). Niente di particolarmente convincente.
La prova? Ieri i vignettisti si sono scatenati: Natangelo sul Fatto quotidiano, Altan su Repubblica, Marco Dambrosio sul Foglio e molti altri hanno interpretato la situazione tutti nello stesso modo: Rackete batte Salvini 6-0 6-0.
Sono poi partiti i tentativi di screditare Carola Rackete, con articoli velenosi che la accusano di essere una privilegiata, tedesca, magari al servizio del finanziere americano George Soros. Evidentemente ignaro di rimestare nell’antisemitismo di marca nazista, il vicepremier Luigi Di Maio scopre il "complotto mondiale della finanza ebraica" dietro il caso Sea Watch: "La Corte di Strasburgo gli nega lo sbarco? (..) Ottimo, ci saranno in tutto il mondo una serie di finanziatori alla Soros pronti ad incrementare i loro bonifici". (Soros è ebreo e già nei mesi scorsi alcuni 5Stelle avevano dato credito alle più viete menzogne di marca antisemita, come quella sui Protocolli dei savi di Sion).
Insomma, anche la macchina dell’odio e delle calunnie nelle ultime 48 ore sembra un po’ affaticata, il motore batte in testa. Sarà colpa del caldo?