SCIENZA E RICERCA

Le chiusure del Mose hanno effetti negativi sull'ecosistema lagunare

La possibilità di azionare le quattro grandi barriere mobili del Mose ha rappresentato un punto di svolta nella difesa di Venezia dai danni dell’acqua alta. Dal giorno della sua entrata in funzione, il 3 ottobre del 2020, il sistema ha permesso di evitare che si ripetessero situazioni drammatiche, come quella che poco meno di un anno prima portò la città lagunare ad essere travolta da una marea di 187 centimetri, seconda solo a quella dell'alluvione del 1966.

Le chiusure delle paratie del Mose, fondamentali per la protezione dei centri abitati, rischiano però di avere un impatto negativo sulla Laguna portando a radicali trasformazioni della sua morfologia e a pesanti impatti sul suo delicato ecosistema. A partire dalle barene, piccoli isolotti vegetati che devono la loro sopravvivenza, e quella delle specie che le popolano, al fatto di essere periodicamente sommerse dalle maree. Sono infatti soprattutto i sedimenti trasportati dall’acqua alta a permettere alle barene di crescere verticalmente e di tenere il passo con l’innalzamento del livello del mare.

Uno studio, condotto da un team di ricercatori dell'università di Padova e pubblicato nel novembre scorso su Nature Geoscience, aveva già mostrato come le chiusure delle barriere del Mose potessero ridurre del 25% l’apporto annuale di sedimenti sulle barene, compromettendone la conservazione già nel breve-medio termine.

Gli stessi autori del precedente lavoro, in collaborazione con altri ricercatori dell’università Cà Foscari di Venezia, sono adesso giunti a nuovi risultati che confermano ed estendono lo studio precedente, evidenziando come il sistema Mose non solo riduca l’apporto di sedimenti sulle barene, ma favorisca anche la risospensione dei sedimenti sui bassifondi ad opera delle onde da vento e l’interrimento dei canali lagunari. La Laguna potrebbe quindi cambiare volto in direzione di un appiattimento che ne modificherebbe in modo sostanziale l'attuale morfologia.

L’articolo, intitolato Loss of geomorphic diversity in shallow tidal embayments promoted by storm-surge barriers e pubblicato nei giorni scorsi su Science Advances, è frutto di una ricerca coordinata da Luca Carniello, professore del dipartimento di Ingegneria civile, edile ed ambientale dell'università di Padova e da Andrea D'Alpaos, professore del dipartimento di Geoscienze dello stesso ateneo. Lo studio si è svolto nell’ambito del Progetto Venezia 2021 e vi hanno partecipato, oltre ai due dipartimenti già citati, anche il Centro interdipartimentale di idrodinamica e morfodinamica lagunare (CIMoLa), il dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica dell’università Ca’ Foscari di Venezia e il dipartimento di Ingegneria ambientale dell’università della Calabria.

Integrando strumenti modellistici e misure di campo, gli autori dello studio hanno analizzato gli effetti prodotti dalle barriere del Mose sull’evoluzione morfologica della Laguna di Venezia mostrando che l'utilizzo ripetuto e prolungato delle paratoie stesse rischia, se non opportunamente controbilanciato, di minacciare il futuro delle barene (importanti anche perché forniscono diversi servizi ecosistemici). Gli stessi ricercatori hanno concluso suggerendo la necessità di trovare un compromesso tra le esigenze di salvaguardia delle aree urbane dalle inondazioni e la conservazione dell’ecosistema lagunare.

Abbiamo approfondito i risultati principali dello studio insieme ai due coordinatori, i professori Luca Carniello e Andrea D'Alpaos, a Davide Tognin, neo dottore di ricerca del dipartimento Icea e ad Alvise Finotello, ricercatore del CIMoLa e di Cà Foscari. 

Luca Carniello, Davide Tognin, Alvise Finotello e Andrea D'Alpaos illustrano lo studio che ha analizzato gli effetti del Mose sull'ecosistema lagunare. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Un approccio modellistico integrato a misure di campo

Il professor Luca Carniello comincia spiegando il collegamento con gli studi precedenti che avevano già iniziato ad indagare l'impatto delle chiusure delle barriere del Mose sui processi di sedimentazione all'interno della Laguna di Venezia. "Nel novembre dell’anno scorso abbiamo pubblicato una ricerca in cui, sulla base di misure condotte nell’arco di un triennio su tre diverse barene distribuite all’interno della Laguna, abbiamo potuto osservare come la maggior parte della sedimentazione sulla superficie delle barene avvenga proprio durante gli eventi meteorologici più intensi che tipicamente sono associati a fenomeni di acqua alta".

"I dati che abbiamo raccolto - prosegue il docente del dipartimento Icea dell'università di Padova - ci hanno suggerito che l’entrata in funzione del Mose, il cui obiettivo è limitare queste alte maree quando dovessero superare la soglia dei 110 cm su Punta della Salute potesse avere effetti non trascurabili su questo processo che è fondamentale per le barene stesse e che permette loro di tenere il passo con l’innalzamento del medio mare".

In seguito i ricercatori hanno scelto di integrare i dati di campo con un approccio modellistico, "confrontando però sempre - precisa Carniello - questi modelli numerici con misure sperimentali". L'obiettivo è stato quello di indagare "come l’entrata in funzione del Mose modificasse non solo l’idrodinamica ma anche la dinamica dei sedimenti all’interno della Laguna. Volevamo capire se l’effetto che avevamo intuito fosse effettivamente di un qualche rilievo".

"Il 3 ottobre del 2020 le barriere del Mose sono state attivate per la prima volta e a partire da quel momento per tutto l’autunno-inverno 2020-2021 ci sono state ben 15 chiusure. In questo nuovo lavoro, usando l’approccio modellistico a cui ho fatto riferimento, abbiamo voluto investigare questi 15 eventi di chiusura e sulla base delle modellazioni siamo stati in grado di valutare gli effetti, a scala dell’intero bacino, della chiusura del Mose in questa sua prima fase di entrata in esercizio", continua il professor Luca Carniello, che insieme al collega Andrea D'Alpaos, è il coordinatore dello studio pubblicato nei giorni scorsi su Science Advances.

L'aumento dei sedimenti in sospensione contribuisce all'interrimento dei canali

"Il modello che abbiamo utilizzato - entra nel dettaglio Alvise Finotello - è stato sviluppato completamente dall'università di Padova e riproduce in modo fedele sia le correnti di marea che le onde da vento nonché i processi di trasporto di sedimenti associati a questi fenomeni. E’ in grado di farlo sia in condizioni di marea normale che durante le chiusure del sistema Mose e grazie all'applicazione del modello abbiamo potuto confrontare quello che è effettivamente successo con quello che sarebbe potuto succedere se il sistema non fosse entrato in funzione".

L'utilizzo delle paratoie mobili consente di mantenere i livelli di marea all’interno della Laguna al di sotto del livello di sicurezza fissato a 110 cm sullo zero mareografico di Punta della Salute ma comporta anche delle conseguenze sulla dinamica dei sedimenti: la riduzione della possibilità di accrescimento delle barene non è l'unico effetto negativo e particolare attenzione va prestata anche al fenomeno della risospensione dei sedimenti dai bassifondali, dovuta principalmente all’azione delle onde che si generano all’interno della laguna a causa dei forti venti che tipicamente accompagnano questo tipo di eventi.

"Le onde generate dal vento, propagandosi su profondità ridotte proprio grazie all’utilizzo del Mose, aumentano le sollecitazioni sui bassifondi lagunari determinando in questo modo un aumento dei sedimenti in sospensione", spiega il ricercatore sottolineando che si può osservare questo fenomeno anche visivamente "attraverso un incremento della torbidità dell’acqua durante eventi meteo-marini particolarmente intensi".

Finotello illustra poi qualche dato significativo. "Durante l’evento del 15 ottobre 2020, che è stato caratterizzato da venti di bora particolarmente sostenuti, abbiamo osservato un incremento della concentrazione di sedimenti in sospensione del 21%. Tale valore può tuttavia variare significativamente durante le diverse chiusure del Mose a seconda sia dei livelli imposti dalle chiusure all’interno della laguna, sia in funzione delle caratteristiche del campo di vento". 

Ma cosa accade a questi sedimenti risospesi? "Abbiamo valutato questo aspetto - risponde Davide Tognin, neo-dottore di ricerca del dipartimento Icea - attraverso un bilancio di sedimenti a scala dell’intera laguna: abbiamo osservato che la chiusura delle barriere implica una riduzione del volume di sedimenti disperso in mare". Tuttavia questo apparente effetto positivo va valutato alla luce della ridistribuzione dei materiali sull’intero bacino: "si vede infatti - precisa Tognin - che questi sedimenti non controbilanciano l’erosione dei bassifondali e non contribuiscono all’accrescimento delle barene".

Il ridotto dinamismo delle acque lagunari causato dalla chiusura delle bocche di porto favorisce, al contrario, il deposito dei sedimenti all’interno dei canali della laguna favorendo l’interrimento degli stessi.

 

Mancato accrescimento delle barene 

La riduzione dei livelli di marea provocata delle chiusure del Mose ha inoltre un effetto importante sulle barene "perché - spiega Davide Tognin - si trovano nella fascia superiore della zona di escursione di marea e quindi sono particolarmente influenzate dalla riduzione dei livelli".

I sedimenti possono infatti raggiungere la superficie di barena solo quando questa è sommersa. E, aggiunge il ricercatore, i risultati dello studio hanno permesso in particolare di comprendere che, durante gli eventi di bora, nella zona nord della Laguna "quasi il 50% delle barene non è stato sommerso e quindi i sedimenti non si sono depositati, nonostante la maggiore risospensione di materiale dovuta all’incremento dello sforzo sul fondo.

"Quindi - trae le somme Davide Tognin - da un lato l’interrimento dei canali e dall’altro il mancato accrescimento delle barene causano un generale appiattimento delle morfologie lagunari con potenziali conseguenze negative per l’intero ecosistema lagunare".

Possibili contromisure per cercare un equilibrio 

"E’ chiaro che la difesa della città di Venezia e dei centri abitati dalle acque alte è una questione irrinunciabile e non è in discussione. Il nostro articolo non mette in dubbio questa necessità. Non sfugge però alla nostra attenzione che la regolazione delle bocche ha, contrariamente a quanto si pensi, effetti negativi sulla morfologia e sull’ecosistema lagunare, e questo dimostra che l’idraulica spesso non è intuitiva", precisa Andrea D'Alpaos, docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova e coordinatore dello studio insieme a Luca Carniello.

"Il Mose è nato per difendere Venezia e i centri abitati dalle acque alte ma non ha effetti altrettanto benefici sulla laguna", continua D'Alpaos spiegando che è fondamentale cercare un compromesso tra le esigenze di protezione delle aree urbane dalle inondazioni e la salvaguardia dell'ecosistema lagunare.

"E’ necessario contrastare questi effetti con interventi mirati come l'incremento di apporto di sedimenti, ad esempio di origine fluviale, la conservazione e il ripristino di sistemi di barena anche attraverso nature based solutions che innescano feedback positivi tra processi fisici e biologici, il rialzo delle rive, la protezione delle barene esistenti e soprattutto una migliore gestione delle procedure di chiusura delle paratoie. Su tutti questi interventi noi come ricercatori possiamo dare un grande contributo", conclude D'Alpaos.

Gli ecosistemi di barena - ricordava il docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova in una precedente intervista - stanno scomparendo con tassi allarmanti in tutto il mondo ed è un processo da contrastare con molta attenzione perché essi forniscono vari servizi ecosistemici di elevato rilievo: filtrano nutrienti e inquinanti, attenuano i livelli di marea e gli effetti delle onde da vento, forniscono habitat fondamentali per diverse specie animali e vegetali e sono in grado di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera immagazzinando carbonio organico nei loro suoli con una scala temporale che va da centinaia a migliaia di anni.

Il nuovo studio pubblicato su Science Advances, oltre a confermare che un uso ripetuto e prolungato delle paratoie del Mose (sempre più probabile visto che i cambiamenti climatici aumentano la frequenza degli eventi estremi) mette in pericolo la sopravvivenza di queste suggestive formazioni pianeggianti tipiche degli ambienti lagunari, ha rilevato anche effetti più complessivi sull’idrodinamica e sul trasporto di sedimenti all’interno della Laguna.

Gli autori hanno precisato che soluzioni ingegneristiche diverse da quella adottata per il Mose non avrebbero modificato in modo sostanziale le dinamiche evidenziate dallo studio ma pongono l'accento sulla necessità di inseguire un equilibrio che deve passare attraverso contromisure diversificate, in grado di mitigare gli effetti messi in luce dalle indagini, e attraverso una gestione che miri a ridurre, quando possibile, i tempi di chiusura delle paratoie mobili o ad aumentare la soglia stabilita per la loro entrata in funzione. 

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