Vedere degli operatori misurare la temperatura con dei termometri a forma di pistola e far compilare i questionari sulla salute a coloro i quali, i pochi, ancora si spostano da un luogo all’altro è sicuramente rassicurante, fa pensare che ci sia un reale controllo: ma servono veramente?
Dennis Normile prova a rispondere a questa domanda con un articolo su Science, in cui riporta come alcune “ricerche hanno dimostrato che lo screening di persone che partono ed arrivano dagli aeroporti può fare ben poco per rallentare la diffusione del virus ed è molto raro che i controlli possano intercettare dei viaggiatori infetti”.
Ma cerchiamo di capire il motivo partendo da un’esperienza concreta: il 4 marzo scorso il vice-presidente degli Stati Uniti Mike Pence ha promesso uno “screening al 100%” dei passeggeri in arrivo da Italia e Corea del Sud. L’iniziativa è andata ad aggiungersi a quella già effettuata per i passeggeri in arrivo dalla Cina. Proprio di questo primo screening però abbiamo già i risultati che, come riporta l’articolo, fanno riflettere.
Nelle prime 3 settimane infatti, è stata riscontrata una sola infezione tra i 46.016 passeggeri provenienti dalla Cina. A dirlo è un rapporto del Center for Disease Control and Prevention. Un risultato che però non coincide con la realtà dei fatti, cioè che il coronavirus negli Stati Uniti è entrato, ma in che modo, e vale anche per l’Italia, ancora non si può sapere con certezza.
Esistono quindi, diversi modi in cui le persone infette possono sfuggire alla rete, basti pensare che i termometri in questione di fatto misurano solamente la temperatura della pelle. Questa però può essere superiore o inferiore alla temperatura corporea interna. L’altro modo per “sfuggire” oltre ad una compilazione non esatta del questionario sulla salute, è il fatto che, come stiamo vedendo anche in Italia, una gran parte dei contagiati è asintomatica. Asintomatica significa che la persona in questione può tranquillamente essere ignara d’avere il coronavirus.
“ Una gran parte dei contagiati è asintomatica
A ciò si aggiunge un articolo pubblicato nel novembre 2019, cioè prima che emergesse l’attuale pandemia, che riportava come il tasso di successo per lo screening aeroportuale fosse basso.
L’articolo su Science riporta come Christos Hadjichristodoulou e Varvara Mouchtouri, due ricercatori dell’università della Tessaglia, in Grecia, abbiano esaminato 114 articoli scientifici sullo screening per le infezioni, tra cui l'Ebola, la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e l'influenza pandemica.
I ricercatori hanno scoperto come tra l’agosto 2014 e il gennaio 2016, non sia stato rilevato un singolo caso di Ebola tra i 300.000 passeggeri sottoposti a screening prima di imbarcarsi sui voli in Guinea, Liberia e Sierra Leone, i tre paesi colpiti duramente dall'epidemia di Ebola nell'Africa occidentale. Tra questi, almeno quattro sarebbero stati positivi e sarebbero passati attraverso lo screening di uscita senza essere rilevati tali perché ancora privi di sintomi.
Stesso risultato anche per lo screening dei passeggeri in arrivo monitorati durante la stessa epidemia. Non ci sarebbero stati casi rilevati ma almeno due passeggeri infetti da Ebola sarebbero arrivati negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Date le premesse delle già citate epidemie, i due scienziati concludono ipotizzando che anche lo screening aeroportuale per COVID-19 avrà la stessa bassa efficacia.
Ma quanto costano questi screening?
L’articolo pubblicato su Science riporta come il solo Canada abbia speso nel 2003 5,7 milioni di dollari per un programma di screening dell'entrata SARS, senza aver raggiunto alcun risultato. Hadjichristodoulou e Mouchtouri però mettono in luce anche come questi non siano solamente soldi “spercati”. I due ricercatori illustrano come “attuando lo screening di uscita per l'Ebola, i paesi dell'Africa occidentale colpiti dall'epidemia potrebbero aver contribuito a evitare ulteriori restrizioni di viaggio da parte di altri paesi”
Questi monitoraggi inoltre seguono le linee guida dell’Oms che in merito parlano di “controlli della temperatura e dei sintomi e interviste ai passeggeri per la potenziale esposizione a contatti ad alto rischio”.
In caso di viaggiatori sintomatici inoltre, com’è ragionevole che sia, questi devono essere immediatamente sottoposti ad ulteriori esami che, se confermassero una positività, porterebbero all’isolamento di questi individui. Pratiche che oramai conosciamo molto bene e che vediamo quotidianamente anche in Italia.
Ma quindi perché viene fatto lo screening?
Su questo punto la risposta viene fornita dall’epidemiologo Ben Cowling dell'Università di Hong Kong. "Le misure - ha dichiarato Ben Cowling - volte a catturare le infezioni nei viaggiatori ritarderanno solo un'epidemia locale e non la prevarranno". Per dirla in modo più diretto e rifacendoci alla conclusione dell’articolo pubblicato su Science, potremmo affermare che lo screening serve principalmente a mostrare ai governi che stanno facendo qualcosa.