MONDO SALUTE

In Salute. Fegato sotto i riflettori dopo uno studio su Covid-19

Perché continuare a parlare di Covid-19? Perché, nonostante l’emergenza sia conclusa da tempo, nei laboratori la ricerca prosegue e riesce a dare risposte a interrogativi finora rimasti insoluti. Ma c’è di più. Ci sono circostanze in cui le nuove conoscenze, su Covid-19 per l’appunto, potrebbero risultare utili anche a pazienti affetti da patologie di altro tipo. È questo il caso di uno studio pubblicato recentemente sul Journal of Hepatology da un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’università di Padova, che ha scoperto come il fegato abbia un ruolo centrale nel 25% dei casi letali di infezione da Sars-CoV-2. Ma non solo. I meccanismi implicati e descritti dagli scienziati potrebbero potenzialmente essere gli stessi che stanno alla base di alcune patologie epatiche  le cui cause rimangono tuttora ignote. 

Nel 2020 uno dei primi e più importanti focolai di Covid-19 in Europa si è sviluppato in Lombardia, nella provincia di Bergamo in particolare, dove più di 70.000 persone sono morte in soli quattro mesi. Per ottenere maggiori informazioni sul tipo di danno causato dall’infezione da Sars-CoV-2 nei diversi organi, gli anatomo-patologi degli ospedali Papa Giovanni XXII di Bergamo e Fatebenefratelli Sacco di Milano hanno eseguito le autopsie dei pazienti deceduti, rilevando che il fegato era estesamente e variamente interessato da microtrombi che colpivano la vena porta. Nonostante fosse noto che la principale causa di mortalità da Covid-19 era da imputarsi a insufficienza respiratoria acuta, già in precedenza erano state segnalate trombosi dei piccoli vasi sanguigni (microtrombosi) a carico di organi come polmone, cuore, rene. La causa di queste alterazioni rimaneva tuttavia ignota. 

“Il fegato – osserva Luca Fabris, gastroenterologo, docente del dipartimento di Medicina dell'università di Padova e autore dello studio – costituiva un modello molto interessante, perché c'era una distribuzione molto eterogenea: alcuni pazienti erano deceduti con microtrombi su più dell'80% dei vasi portali (le più piccole diramazioni della vena porta, ndr) e altri invece avevano un interessamento molto minore, del 10-20%, o del tutto assente. I microtrombi che colpivano la vena porta, inoltre, si sviluppavano in assenza di infiammazione”. 

Servizio di Monica Panetto. Riprese e montaggio di Elena Sophia Ilari

Gli scienziati hanno osservato che in presenza di microtrombi, la vena porta risultava infettata dal virus Sars-CoV-2: a essere interessati erano soprattutto i periciti, cioè le cellule situate nella parte esterna dei vasi sanguigni del fegato. Le indagini hanno permesso di rilevare che, una volta infettati, i periciti erano indotti a produrre  due particolari tipi di proteine in eccesso, il fattore tissutale e il fattore di von Willebrand. “L’infezione di queste cellule – sottolinea Paolo Simioni, direttore del dipartimento di Medicina dell’università di Padova e coautore delle ricerche – attiva la secrezione vascolare di mediatori della coagulazione, tra cui il fattore tissutale e il fattore di von Willebrand, responsabili da un lato dello stato di ipercoagulabilità locale con conseguente trombosi e dall'altro della dilatazione delle piccole arterie polmonari con conseguente ipossiemia". Si tratta in sostanza di due proteine che causano la formazione di trombi nel sangue e complicanze a livello polmonare tali da condurre al decesso. I ricercatori hanno rilevato infatti che i pazienti con più microtrombi nei vasi portali, presentavano i capillari dell'arteria polmonare dilatati e di conseguenza il sangue non poteva venire ossigenato. Questo meccanismo fisiopatologico è stato rilevato in circa il 25% dei pazienti  deceduti per Covid-19 durante la prima ondata, i quali sviluppavano un quadro di insufficienza respiratoria più tardivo. 

“Durante la pandemia – continua Simioni – non avevamo capito che fluidificare il sangue per evitare le trombosi  in realtà non si traduceva in un miglioramento della condizione del paziente, ma talvolta si rivelava addirittura dannoso e non se ne capiva la ragione. Il meccanismo che abbiamo individuato, infatti, non viene contrastato dagli anticoagulanti: è necessario piuttosto trovare un trattamento specifico che vada a ridurre nei periciti la produzione del fattore tissutale e del fattore di von Willebrand. Oggi, ipoteticamente, con le terapie geniche si potrebbe andare a modulare l’espressione  di questi fattori, usando i periciti come bersaglio”.

La cosiddetta sindrome epato-polmonare che gli scienziati hanno descritto viene rilevata anche in alcune malattie del fegato, ma finora non se ne conosceva il meccanismo che ne stava alla base: i risultati ottenuti dunque potrebbero rappresentare un modello per capire come patologie epatiche croniche  o acute si riverberano sulla circolazione polmonare causando la scarsa ossigenazione del sangue. “Partendo dalle osservazioni sui pazienti affetti da Covid-19 – argomenta Fabris –, l’idea ora è di traslare le conoscenze acquisite alle malattie del fegato. Ci sono infatti patologie vascolari epatiche (non di natura infettiva) caratterizzate da proliferazione di periciti  e microtrombosi portali: sono le venopatie portali obliterative, un tipo di malattia poco studiata che può essere associata a sindrome epato-polmonare come nel caso dell’infezione da Sars-CoV-2”. 

Conclude Paolo Simioni: “Questo lavoro rappresenta una storia affascinante per quanto concerne il ruolo del fegato nelle malattie acute e nelle condizioni di insufficienza multiorgano. Siamo certi che la rilevanza di questo meccanismo fisiopatologico vada ben oltre il Covid-19, argomento che stiamo affrontando grazie ad un finanziamento ottenuto dal Ministero della Salute”.

Le indagini che hanno portato a questi risultati sono state condotte in gran parte nei laboratori dei dipartimenti di Medicina e Medicina molecolare dell’università di Padova, in cui sono stati utilizzati microscopi confocali per l'analisi di espressione di antigeni e modelli di colture cellulari tridimensionali come organoidi. Sono state coltivate cellule endoteliali polmonari in tre dimensioni per misurare le variazioni del lume (la parte interna di un organo cavo come un’arteria o una vena) stimolate dal fattore di von Willebrand. All’ospedale Sacco di Milano, invece, sono state condotte indagini con tecniche di microscopia elettronica. Tali esperimenti hanno consentito di osservare nell'intimità delle cellule come il virus stimolasse la cascata coagulativa.

Siamo certi che la rilevanza di questo meccanismo fisiopatologico vada ben oltre il Covid-19 Paolo Simioni, direttore del dipartimento di Medicina dell'università di Padova

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012