SOCIETÀ

Divario retributivo: l’Italia non raggiunge gli obiettivi e viene rimproverata dall’Europa

Secondo uno studio condotto dal Comitato europeo dei diritti sociali, quattordici paesi su quindici violano le norme previste per l’equità salariale e le discriminazioni di genere sul posto di lavoro. Attraverso le segnalazioni pervenute dall’University of Women, una rete di associazioni presente in sedici paesi che si occupa di monitorare la vita delle donne in ambito universitario, è emerso che solamente la Svezia sta attuando a livello pratico le linee guida presenti nella Carta sociale, entrato in vigore nel 1961 e rivisto nel 1996.

A livello teorico tutti i paesi che hanno firmato la Carta sociale, hanno predisposto delle leggi per la sua applicazione ma le violazioni si sono manifestate comunque. Il 24 agosto 2016, l’University of Women, UWE, ha presentato una serie di denunce con l’obiettivo di avviare una procedura di reclamo collettiva e, dopo l’analisi da parte del Comitato europeo per i diritti sociali, ECSR, i risultati sono stati pubblicati a fine giugno di quest’anno. Anche l’Italia rientra tra i paesi che non hanno rispettato le regole.

Che cos’è il gender pay gap?

Per gender pay gap si intende la differenza di guadagno lordo tra donne e uomini. Questo indice, tuttavia, va al di là delle semplici discriminazioni. La base per valutare questa disparità è variegata: tiene in considerazione, infatti, anche diversi fattori esterni all’ambito lavorativo, come per esempio lo squilibrio tra lavoro e vita privata tra i due generi. In primo luogo, tuttavia, viene notata una segregazione settoriale: le donne sono sovrarappresentate in alcuni settori come l’assistenza sanitaria e l’istruzione, mentre in altri, in particolare quelli legati alle materie STEM in cui il livello professionale viene valutato come medio-alto, la presenza degli uomini è maggiore, permettendo così un salario più consistente.

Le denunce dell’University of Women

Prima di concentrarci sulla situazione italiana, è utile dare uno sguardo più ampio, europeo. I paesi presi in considerazione dall’University of Women sono: Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovenia e Svezia. La denuncia da parte dell’UWE ha portato alla luce diverse tipologie di violazione, dalla persistenza del divario retributivo al numero limitato di donne che occupano posizioni decisionali ai vertici delle società private, sottolineando anche l’inefficacia delle misure adottate.

Tuttavia, l’UWE e il Comitato europeo hanno ritenuto che i dati non siano affidabili, poiché sono stati violati gli articoli che riguardano la retribuzione e i sistemi di controllo all’interno dei singoli paesi. 

Italia, a che punto siamo?

Nel rapporto decisionale del Comitato europeo dei diritti sociali, l’UWE sostiene che l’Italia a oggi violi gli articoli 1, 4 comma 3 e 20 della Carta sociale, facendo riferimento alla situazione invariata del divario retributivo e al numero esiguo di donne ai vertici delle società private, pur avendo una legislazione. A questo si aggiungono le osservazione da parte delle organizzazioni dei lavoratori, come la Confederazione europea dei sindacati, e dell’Unione europea. 

Le principali denunce avanzate dalla Confederazione riguardano: la mancanza di chiarezza nel calcolo delle disuguaglianze, il bisogno di valutare le misure adottate dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo e una supervisione attiva sull’operato delle aziende. Inoltre, viene richiesto all’Italia un miglioramento sostanziale che procedurale. Nel primo caso viene fatto notare che nelle statistiche non vengono prese in considerazione le imprese più piccole in cui la disparità salariale potrebbe essere ancora più alta. Per quanto riguarda le procedure, il CES ha constatato che le misure legislative sono inefficaci, soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza di donne ai vertici.

È bene ricordare, come riportato nel rapporto, che la Costituzione italiana stabilisce già il principio di uguaglianza tra uomini e donne:

Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizioni personali e sociali

Nell’articolo 37, poi, viene esteso il concetto anche in ambito lavorativo

Art. 37 Le donne che lavorano hanno diritto alla parità di diritti e, per lavori comparabili, alla parità di retribuzione rispetto agli uomini. Le condizioni di lavoro devono consentire alle donne di svolgere il loro ruolo essenziale nella famiglia e garantire un'adeguata protezione per la madre e il bambino

A questi si aggiungono il decreto legislativo n.198 del 2006, denominato Codice delle pari opportunità tra uomini e donne basato sulle direttive dell’Unione europea, il decreto legislativo n. 105 del 2011 in cui si regolano le controversie in materia di discriminazione, e infine la legge 120 del 2011 relativa al sistema di quote per  la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate nei mercati.

Nel rapporto, l’UWE suggerisce alcuni accorgimenti da adottare per dare una svolta alla situazione. In primo luogo sottolinea l’importanza di rivedere l’iter giudiziario dei processi per discriminazione, sia per quanto riguarda il diritto civile che quello amministrativo, in particolare nei casi prima facie in cui le prove sono già sufficienti per ottenere un verdetto. Il sistema giudiziario, quindi, deve essere accessibile e affidabile, garantendo anche la protezione dalle ritorsioni in ambito lavorativo e non solo alla parte lesa. 

Un altro aspetto importante è l’accesso ai dati sui casi di discriminazione presentati in tribunale: questo passo potrebbe dare la possibilità agli organismi nazionali ed extranazionali di poter avere un quadro più preciso sul problema. Infine, l’UWE sottolinea l’importanza dell’indipendenza degli organi predisposti del Dipartimento per le pari opportunità del governo: operando in libertà, si possono raggiungere più velocemente gli obiettivi prefissati e avere più autonomia nei controlli.

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