Spesso suona il “Trillo del diavolo” Dylan Dog, protagonista dell’omonimo fumetto, preferendo il clarinetto al violino. La melodia che s’incontra nelle strisce di Tiziano Sclavi e Claudio Villa è una sonata per violino e basso continuo scritta da Giuseppe Tartini, musicista vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento, figura di assoluto rilievo nel panorama musicale dell’epoca, che trascorse tanta parte della sua esistenza a Padova. Eppure, nonostante in vita fosse acclamato come “maggior compositore dei suoi tempi”, oggi è ancora poco conosciuto. Nel suo ultimo libro dal titolo Tartini, Padova, l’Europa (Sillabe 2017) Sergio Durante, docente di musicologia all’università di Padova, indaga aspetti noti e meno noti della sua biografia. Nel contesto più ampio del progetto Tartini 2020 nel quale si inserisce – progetto di divulgazione dell’opera tartiniana coordinato dall’università di Padova – l’opera di Durante va oltre la tradizionale aneddotica per restituire un’immagine a tutto tondo dell’artista e dell’uomo nell’ambiente culturale di appartenenza.
Chi conosce Tartini lo associa probabilmente al racconto che ne fa l’astronomo Joseph Jérôme de Lalande, secondo cui nel 1713 il diavolo sarebbe apparso in sogno al musicista e si sarebbe messo al suo servizio, suonando con il violino una melodia di tale fascino che Tartini volle metterla in partitura. È questa la genesi (pur con dettagli storicamente inesatti) della sua opera forse più nota, la “sonata del diavolo” o sonata per violino in sol minore, anche se ciò che il musicista e compositore istriano ha tramandato ai posteri è molto di più. “Il maggior contributo di Tartini – spiega Sergio Durante – è sicuramente la sua intera opera musicale. Si tratta di circa 420 composizioni che sono per la maggior parte inedite, con una sproporzione tra quello che ci ha lasciato e quello che oggi conosciamo. Da circa 20 anni all’università di Padova studiamo Tartini e questo ci permette oggi di avviare l’edizione integrale delle opere, riconosciuta come edizione nazionale dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”.
Nato nel 1692 a Pirano in Istria da una famiglia di nobili origini, Tartini arriva a Padova nel 1708 spinto dalla famiglia agli studi di legge e all’abito ecclesiastico. Alla morte del padre, lo spirito ribelle e indipendente lo induce ad abbandonare l’università e la vita ecclesiastica e a sposare, giovanissimo, Elisabetta Primazore pur di condizione sociale a lui inferiore. Poco dopo Tartini lascia Padova (e la moglie) e trova alloggio nel convento dei padri minori conventuali di Assisi dove si ferma per alcuni anni. È a questo punto che inizia la sua formazione musicale, in particolare lo studio del violino cui fino a quel momento si era dedicato solo per pochi mesi all’età di 12 anni. Intorno al 1713 ritorna dalla moglie e prende casa a Venezia, pur mantenendo i rapporti con il centro Italia, dove ottiene i primi ingaggi come orchestrale al teatro La Fenice di Ancona, al teatro della Fortuna di Fano e a Camerino. Sempre ad Ancona scopre quello che ancora oggi è noto come ‘suono di Tartini’, cioè “l’effetto di interferenza fra due suoni che, se perfettamente intonati, ne generano un terzo appena percepibile”. Un fenomeno acustico che descriverà nel Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia del 1754. Dopo un ulteriore periodo di perfezionamento nelle Marche, nel 1721 Tartini viene assunto come “primo violino e capo di concerto” dell’orchestra della Basilica di Sant’Antonio di Padova, dove rimarrà per il resto della vita, se si esclude un breve periodo di tre anni trascorso a Praga. A Padova nel corso degli anni tesse una fitta rete di rapporti con alcune figure di spicco del panorama artistico dell’epoca, tra cui Giovanni Battista Ferrandini sulle cui musiche aveva studiato Bach, Giuseppe Ximenes d’Aragona diplomatico e mecenate musicale, Gaetano Guadagni, uno dei cantanti più importanti del secolo, David Garrick, attore teatrale, drammaturgo, produttore e grande interprete di Shakespeare. Senza contare il compositore e violoncellista Antonio Vandini con cui suona per quasi 50 anni.
All’attività di musicista e compositore Tartini, raggiunto l’apice della capacità violinistica, affianca anche l’attività didattica. Nel 1728 fonda, sempre a Padova, la scuola delle Nazioni dove istruisce moltissimi studenti provenienti da tutta Europa, molti dei quali diventano musicisti e compositori famosi. L’arte dell’arco rimane ancora oggi un testo fondamentale nell’apprendimento della tecnica violinistica, insieme al Trattato degli abbellimenti, un lavoro sull’ornamentazione improvvisata.
“Primo violino d’Europa”, così nel Settecento è acclamato Tartini in tutto il continente. “Il grande successo del musicista istriano nel suo tempo – approfondisce Durante – si spiega come espressione di un certo tipo di modernità. Per Tartini modernità significava trasparenza, comprensibilità dei suoi testi musicali, ma anche raffinatezza dell’esecuzione e fu questo ad attrarre i suoi contemporanei. Pur in modo diverso anche Bach era un musicista moderno, ma all’epoca ha avuto molto meno successo e meno spendibilità a livello europeo di Tartini”.
Perché dunque in ombra per tanto tempo? Durante spiega che per essere apprezzato pienamente Tartini necessita di un tipo di esecuzione musicale che solo in anni recenti è stato valorizzato. Servono musicisti di altissimo livello in grado di produrre anche delle improvvisazioni ornamentali sopra ai testi tartiniani. “Non è facile trovare il livello e le competenze che facciano amare in pieno la sua musica. Mozart, ad esempio, è un musicista che può essere maggiormente apprezzato dagli ascoltatori, perché non sempre richiede quel tipo di capacità che servono per eseguire Tartini”.