SOCIETÀ

Egitto, per zittire il dissenso si minaccia l'università

La stampa internazionale sta seguendo con interesse il caso di Emad el-Din Shahin, docente di politiche pubbliche all’American University del Cairo, accusato dal governo militare egiziano di spionaggio internazionale, collaborazione con l’organizzazione palestinese Hamas, finanziamento di gruppi terroristici e attentato all’ordinamento dello stato. Il professor Shahin è uno dei piu illustri politologi egiziani, è curatore della Oxford Encyclopedia of Islam and Politics e vanta numerosi incarichi di insegnamento negli Stati Uniti, essendo stato visiting professor ad Harvard, a Georgetown e alla University of Notre Dame. Si tratta di una figura pubblica molto nota, spesso ospite in TV nelle vesti di analista politico e che non si è mai tirato indietro quando c’era da criticare la giunta militare. Recentemente, per esempio, aveva pubblicamente ridicolizzato il risultato del referendum sull’adozione della nuova costituzione, passato con il 98,1% dei voti, paragonandolo ad analoghi referendum per nulla democratici organizzati da Saddam Hussein in Iraq o da Assad in Siria.

Da fine gennaio Shahin è indagato all'interno di una vasta inchiesta condotta dalla magistratura contro il deposto presidente Morsi e i Fratelli Musulmani. Essendo stato raggiunto dalla notizia del possibile arresto mentre si trovava negli Stati Uniti per partecipare a un convegno, da allora non ha fatto rientro in Egitto. L’offensiva giudiziaria della giunta militare è volta a stroncare le ultime resistenze politiche e civili fedeli a Morsi e a smantellare quel network internazionale che continua a fornire sostegno ai Fratelli Musulmani. Sin dall’inizio, Shahin è stato un severo critico della presa di potere da parte dei militari ed è evidente che l’offensiva nei suoi confronti ha a che fare con le sue posizioni più volte pubblicamente espresse. Ma l’indagine su di lui non riguarda solo la libertà di pensiero e le normali regole democratiche: pone anche evidenti e specifici interrogativi sulla reale libertà dei docenti universitari egiziani, in particolare dei politologi, degli storici e degli studiosi dell’Islam. Le controverse accuse mosse a uno dei più illustri accademici del paese stanno infatti mettendo paura a molti dei suoi colleghi, timorosi che ogni affermazione espressa in un’aula universitaria possa essere interpretata come un appoggio ai Fratelli Musulmani e metterli a rischio di essere perseguiti penalmente.

L’intenzione della giunta militare non sembra soltanto quella di rendere inoffensive le opposizioni politiche ma anche di zittire ogni voce di dissenso, instaurando un clima di paura anche nelle aule universitarie. Il caso di Shahin non è il primo che è capitato nell’Egitto dei militari. Lo scorso anno due visiting professor canadesi hanno trascorso due mesi ciascuno nelle carceri egiziane, accusati di aver assaltato una stazione di polizia assieme a membri dei Fratelli Musulmani. Solo il deciso intervento della diplomazia nordamericana ne ha permesso il rimpatrio dopo la detenzione. Appena pochi mesi fa, Amr Hamzawy, collega di Shahin al Cairo e parlamentare liberale, è stato accusato di “offesa all’istituzione giudiziaria”, per un tweet in cui criticava una sentenza della magistratura. Secondo Shahin, inoltre, alcuni suoi colleghi hanno rinunciato a partecipare a convegni internazionali, nel timore di essere accusati di propaganda sovversiva e di collaborazione con organizzazioni terroristiche.

Il lavoro del politologo sembra essere diventato qualcosa di impossibile da portare avanti poichè il timore di sanzioni impedisce ogni possibile analisi neutrale. Sempre secondo numerosi accademici solidali con Shahin, le cose andavano decisamente meglio al tempo del regime Mubarak, quando, sebbene quella dei Fratelli Musulmani fosse considerata un’organizzazione illegale, nessun ricercatore ebbe mai problemi nell’intervistarli o nel pubblicare ricerche che li riguardassero o che criticassero il governo in carica.

Nel frattempo Shahin sta raccogliendo solidarietà internazionale e accrescendo la sua notorietà accademica, essendo ormai coinvolto in una specie di tour delle università americane. Il Committee on Academic Freedom of the Middle East Studies Association of North America ha espresso in un comunicato la sua solidarietà a Shahin, docenti e ricercatori della Georgetown University hanno scritto una lettera aperta invitando il governo egiziano a ritirare le accuse e anche tutti i colleghi di Shahin dell’American University del Cairo hanno firmato un documento a suo favore.

Un allarme e una solidarietà molto vivi in ambito anglosassone, ma meno sentiti sul posto. Il resto del mondo accademico egiziano, sia per una disincantata visione della situazione, per un diverso metro di valutazione in un paese che ha avuto decenni di governi autoritari o per il timore degli islamisti tutt'ora ben presente, sembra meno preoccupato da questi eventi. Hassan Nafaa, professore di scienza politica alla Cairo University ritiene che questioni riguardanti la libertà accademica non siano all’ordine del giorno e che l’episodio occorso a Shahin sia normale in un periodo di transizione come quello che sta vivendo l’Egitto. Il vero problema, secondo Nafaa, sono le proteste degli studenti islamici che hanno creato molte difficoltà al normale svolgersi di lezioni ed esami, e che soltanto l’intervento della polizia ha potuto stroncare.

Marco Morini

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