SOCIETÀ

Fame zero è possibile, ma modificando gli stili di vita

L’agricoltura biologica e i sistemi diversificati di produzione agricola e zootecnica, in un percorso congiunto di trasformazione della dieta e riduzione dello spreco alimentare, possono contribuire a nutrire la popolazione mondiale, più di 9 miliardi di persone, nel 2050, e farlo in modo sostenibile, anche rispetto alla domanda di superfici coltivate e di conversione di ecosistemi naturali e semi-naturali.

Il 16 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale dell'alimentazione. Istituita nel 1979 dal Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite, l’evento ha l’obiettivo di sensibilizzazione l'opinione pubblica rispetto al problema della fame nel mondo. La data scelta per l’evento coincide con l'anniversario della fondazione della stessa FAO (16 ottobre 1945). Il tema dell'edizione di quest’anno è sintetizzato nello slogan "Le azioni sono il nostro futuro. Un mondo #famezero entro il 2030 è possibile".

Sul pianeta quasi 2 miliardi di persone hanno difficoltà di accesso al cibo. Di queste circa 821 milioni soffrono la fame per denutrizione e malnutrizione cronica e le statistiche registrano trend di crescita. Il 60% di queste sono donne. Circa il 70% delle popolazioni più povere vive in aree rurali e lavora nel settore dell'agricoltura. La malnutrizione cronica, associata a un livello di sufficiente assunzione calorica, interessa circa 2 miliardi di persone (carenza di proteine, iodio, vitamina A, acidi grassi fondamentali, zinco o ferro). Allo stesso tempo circa 2 miliardi sono in sovrappeso e malnutriti, di cui 600 milioni in condizioni di obesità. Secondo il rapporto del 2016 sulla nutrizione a livello globale (IFPRI, 2016), la malnutrizione e la dieta sono ritenuti i maggiori fattori di rischio per la salute a livello globale. Attualmente il 45% delle morti infantili è dovuto alla denutrizione, mentre 151 milioni di bambini con meno di 5 anni soffrono di rachitismo.

La fame nel mondo uccide più dell'Aids e della tubercolosi. La Fao ha redatto una serie di linee guida e proposte per raggiungere quello che è l'obiettivo, oltre che della kermesse, anche dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile: la fame zero. Secondo la FAO, due sono le strade maestre per raggiungere quest’obiettivo a fronte d’una popolazione mondiale in crescita, che si prevede possa raggiungere i 9 miliardi nel 2050: la riduzione delle perdite e dello spreco alimentare e la tutela e diffusione dei cosiddetti diversified farming systems.

Il costante aumento dei prezzi dei prodotti alimentari registrato negli ultimi anni e il livello crescente di persone affamate e malnutrite del pianeta, come pure una serie multipla di stress (inclusi i cambiamenti climatici) che agiscono sulla produttività delle colture, hanno accresciuto la consapevolezza tra i decisori politici e il pubblico in generale rispetto alla fragilità del sistema alimentare globale. La gravità del tema è stata affrontata dall’edizione 2015 dell’Expo di Milano, il cui titolo Feeding the Planet, Energy for Life, è eloquentemente un invito per la politica, la scienza e le imprese, a trovare soluzioni rapide e sostenibili alla questione della sicurezza alimentare del pianeta. Il tema di Expo 2025 riecheggiava il titolo How to feed the world in 2050, un memorabile forum svoltosi nel 2009 presso la FAO, durante il quale centinaia di esperti di ogni parte del mondo si riunirono per discutere le soluzioni più adatte a garantire la sicurezza alimentare nel 2050. Per quella data i demografi ritengono che la popolazione mondiale possa raggiungere 9 miliardi di persone e che la domanda globale di alimenti e possa crescere del 70% rispetto a quella attuale. Altri elementi di preoccupazione rispetto alla sicurezza alimentare derivano da una competizione endogena al sistema agricolo (la competizione dei suoli agricoli tra prodotti alimentari e non alimentari, tra cui biocarburanti e bioplastiche) e da una esogena (la competizione per le risorse territoriali e idriche derivanti da altri settori produttivi e dall’espansione degli insediamenti urbani e infrastrutturali).

In più, di fronte a questo scenario, occorre assicurare l’integrità degli habitat naturali e seminaturali e, più in generale, della biodiversità, prerequisito dei servizi ecosistemici, sui quali si fonda il benessere delle comunità. How Much Land Can Ten Billion People Spare for Nature? si domandava in un celebre articolo Paul Waggoner nel 1997. L’autore affrontava la gravità delle sfide poste dai trend demografici e dall’aumento della domanda globale di cibo e fibre e alla compatibilità tra le strategie per la sicurezza alimentare del pianeta e quelle della protezione della natura e della biodiversità rispetto all’uso del territorio.

In questo contesto è importante chiedersi quale ruolo rivesta l’agricoltura biologica e tutte le forme di produzione ritenute sostenibili, raggruppate ora nell’espressione diversified farming systems (DFS), i quali includono tutte quelle "pratiche agricole […] che - intenzionalmente - includono la biodiversità funzionale a scale spaziali e/o temporali multiple, al fine di mantenere servizi ecosistemici che forniscono input cruciali all'agricoltura, quali la fertilità del suolo, il controllo dei parassiti e delle malattie, l'efficienza nell'uso dell'acqua e l’impollinazione”, e quale sarà il contributo che esse potranno garantire alla conservazione dell’ambiente naturale e nella fornitura a breve e lungo periodo dei servizi ecosistemici.

I dati resi disponibili dal FiBL-IFOAM ne 2018 attestano che l’agricoltura biologica mondiale ha raggiunto nel 2016 quasi 58 milioni di ettari (incluse le superfici in conversione), registrando un aumento di 7,5 milioni rispetto al 2015. La percentuale di aree biologiche è pari a poco meno all’1,3% della superficie agricola utilizzata nel mondo (circa 4,6 miliardi di ettari). In Europa la superficie biologica ammonta a circa 14 milioni di ettari. In Italia, nel 2017, le superfici investite e in conversione bio sono state pari a circa 1,9 milioni di ettari, con un incremento del 6,3% rispetto al 2016 e del 71% rispetto al 2010. Gli operatori del settore sono quasi 76.000 con un aumento del 5,2% rispetto al 2016. L’Italia è al quinto posto nell'EU-28 per quanto riguarda la percentuale di superficie interessata dall’agricoltura biologica, che nel 2017 si estendeva sul 15,4% della superficie agricola utilizzata. La performance positiva dell'agricoltura biologica valutata rispetto a una serie d’indicatori ambientali è stata ampiamente riportata in letteratura, sia a scala internazionale, sia nazionale. Ciò significa, per esempio, che la conversione da convenzionale a biologico riduce sensibilmente il contributo dell’agricoltura all'alterazione del ciclo dell'azoto o all’effetto serra o alla perdita dell’integrità biologica. Viceversa, l’agricoltura biologica, che non ha come obiettivo principale il raggiungimento d’elevati livelli di produzione, ha dei livelli più bassi di produzione per unita di superficie rispetto a quella convenzionale. Di conseguenza, la capacità dell'agricoltura biologica di nutrire il mondo in modo sostenibile è messa in discussione. Da qui deriva una questione fondamentale nel dibattito sul contributo dell’agricoltura biologica per il futuro dell’agricoltura mondiale: è ragionevole immaginare una conversione su grande scala a biologico di miliardi di ettari di suoli agricoli attualmente gestiti con sistemi convenzionali? In che misura l’agricoltura biologica potrà essere in grado di produrre cibo a sufficienza per sfamare il mondo e garantire la sicurezza alimentare?

I sistemi agricoli biologici si caratterizzano per i rendimenti inferiori rispetto al sistema convenzionale, mediamente del 3% per la frutta, del 10% per i semi oleaginosi; del 25% per i cereali e del 35% per gli or-taggi. Alcuni studi evidenziano che complessivamente i suoli biologici producano una resa media di circa il 20-25% più bassa di quella dei sistemi convenzionali intensivi. Questa differenza è imputabile prima di tutto a una minore disponibilità di azoto e di fosforo nel suolo (per effetto del mancato apporto di nutrienti di sintesi nei campi biologici). Ciò significa che, teoricamente, per avere la stessa produzione attuale tramite il sistema biologico occorre aumentare del 20-25% l’attuale superficie agricola utilizzata. In sostanza occorrere reperire nuove aree da destinate alla produzione di alimenti e fibre, per un’estensione compresa tra 0,8 e 1,2 miliardi di ettari, da aggiungere agli attuali 4,6 miliardi di ettari di superficie agricola utilizzata a scala mondiale, sottraendole ad altre forme di uso del suolo, naturali o semi-naturali, come foreste, aree umide, pascoli (da questa stima sono escluse le aree agricole che sarebbero necessarie per rispondere alla crescente domanda di alimenti e fibre da parte della popolazione e della trasformazione dei regimi alimentari a scala globale).

Gli effetti sarebbero devastanti per la diversità biologica, le risorse idriche, l’atmosfera, e contribuirebbero ad alterare ancora di più i processi bio-geo-fisici planetari. Secondo questo approccio, i benefici ambientali dell'agricoltura biologica sarebbero meno evidenti, o addirittura assenti. Innanzi tutto va segnalato che questi studi tendono a non includere nelle loro valutazioni il declino nel tempo della produttività dei terreni agricoli gestiti con pratiche intensive. Ciò non accade invece nei suoli bio, dove il principale obiettivo è proprio il mantenimento e miglioramento dei livelli di sostanza organica e, più in generale, della fertilità dei suoli. Inoltre, il problema è che questi studi che mettono in discussione la capacità dell'agricoltura biologica di nutrire il mondo in modo sostenibile hanno uno sguardo al sistema alimentare che è limitato alla produzione e ai rendimenti e non valutano il potenziale sviluppo su grande scala del biologico all’interno dei sistemi alimentari osservati da una prospettiva più vasta e inclusiva, analizzando gli effet-ti rispetto a una serie complessa d’indicatori ambientali e produttivi. Lo scenario di conversione graduale al biologico su grande scala va considerato in combinazione con altre modifiche al sistema alimentare, indirizzate in particolare:

1. Alla riduzione della produzione di mangimi per bestiame su terreni agricoli - con corrispondenti riduzioni del numero di animali e dell'offerta di prodotti zootecnici (e quindi del consumo umano) - che viceversa possono essere utilizzate per produrre alimenti per l’umanità;

2. Alla diminuzione dello spreco alimentare, con livelli e impatti di produzione conseguentemente ridotti.

Lo sviluppo dell’agricoltura biologica e di altri diversified farming systems nel sistema alimentare globale, in un percorso congiunto di riduzione e trasformazione della dieta e dello alimentare, può contribuire a nutrire più di 9 miliardi di persone nel 2050 e farlo in modo sostenibile, anche rispetto alla domanda di superfici da destinare alla coltivazione e alla nutrizione animale e ai rischi di aumentare la pressione sugli ecosistemi naturali e semi-naturali.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012