CULTURA

La fiducia nella scienza, secondo Massimo Polidoro

Il nuovo libro di Massimo Polidoro, pubblicato quest’anno per Piemme edizioni e intitolato “Pensa come unə scienziatə – come coltivare l’arte del dubbio”, mira a rispondere a una domanda fondamentale del nostro tempo: perché fidarsi della scienza?

Questa stessa domanda è anche il titolo di un altro recente libro, che Massimo Polidoro cita in coda al suo come possibile approfondimento, pubblicato da Naomi Oreskes, scienziata della Terra e filosofa della scienza che lavora ad Harvard, che si è occupata di cambiamento climatico e delle dinamiche che portano alla costruzione del consenso scientifico attorno a un tema.

Nel 2004 Oreskes ha pubblicato un lavoro in cui analizzava quasi 1000 paper scientifici sul cambiamento climatico, per mostrare che la quasi totalità di quella comunità di esperti era già allora concorde nel ritenere che il riscaldamento globale fosse responsabilità delle attività antropiche.

Quella dell’accettazione del consenso sul cambiamento climatico sarebbe una storia lunga da raccontare: Oreskes l’ha fatto in un altro libro ancora, scritto a quattro mani con Erik Conway, Mercanti di dubbi. Una storia analoga, e che ancora oggi si sta scrivendo, si potrebbe raccontare per l’accettazione del consenso attorno all’efficacia dei vaccini. A livello di percezione sociale infatti le conoscenze scientifiche acquisite impiegano spesso molto tempo a venire accettate e devono di frequente fare i conti con il muro del negazionismo.

Specialmente con la pandemia ci siamo accorti di quanto le ragioni per riporre fiducia nella scienza siano cruciali per tutta la società e di quanto la nostra società dipenda dall’affidabilità della conoscenza scientifica.

Perché fidarsi della scienza? Oreskes ha risposto a questa domanda da un punto di vista accademico. Massimo Polidoro, giornalista, scrittore e segretario nazionale del Cicap, nel suo ultimo libro risponde a questa stessa domanda portando il dibattito fuori dalle aule accademiche e rendendolo accessibile a tutta la società, o per lo meno a coloro che da comuni cittadini decidono di interessarsene.

Il libro di Massimo Polidoro è diviso in due parti. La prima è un breviario di che cos’è il metodo scientifico, mentre la seconda mostra come l’applicazione di una mentalità scientifica nella vita quotidiana debba fare continuamente i conti con una serie di tranelli cognitivi (detti anche bias cognitivi) che tendono sempre a farci scegliere la soluzione più comoda, meno faticosa, che meglio si adagia alle nostre convinzioni preesistenti. Come un novello Sherlock Holmes, il lettore è invitato a riflettere sugli indizi e a non farsi trarre in inganno da quelli fuorvianti.

Coltivare l’arte del dubbio (il sottotitolo del libro) deve infatti comportare sempre un minimo di fatica cognitiva: dobbiamo vincere noi stessi e la nostra pigrizia cognitiva per imparare a ragionare bene e a dubitare bene. Perché si fa presto a dubitare male e passare da un sano scetticismo a un paranoico sospetto.

Nemmeno gli scienziati del resto sono immuni da tranelli cognitivi, da false credenze o convinzioni bizzarre. Soprattutto fidarsi della scienza è molto diverso dal fidarsi dei singoli scienziati, che di solito sono molto competenti nel proprio ambito specialistico, ma non sono e non possono essere tuttologi.

Se noi considerassimo Galileo il primo scienziato, intorno al 1600 potremmo dire che al mondo esisteva 1 scienziato. Nel 2021, più di 400 anni dopo, gli ultimi rilievi dicono che al mondo ci sono circa 8 milioni di ricercatori che producono conoscenza scientifica. Le stesse discipline scientifiche si sono frammentate e moltiplicate. La fisica non è più solo lo studio di leggi universali come quella del moto rettilineo uniforme: esiste la fisica delle particelle, la meccanica quantistica, la teoria della relatività, la cosmologia, l’astrofisica. Lo stesso si può dire per la biologia: evoluzionistica, molecolare, cellulare, eccetera. La medicina ha tante branche almeno quanti sono i reparti di un ospedale. Solo con la pandemia abbiamo avuto modo di conoscere epidemiologi, virologi, immunologi, infettivologi, accomunati dal camice bianco ma esperti di campi molto diversi tra loro. È pressoché impossibile che un virologo sia esperto anche di fisica delle particelle. Persino un Nobel tende ad essere esperto solo dell’ambito per cui ha vinto il Nobel.

La visione soggettiva dello scienziato, a volte chiamata anche visione a tunnel per via della sua estrema specializzazione, non è ciò su cui dobbiamo fare affidamento, sottolinea Massimo Polidoro. Quello che conta è il consenso scientifico di una comunità di scienziati.

Spesso si è sentito che le modalità di costruzione di questo consenso non sarebbero democratiche, ma questa metafora è fuorviante e troppo semplicistica: coglie poco sia della democrazia (riducendola al solo momento elettorale) sia della scienza, che anzi, come ricorda Massimo Polidoro, fa della lotta al principio di autorità una sua battaglia costitutiva. Far quindi passare lil singolo scienziato per autorità insindacabile non è mai un buon servizio né alla società che ascolta né alla scienza.

Infine, o meglio sin dall’inizio, sin dal titolo, Massimo Polidoro ricorda quanto sia importante per la comunità scientifica essere il più inclusiva possibile. La scelta di mettere lo schwa nel titolo vuole ricordare proprio questo. Se l’agenda della ricerca viene stabilita da una ristretta comunità di uomini bianchi, occidentali e benestanti, probabilmente non saprà raccogliere adeguatamente tutte le sfide che il mondo oggi ci pone dinnanzi.

E forse sarebbe bene che l’invito a pensare come unə scienziatə non venisse rivolto solo ai cittadini comuni, ma venisse raccolto anche dai decisori politici. La pandemia, specialmente in Italia, ha inaugurato un dialogo inedito tra scienza e politica, che sarebbe il caso di mantenere vivo in vista degli obiettivi che ci siamo dati per i prossimi decenni: uno su tutti, quello della transizione ecologica e della lotta al cambiamento climatico.

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