CULTURA

Le armi mentali per assomigliare a Sherlock Holmes

Ci sono bambini fortunati che hanno avuto l’opportunità di incontrare il personaggio Sherlock Holmes fin dall’infanzia. Altri lo hanno fatto più tardi, ma la maggior parte di loro, indipendentemente dal momento in cui si sono avvicinati per la prima volta all’investigatore, sono rimasti affascinati dal suo acuto intelletto e dalla sua straordinaria capacità di osservazione. L'immagine di Holmes, con il suo iconico cappello deerstalker e la pipa, incarna l'ideale dell'investigatore brillante e infallibile.
I giovani lettori sono attratti dal suo metodo deduttivo, dalla sua logica implacabile e dalla sua dedizione alla verità. La figura di Holmes non solo rappresenta l'avventura e il mistero, ma anche un modello di pensiero critico e di attenzione ai dettagli: naturale che il desiderio di questi bambini sia quello di assomigliare un po’ a lui, emulando la sua capacità di risolvere enigmi complessi, il suo distacco emotivo che gli permette di affrontare i casi con freddezza e razionalità, e la sua instancabile ricerca della giustizia. Questo desiderio di somiglianza spinge i giovani a sviluppare le proprie capacità di analisi e ragionamento, trasformando l'ammirazione per il detective in un percorso di crescita personale e intellettuale.

Ma possiamo davvero essere come Sherlock Holmes? Questa è una delle domande a cui troviamo risposta nel libro di Massimo Polidoro Sherlock Holmes e l'arte del ragionamento, edito da Feltrinelli nel 2024.
Il libro tratta del metodo e delle tecniche del celebre detective creato da Arthur Conan Doyle, ma questa è solo la punta dell’iceberg, perché Polidoro ci presenta uno Sherlock un po’ meno granitico rispetto a quello che forse ricordiamo.

Il libro è diviso in diversi capitoli, ognuno dei quali affronta aspetti specifici del metodo di Sherlock Holmes. Dalla capacità di osservazione alla deduzione logica, Polidoro illustra come Holmes riesca a risolvere i casi più intricati grazie alla sua straordinaria capacità di analisi.
Si comincia dal contesto storico e letterario e dal carattere di Holmes, sottolineando come la sua mancanza di emozioni e il suo approccio scientifico lo rendano un investigatore unico. Viene anche esplorata la relazione tra Holmes e il suo amico e biografo, il dottor Watson, e come questa dinamica contribuisca alle indagini: Watson siamo tutti noi, persone abituate a vedere senza osservare, persone che quando Holmes rivela il “trucco” pensano che alla fin fine era ovvio. Ovvio sì, ma solo per chi applica il metodo e l’osservazione.

Uno dei punti focali del libro è proprio l'importanza dell'osservazione. Polidoro spiega come Holmes riesca a cogliere dettagli apparentemente insignificanti, trasformandoli in indizi fondamentali per risolvere i misteri. Attraverso esempi tratti dai racconti di Conan Doyle, l'autore mostra come la capacità di osservazione possa essere sviluppata e affinata. Viene illustrato come Holmes la usi per costruire un quadro completo delle persone e delle situazioni, permettendogli di fare deduzioni precise e accurate.

Ma siamo proprio sicuri che si tratti proprio di deduzioni e che si possa parlare, come quasi sempre si fa, metodo deduttivo? Polidoro infatti chiarisce un comune malinteso: anche se il termine "deduttivo" è spesso associato a Sherlock Holmes, il metodo da lui utilizzato è più propriamente un metodo induttivo o abduttivo.
La deduzione, infatti, parte da principi generali per arrivare a conclusioni specifiche. Ad esempio: se tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un uomo, allora Socrate sarà mortale. L’induzione, invece, parte da osservazioni specifiche per arrivare a conclusioni generali. Ad esempio, durante l'autunno degli ultimi cinque anni, osservi che le rondini lasciano la regione e migrano verso sud. Da qui induci che ogni anno in autunno le rondini migrino. Per finire, l’abduzione parte da un insieme di osservazioni e cerca la spiegazione più probabile. Holmes unisce proprio questi due ultimi sistemi, e una delle sue frasi più citate ne è un esempio:

 

Una volta eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità Sherlock Holmes

Holmes raccoglie indizi (osservazioni specifiche) e poi formula ipotesi plausibili, per verificarle alla fine, mettendole a confronto con i fatti, cercando la spiegazione che meglio si adatti a tutti gli elementi del caso. Questo metodo è essenzialmente induttivo perché costruisce una teoria basata su dati, piuttosto che applicare una regola generale a un caso particolare.

Ma, tornando al quesito iniziale, possiamo davvero diventare come Sherlock Holmes? Non proprio, e a impedircelo è proprio il nostro cervello: Holmes rappresenta l'apice della logica, ma il nostro cervello è il prodotto di milioni di anni di evoluzione che ci ha adattato a sopravvivere piuttosto che a ragionare in modo impeccabile come fa lui. La mente umana è infatti progettata per prendere decisioni rapide e intuitive, basate su euristiche e pregiudizi che spesso ci portano a conclusioni affrettate, ma che ci hanno anche portato a sopravvivere in tempi difficili, quando non sapevi se il rumore dietro al cespuglio veniva da una preda o da un predatore. Questo "pensiero veloce," descritto da psicologi come Daniel Kahneman, è il risultato di meccanismi evolutivi che ci hanno permesso di reagire prontamente ai pericoli e di adattarci a un ambiente in continuo mutamento. Al contrario, il "pensiero lento" e analitico di Holmes richiede un'attenzione e uno sforzo cognitivo che non sono naturali per la maggior parte di noi. Anche allenandoci, raggiungere il livello di eccellenza di Holmes rimane un ideale irraggiungibile per la natura umana, plasmata dall'evoluzione per scopi diversi dalla pura razionalità logica. Tuttavia ci possiamo avvicinare, per esempio fermandoci quando ci verrebbe da condividere un articolo online il cui titolo ci fa molto arrabbiare.

Dopo aver sfatato il mito della “deduzione”, Polidoro affronta e smonta anche alcuni dei falsi miti più persistenti legati all'immagine iconica di Sherlock Holmes, caratteristiche che noi siamo abituati ad associargli, ma che non sono state menzionati direttamente da Conan Doyle, o che comunque non si devono a lui, che le ha adottate solo in un secondo tempo. Che dire del cappello deerstalker, spesso associato a Holmes? In realtà questo accessorio fu introdotto dalle illustrazioni di Sidney Paget per la rivista "The Strand Magazine," che ritraevano Holmes con il cappello da cacciatore solo in contesti rurali, ma che divenne così popolare da essere adottato in quasi tutte le rappresentazioni successive. Allo stesso modo, la pipa curva, un altro simbolo iconico, non è menzionata nei racconti di Conan Doyle. Holmes è descritto mentre fuma vari tipi di pipe, e l'associazione con la pipa curva è in gran parte dovuta alle rappresentazioni teatrali e cinematografiche, dove l'accessorio veniva scelto per la sua visibilità scenica. Anche quando immaginiamo un personaggio, quindi, la bufala è dietro l’angolo.

Ma poi, dopotutto, ci interessa davvero sapere qual era la pipa o il cappello di Holmes? Lui è un personaggio che ha saputo stimolare la nostra immaginazione, insegnandoci l’importanza di saper osservare, oltre che vedere, per ottenere un’immagine del mondo più chiara e un’arma ulteriore per affrontare le sfide di ogni giorno, mantenendo una mente aperta e superando i pregiudizi: anche solo per questo, merita di essere riscoperto, magari nelle nostre letture estive.

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