CULTURA

Hibakusha, sopravvissuto a Hiroshima

Il 6 agosto di 75 anni fa la bomba atomica esplose a Hiroshima. Tre giorni dopo venne colpita Nagasaki. Le due bombe portarono alla resa del Giappone, chiudendo definitivamente la Seconda Guerra Mondiale che, di fatto, era però già terminata con la disfatta di Hitler. Si è trattato del primo e unico utilizzo di armi nucleari in una guerra. Le conseguenze furono terrificanti: secondo alcune stime quasi 80.000 persone morirono sul colpo, altre 60.000 nelle settimane e nei mesi successivi per colpa delle radiazioni assorbite nel momento dell’esplosione. Quasi tutte civili. I sopravvissuti in Giappone vennero chiamati hibakusha. E proprio dalle parole di un hibakusha, Riku, prende vita il libro di Vichi De Marchi Nato a Hiroshima (pp. 191, euro 13,90, DeA Planet Libri editore). 

È un libro destinato a ragazze e ragazzi che forse di quella vicenda sanno ancora troppo poco. La storia comincia a Roma, dove vivono il figlio e i nipoti di Riku e dove Riku un giorno atterra dal Giappone. Il nonno porta con sé una scatolina di legno da cui non si separa mai, e che tuttavia non apre mai. Ma i ragazzi, si sa, sono curiosi e un giorno, mentre il nonno riposa, aprono la scatola scoprendo che contiene piccoli frammenti di una vita passata: una foto, una bambolina di legno…. Da qui prende le mosse il racconto di Riku. Un tornare indietro con la memoria a vicende terribili che il nonno  riuscirà a ripercorrere solo grazie alla vicinanza dei suoi amati nipoti. È un racconto che parte dal giorno dell’esplosione della bomba a Hiroshima. Riku c’era e ricorda. E, attraverso i suoi ricordi, anche noi lettori veniamo rigettati in una città spettrale che in pochi secondi ha visto sbriciolarsi quasi tutti i suoi palazzi, dove migliaia di persone ferite cercano i loro cari camminando su alti mucchi di macerie, dove i medici e gli infermieri non hanno tregua, ma non possono nulla per alleviare i dolori procurati da ferite strane che non guariscono, ma che anzi peggiorano giorno dopo giorno portando spesso alla morte.  È un racconto duro, fatto di perdite: Riku bambino perde le persone più care, la casa, gli amici. Un racconto in cui non ci sono eroi, ma solo vinti, perché la bomba atomica lascia solo vittime. 

Nel corso degli anni, racconta De Marchi ai suoi giovani lettori nell’introduzione, quest’arma letale è stata resa ancora più potente tanto che di fronte agli arsenali nucleari di oggi quelle sganciate in Giappone oltre settant’anni fa sembrano poca cosa. Oggi molte nazioni possiedono armi di distruzione di massa così potenti da far scomparire l’intera umanità. 

In molti dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki si interrogarono sul ruolo della scienza in quella tragedia. Le migliori menti della comunità scientifica europea e americana infatti erano state radunate negli Stati Uniti per mettere a punto la bomba atomica: la scienza era al servizio della guerra.  Negli anni successivi, tuttavia, molti scienziati si impegnarono proprio per ridurre il pericolo di conflitti armati e per eliminare le armi di distruzione di massa. Nasceva il movimento degli scienziati per la pace e nel 1995 l’organizzazione Pugwash Conferences on Science and World Affairs insieme al suo segretario generale Joseph Rotblat vinse il premio Nobel per la pace “per i loro sforzi volti a diminuire il ruolo svolto dalle armi nucleari nella politica internazionale e, sul lungo periodo, per eliminare queste armi”. Ma la strada per il disarmo è ancora lunga, e se qualche ragazzo si chiede se abbiamo ancora bisogno di scienziati della pace, la risposta la lasciamo a nonno Riku: “Oggi più che mai”.  

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012