CULTURA

Sullo scaffale: Tutti gli indirizzi perduti di Laura Imai Messina

Laura Imai Messina con Tutti gli indirizzi perduti (Einaudi, 2024) torna a sfiorare, anzi lo tocca decisamente – ma il suo modo è sempre, invero, delicato e poco invasivo, come un soffio carezzevole – un tema che si capisce esserle caro fin dai tempi di Quel che affidiamo al vento (Piemme, 2018). Lì c’era una cabina telefonica, installata nel bel mezzo del giardino sulla Montagna della Balena in Giappone, e scollegata, dove le persone si recavano per parlare con i loro cari perduti.

Qui invece c’è l’Ufficio postale alla deriva, ad Awashima, un’isola semi sperduta abitata da poche centinaia di anime, dove si custodiscono le lettere di cui si è letteralmente perso l’indirizzo (si è scolorito, è stato cancellato o non è mai stato vergato).

Non è un caso che in entrambi i romanzi l’intenzione sia quella di restituire una possibilità interrotta, permettere che un gesto spezzato si compia, e non è un caso che questo gesto tanto abbia a che fare con la nostra capacità di comunicare con gli altri.

Risa, la protagonista, figlia di un postino, giunta sull’isola per aiutare a dare un ordine a tutte quelle missive accumulate e mai giunte a destinazione, “amava la fragilità degli indirizzi”: ciascuno di noi potrebbe (dovrebbe) farlo, perché rappresenta la contraddizione che esprimiamo quando vorremmo comunicare e non lo sappiamo fare. Una parola lasciata in sospeso. Un discorso nemmeno cominciato. Forse persino una frase detta male o al momento sbagliato.

Risa pensò all’accordo segreto tra tempi e azioni, all’ipotesi che potesse esistere un’ora ideale per spazzolarsi i capelli o per ragionare su una relazione sentimentale, una finestra millimetrica di minuti in cui darsi da fare, un istante esatto in cui rinunciare”.

Questo romanzo, che ha i tratti della fiaba anche solo per l’atmosfera che Imai Messina ha ricreato, è una inesausta riflessione sul tempo, le sincronicità, la potenza del ricordo, la fragilità dell’attesa, il ruolo detonante della scoperta. Perché Risa ha un motivo nascosto e profondo per trovarsi lì: lo ha scelto per ragioni intime che hanno a che fare con il proprio posto nel mondo e con i fili che ci legano alle origini. “Dicono che i traumi si ereditino in una forma invisibile e che, anche se non li si sperimenta direttamente, una traccia resti sempre nelle generazioni successive”.

Ciascuno di noi, come Risa, cerca una spiegazione a quello che è accaduto, e qualcosa nella vita accade per forza. E non solo a noi. “Se non cammini non cadi” diceva la madre a Risa, “il che significa che se cammini cadrai per forza”.

Eppure, dice Risa durante la sua operazione di riordino delle missive mai giunte al destinatario, “la signora Nakamura dovrebbe venire a leggere alcune delle lettere custodite. Si accorgerebbe di quanto il dolore che prova è simile a quello di centinaia di altre donne che si trovano nella sua stessa situazione”: crediamo di essere singolarità che esperiscono per la prima volta nella storia dell’umanità e, invece, se imparassimo a guardare, scopriremmo nell’altro il nostro riflesso. Come fa Takuto con Risa, un ragazzo conosciuto sull’isola che le sta accanto mentre lei si accolla le parole di innumerevoli altri, e scopre la verità.

“Disponiamo dell’infinito per un tempo limitato” scrive Imai Messina. “Dal primo momento sogniamo l’eternità e [infine] trasciniamo tutto nella nostra sparizione”. Eppure le parole restano.

Apparecchiare un lunedì sera, quando

d’inizi si è fatta incetta e talvolta deprima l’abbondanza.

Travasare una conversazione, da un giorno all’altro della settimana,

per fornire l’innesto migliore, l’umore degli alberi,

trovare i frutti più maturi da dire.

Chi mi scriverà oggi? Chi mi dirà domani?

Quali parole sceglieremo per volerci bene?

Disponiamo dell’infinito per un tempo limitato Laura Imai Messina

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