CULTURA

Lenin, rivoluzionario senza eredi

Il 22 aprile 1870 – il 10 secondo il calendario giuliano – nasceva a Simbirsk, l’odierna Ul'janovsk, Nikolaj Lenin (al secolo Vladimir Il'ič Ul'janov: in seguito avrebbe cambiato nome, come molti rivoluzionari, ispirandosi al fiume siberiano Lena). Oggi è quasi impossibile misurarne l’influenza sulla nostra storia: basti pensare che oltre un miliardo e mezzo di persone vivono ancora sotto regimi che, pur modulandoli in forme nazionali, dichiarano di ispirarsi all’opera e al pensiero dello statista russo. Il quale paradossalmente vede la sua stella appannata proprio nella patria di origine: persino rispetto a Stalin, suo allievo più importante anche se non prediletto.

Ma chi era veramente Lenin e qual è la sua importanza nella costruzione del mondo in cui viviamo? “Nella prospettiva della storia nel ventesimo secolo si tratta sicuramente della più straordinaria figura di rivoluzionario – risponde Emilio Gentile, docente emerito di storia contemporanea alla Sapienza di Roma –. Anche se poi in realtà Lenin attende decenni prima di vedere realizzata quella che per lui è una certezza scientifica più che una fede: il crollo del capitalismo sotto l’azione delle avanguardie proletarie organizzate in partito”. Nel 1917 la rivoluzione lo coglie quasi di sorpresa: “All’inizio di gennaio Lenin è a Zurigo, dove dice a un gruppo di operai che la rivoluzione ci sarà certamente, ma lui probabilmente non la vedrà. Invece il caso o l’eterogenesi dei fini fanno sì che la rivoluzione che aveva abbattuto lo zar, e che potrebbe realizzare la democrazia in Russia, dia invece origine a quella che diventerà l’Unione Sovietica. Da quel momento Lenin diventa un mito, a cui guarderanno i rivoluzionari di tutto il mondo”.

Lenin ci mostra come un singolo individuo possa avere un’influenza decisiva nel modificare il corso della storia Emilio Gentile

Una storia che in parte incrocia anche quella di un'altra personalità del Novecento, anche se di segno opposto: Benito Mussolini. La vicenda è raccontata proprio da Emilio Gentile nel libro Mussolini contro Lenin (Laterza 2018): i due per qualche settimana si trovano contemporaneamente a Ginevra, dove frequentano la stessa biblioteca universitaria (come riportato nei registri della sala di lettura) e dove entrambi il 18 marzo prendono parte presso la birreria Handwerk alla commemorazione della Comune di Parigi, durante la quale Mussolini pronuncia un discorso e in seguito fraternizza con i compagni russi. Anni dopo si spargerà addirittura la voce che i due abbiano dormito insieme sotto un ponte, e che Lenin un giorno abbia rimproverato i compagni italiani di “essersi lasciati scappare” quel giovane e promettente agitatore: si tratta però solo di dicerie messe probabilmente in giro dallo stesso Mussolini.

Come mai questo parallelo tra Mussolini e Lenin? Forse perché si tratta di figure che, a un secolo di distanza, rimangono ancora in qualche modo attuali?

“In generale sono allergico a paralleli e analogie: spesso si tratta di forme di ‘astoriologia’, che mescola la storia con l’immaginazione e che ha con la storia la stessa relazione che l'astrologia ha con l'astronomia. Non solo la storia non si ripete, ma è del tutto arbitrario interpretarla come un continuo ritorno di schemi già accaduti. Del resto, al contrario che per il fascismo, nessuno ha teorizzato un ‘leninismo eterno’: a parte Stalin, che nel 1924 costruì le basi del culto di Lenin per inserirvi anche quello del capo, cioè di lui stesso. Oggi nessuna esperienza può essere concretamente ricondotta a Lenin o a Mussolini: non c’è più il mito della rivoluzione palingenetica che ha dato vita agli opposti regimi totalitari, la politica non è più vista come mezzo per rigenerare l’umanità. Oggi ci si accontenterebbe di farla sopravvivere, possibilmente al riparo dalle pandemie”.

Tornando a Lenin, quali furono invece le sue responsabilità nell’evoluzione autoritaria dello Stato sovietico?

“Il totalitarismo, se adoperiamo il termine in senso storico e non metafisico, è il monopolio del potere politico da parte di un partito, che lo adopera per imporre un’ideologia come verità e usa il terrore per plasmare la società. Un modello che Lenin persegue finché la sua salute glielo permette, ossia fino al 1921-22; poi nel ’24 muore e ovviamente non sappiamo cosa sarebbe accaduto se avesse continuato a guidare il Paese. Avrebbe potuto, dopo averglielo affidato, revocare il potere a Stalin, perché si era reso conto della sua brutalità: le premesse totalitarie però c’erano già tutte. Successivamente Stalin imprimerà il suo segno sulla storia sovietica: come sarebbe andata se al suo posto ci fosse stato Trockij – o Kamenev, oppure Zinov´ev – appartiene solo all’ambito delle ipotesi”.

Cosa rimane oggi dell’eredità politica di Lenin?

“Non vedo nei regimi comunisti attuali – in Asia o a Cuba – qualcosa che possa richiamarsi alla dottrina leninista, se non nel monopolio del potere politico da parte di un partito. Nessuno ad esempio pensa più a un movimento rivoluzionario internazionale. Del resto lo stesso Lenin con la guerra sovietico-polacca nel 1919-21 si rende conto che non è possibile esportare la rivoluzione, decidendo di dedicarsi alla realizzazione del socialismo nel più vasto Paese al mondo e a sostenere i partiti comunisti europei, in modo che questi a loro volta sostengano la Russia bolscevica. Con la terza Internazionale dopo il 1920 non ci sono più casi di presa del potere da parte di partiti comunisti in Europa, a parte gli esperimenti – durati poche settimane – in Ungheria con Béla Kun e in Baviera. L’espansione dei regimi comunisti dopo la seconda guerra mondiale non ha nulla a che a fare con Lenin ma piuttosto con l’avanzata dell’Armata rossa, ed è più il prodotto di Stalin che non l’applicazione della teoria leninista della conquista rivoluzionaria del potere”.

Oggi non c'è più il mito, che ha dato vita agli opposti regimi totalitari, della politica come mezzo per rigenerare l’umanità Emilio Gentile

Oggi da più parti (Piketty, Žižek) si parla di un ritorno del comunismo. Manca solo un Lenin a dare la spallata finale?

“La storia è una straordinaria improvvisatrice con una tragica ironia. Per quanto riguarda il ritorno del leninismo, oggi lo vedo impossibile. Rimane comunque la straordinaria personalità di Lenin a mostrarci come un singolo individuo possa avere un’influenza decisiva nel modificare il corso della storia. Persino Trockij, per quanto la sua visione marxista affermasse il contrario, nella sua Storia della rivoluzione russa afferma che senza Lenin la rivoluzione bolscevica non ci sarebbe stata”.

Possiamo azzardare un giudizio conclusivo?

“L’azione di Lenin ha fatto senza dubbio deviare il marxismo europeo, che appariva ormai avviato al gradualismo e a un’azione riformatrice in seno agli stati borghesi, verso una dottrina sovvertitrice e rivoluzionaria, da cui un giorno avrebbero tratto ispirazione tanti popoli, come quello cinese, per scuotersi dal colonialismo. Una dottrina che però oggi non ha più parte negli stessi regimi comunisti sopravvissuti, nei quali manca del tutto il progetto generale in cui consisteva l’utopia di Lenin: non si è realizzata quell’estinzione dello Stato e quell’emancipazione della società dalla divisione in classi che lui auspicava. Dopo 70 anni di deviazione rivoluzionaria oggi questi regimi sono diventati potenze nazionaliste con un forte capitalismo di Stato; la Cina è addirittura una superpotenza planetaria. Niente di più lontano da quello che Lenin voleva realizzare”.

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