La ferrovia che portava al campo di sterminio di Auschwitz. Foto: Contrasto
È la mattina del 27 gennaio 1945 quando le avanguardie dell’Armata rossa entrano nel campo di concentramento sito nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim, in realtà un gigantesco complesso formato da almeno tre campi principali (comprendendo anche quelli di Birkenau e Monowitz) e una quarantina di sottocampi. Le truppe sovietiche trovano poche migliaia di superstiti: la maggioranza dei prigionieri è già stata costretta a incamminarsi in una “marcia della morte” verso ovest. Il tentativo da parte delle SS di cancellare le tracce dei crimini commessi non impedisce però di prendere coscienza dell’orrore, che negli anni invece di venir meno cresce e si approfondisce.
A distanza di 80 anni il Giorno della memoria, istituito per legge dall’Italia nel 2000 e in seguito fatto proprio anche dalle Nazioni Unite, ha un peso importante nel calendario delle ricorrenze civili, un’occasione per riflettere anche e soprattutto su presente e futuro. “Anch’io sono impegnata in diverse iniziative a Reggio Emilia, Correggio e Carpi tra scuole, manifestazioni ed eventi pubblici – spiega a Il Bo Live Anna Foa, già docente all’università La Sapienza di Roma e autrice di numerosi libri su storia e cultura ebraiche –. Quest'anno percepisco una maggiore attenzione rispetto al passato: questo è positivo, ma richiede anche grande attenzione. È importante ricordare che il Giorno della Memoria è nato per essere non una commemorazione dei morti, una sorta di funerale, ma un monito per il futuro. Non deve ridursi al ricordo di ciò che è stato: deve aiutarci a impedire che simili tragedie si ripetano”.
Trova che quella della Shoah sia una memoria ancora viva nella società, oppure vede segni di stanchezza?
“Soprattutto negli ultimi anni i segni di stanchezza sono stati molti, anche nel modo in cui è stata celebrata e ricordata. Tuttavia non siamo ancora al punto in cui, come teme Liliana Segre, la Shoah è diventata solo una riga nei libri di storia. Sta a noi fare in modo che ciò non accada. La memoria deve servire da monito in un mondo che sembra andare verso nuove forme di razzismo che speravamo di non dover più affrontare: per questo è necessario celebrare il Giorno della Memoria in modo corretto, senza nascondere nulla e coinvolgendo soprattutto i giovani. E non dobbiamo avere paura di discutere: persino con chi ha idee assimilabili a posizioni antisemite, purché in buona fede. L'antisemitismo può essere contrastato solo attraverso il confronto”.
Come è cambiato in questi anni il nostro modo di guardare allo sterminio nazista?
“Da storica posso dire che la Shoah ha sempre risposto alle domande del presente, adattandosi alle esigenze e alle riflessioni contemporanee. C'è tuttavia il rischio di rinchiudere questa memoria in una sorta di dogma o di fortezza identitaria, perdendo il suo valore universale. La Shoah deve essere uno strumento per comprendere il mondo, non solo per rafforzare l'identità ebraica”.
“ Non dobbiamo avere paura di discutere: persino con chi ha idee assimilabili a posizioni antisemite
Nel libro Le vie degli ebrei (Il Mulino 2024) dedica un capitolo ad Auschwitz: che ruolo ha avuto la Shoah nella costruzione di una memoria pubblica e di un'identità non solo ebraica, ma anche europea?
“Enorme. Non è un caso che il Giorno della Memoria sia l'unica ricorrenza civile istituita in tutti i Paesi dell'Unione Europea. Ha rappresentato un momento cruciale per costruire un'Europa basata sulla tolleranza, sul rifiuto dell'antisemitismo, del razzismo e della violenza. Oggi tuttavia viviamo un momento di grande difficoltà, in cui vengono messi in discussione il diritto internazionale e gli stessi principi fondanti dell'Unione Europea; per questo è fondamentale riaffermare questi valori anche richiamandoci alla memoria di Auschwitz, utilizzandola come monito universale e non come un elemento legato esclusivamente all'identità ebraica”.
Cosa sta cambiando nelle società occidentali?
“Siamo di fronte a un ritorno di fenomeni preoccupanti come il razzismo, l'intolleranza e la mancanza di empatia verso i più poveri e deboli. In Europa vediamo l'avanzare di movimenti di estrema destra con posizioni sempre più lontane dai principi della democrazia liberale. Anche se non possiamo paragonare direttamente la situazione attuale agli anni Trenta, alcuni elementi di quel periodo sembrano riemergere: una situazione che richiede grande attenzione e capacità di tenere gli occhi ben aperti”.
Da più parti arriva l’allarme per un forte aumento degli atti di antisemitismo. Colpa del riaccendersi del conflitto in Medio Oriente, al quale ha dedicato Il suicidio di Israele (Laterza 2024), oppure c'è qualcosa di più profondo?
“Dobbiamo distinguere; in Europa l'antisemitismo ha radici storiche ben note, legate al fascismo, al nazismo e alle tradizioni religiose antiebraiche: radici oggi rafforzate dal conflitto in Medio Oriente, che alimenta tensioni e pregiudizi. Non tutto l'odio verso gli ebrei è riconducibile al conflitto: c'è un antisemitismo più profondo, quasi connaturato alla nostra società, che va combattuto con decisione. Allo stesso tempo, dobbiamo sforzarci di distinguere le critiche alle politiche del governo israeliano da un antisemitismo più ampio e radicato. Non possiamo mettere tutto sullo stesso piano, ma dobbiamo lavorare per spiegare e combattere ogni forma di odio”.
Che fare dunque?
“Dobbiamo contestualizzare la storia del popolo ebraico e integrarla in una narrazione più ampia. Se la memoria della Shoah viene vista come qualcosa di isolato rischiamo non solo di perderla, ma anche di assistere a un aumento dell’antisemitismo. La memoria deve essere un ponte per comprendere il passato e affrontare il presente, non una barriera che ci chiude nella solitudine del nostro dolore”.
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