CULTURA

L'invenzione della felicità: scatti come regali

Il bambino che salta felice, di fronte al suo cagnolino giocattolo, è Dani Lartigue. La foto, scattata ad Aix-les-Bains nell'agosto del 1925, è in bianco e nero, eppure quel trionfo di luce e gioia svela tutti i colori nascosti. Il conte Salm si allunga, restando sospeso in volo per un istante: sta tentando di recuperare una palla difficile durante la finale dei campionati del mondo di tennis a Parigi, è l'8 giugno del 1914. Coco prende il sole in topless sulla spiaggia di Deauville, nel 1938: braccia spalancate abbandonate sulla sabbia, fazzoletto in testa e occhiali da sole. Sempre nel 1938, André Haguet, nella foresta di Rambouillet, viene fotografato mentre salta più in alto che può, nel tentativo di catturare una farfalla. 

Sono 120 le immagini esposte alla Casa dei Tre Oci di Venezia, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Jacques Henri Lartigue (1894-1986). Pura gioia, trionfo di vita, piccole felicità e attimi rubati dal fotografo francese diventato famoso all'età di quasi settant'anni, grazie alla sua prima mostra al Museum of Modern Art di New York, dopo una vita vissuta fotografando senza fare rumore: è il 1963 e, su invito di John Szarkowski, neo-direttore del dipartimento di fotografia, Lartigue entra al MoMa da protagonista per esporre i suoi scatti.

Ora Venezia accoglie L'invenzione della felicità (fino al 10 gennaio 2021), titolo perfetto per un allestimento che attraversa l'esistenza del fotografo stesso, le vite delle persone a lui vicine, e ci regala la sua idea di felicità. La mostra veneziana è curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci.

Io non ho mai mostrato le mie fotografie, salvo ai miei amici e familiari. Del resto è per loro e per me che le facevo, per gioco Jacques Henri Lartigue

Il successo ottenuto al MoMa mette in luce il suo talento ed è di questo periodo l'incontro con Richard Avedon, il quale, affascinato dal suo modo di fotografare, gli chiede di fare una selezione degli scatti realizzati durante tutta la sua carriera "amatoriale", vissuta lontano dalla fama. Le fotografie, scelte infine dallo stesso Avedon e da Bea Feitler, photoeditor di Harper’s magazine, vengono raccolte nel volume Diary of a Century, pubblicato nel 1970. Si tratta di una svolta, di una vera e propria consacrazione tra i grandi della fotografia del Novecento. Lartigue diventa famoso in tarda età per opere realizzati 50 anni prima, ma la sua passione continua a essere animata da uno spirito puro e giovane di scoperta e "stupore-bambino": il suo sguardo, coincidendo con l'obiettivo della macchina fotografica, non smette mai di cercare piccoli istanti di felicità e la sua firma si chiude sempre con un piccolo sole disegnato. A tal proposito, scrive di lui Ferdinando Scianna: "È stato, finora, il solo enfant prodige della storia della fotografia. La fotografia era bambina e Lartigue era bambino con la fotografia"

“La parte di mondo di Lartigue - scrive Denis Curti - è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

Lartigue fece ciò che nessun fotografo aveva fatto prima e che nessuno fece dopo: fotografare la propria vita Richard Avedon

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