CULTURA

Lo sguardo dei bambini e dei più fragili: l'intensa e garbata fotografia di Sabine Weiss

La poesia dell'istante è il titolo perfetto per questa mostra. Racconta di attimi rubati, garbatamente, a passanti e musicisti di strada, anziani e persone fragili, clochard, artisti colti nell'atto della creazione e attrici in posa. Racconta matrimoni gitani, celebrazioni religiose, feste e sfilate, reportage di viaggio. Racconta brevi storie notturne dai contorni sfumati, con figure calate nel buio o illuminate da sottili tagli di luce, e volti in primo piano attraversati da emozioni di gioia e stupore, o segnati dall'età, dalla fatica, dalla malattia. Ma soprattutto, primi tra tutti, racconta i bambini. Tanti bambini, fotografati sempre e ovunque. 

La mostra alla Casa dei Tre Oci di Venezia, l’ultima prima del trasferimento della casa della fotografia alla Fondazione Cini (va detto: il palazzo con le "tre grandi finestre", i tre occhi appunto, ci mancherà molto), è la più ampia retrospettiva, la prima in Italia, dedicata alla fotografa franco-svizzera Sabine Weiss, tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese, scomparsa a 97 anni, nella sua casa di Parigi, lo scorso 28 dicembre. Curata da Virginie Chardin, l’esposizione presenta oltre 200 immagini, distribuite sui tre piani dello spazio espositivo della Giudecca, e documenta il lavoro di Weiss dagli esordi (si avvicina alla fotografia presto, a 18 anni) agli anni Duemila, tra il 2008 e il 2014 - quando ha già superato gli ottant'anni - realizza ancora reportage in giro per il mondo: viaggia in Cina, sulle orme di Ella Maillart, a Bali, Laos, Burkina Faso, in India, Brasile e a Cuba.

Amo l'attesa, che le cose mi vengano incontro Sabine Weiss

Nata a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924 (naturalizzata francese nel 1995), Sabine Weber diventa Weiss nel 1950, prendendo il cognome del marito, il pittore americano Hugh Weiss, che di lei parlava spesso e con grande entusiasmo: "Ciò che le sta più a cuore è questa coesione emotiva tra lei e i suoi soggetti [...]. Che fotografi un abito di Dior o una banda di ragazzini, quello che conta per lei è il fatto di affrontarli, e il controllo di tutti gli elementi dell’immagine. A un certo punto questi elementi, la sua macchina, e lei stessa sembrano fondersi". La sua carriera decolla nel 1952, quando entra nell’agenzia Rapho su segnalazione di Robert Doisneau, il quale la propone anche alla redazione di Vogue, rivista con cui Weiss resta sotto contratto per quasi dieci anni.

"Sono divorata dalla curiosità: vorrei poter entrare in ogni casa, scoprirvi le vite degli altri. Qualche volta entro in luoghi vietati. Con la mia macchina fotografica, stabilisco un dialogo con gli sconosciuti. Nascondo la mia timidezza e i miei scrupoli dietro l'obiettivo [...] Tuttavia vieto a me stessa di fotografare scene che potrebbero ferire il soggetto o che mi sconvolgono troppo. Ce ne sono di troppo intime, troppo pericolose o semplicemente inaccessibili", scriveva Weiss in Intimes Convictions, il suo unico testo autobiografico. "Amo l'attesa, che le cose mi vengano incontro, che l'evento e io ci incontriamo a metà strada".

A ogni scatto resta agganciata l'anima, tradotta in uno sguardo o in un gesto che rivelano un pensiero e un'emozione. Sono istanti destinati all'immortalità, quasi sempre rubati ma con rispetto, cura, tenerezza.

Scrive Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci: "Le fotografie di Sabine Weiss sono sempre modellate su questo specifico impianto: partono dal centro per poi allargarsi verso i lati per rientrare infine al punto di partenza. In questo modo consentono di trovare con più facilità quell’equilibrio narrativo che, destinato a trasformarsi in forza e coerenza, come una punteggiatura ideale segna i tempi di permanenza del nostro sguardo sulla scena dell’immagine. Questo particolare esercizio visivo è rintracciabile nell’esperienza di altri fotografi, ma per Sabine Weiss diventa una vera e fantastica ossessione. È la sua declinazione del mondo, è il suo desiderio di ritrovare, anche nelle situazioni più drammatiche, un sentimento di 'democratica' rappresentazione della vita quotidiana. Il suo obiettivo, come quello di tutti i fotografi 'umanisti', si rivolge non tanto agli eventi che fanno la storia, quanto a quelli che accadono nella quotidianità che, grazie al suo garbato modo di guardare, si trasformano in vera poesia".

Unica fotografa donna del dopoguerra ad aver lavorato così a lungo e in tutti i campi della fotografia, "a differenza di Cartier-Bresson, Doisneau, Brassaï o Izis, non costruisce le sue immagini come un dipinto o una scena, né metaforicamente per difendere un punto di vista o far passare un messaggio sotto forma di allusione  – sottolinea la curatrice della mostra veneziana Virginie Chardin -. Le sue inquadrature discendono da un’esperienza intima, uno slancio spontaneo e intuitivo verso il soggetto. Spesso seleziona sui provini solo una parte dell’immagine, centrando un personaggio o una parte della scena, le sole cose che le interessano". Quella di Sabine Weiss è una fotografia che accarezza, che cura. Sono immagini del conforto. "Nel suo caso non si può parlare di presa di posizione militante né di denuncia politica".

Il suo obiettivo, come quello di tutti i fotografi 'umanisti', si rivolge non tanto agli eventi che fanno la storia, quanto a quelli che accadono nella quotidianità che, grazie al suo garbato modo di guardare, si trasformano in vera poesia Denis Curti

Bambini

"Quando [Sabine Weiss] fotografa i bambini, diventa bambina lei stessa. Non esistono assolutamente barriere tra lei, loro e la sua macchina fotografica", diceva il marito Hugh Weiss a proposito della costante ricerca da parte di Sabine dello sguardo dei bambini. E lei stessa raccontava: "Mi piace fotografare i bambini e gli anziani. Le loro maschere cadono più facilmente, capisco prima la loro realtà".

Scatti inediti

La sezione più intensa della mostra veneziana è allestita in una piccola sala del piano terra: presenta gli scatti inediti dedicati alla comunità familiare per malati mentali di Dun-sur-Auron, in Francia. Nell’autunno del 1951 Sabine Weiss, su suggerimento dell'agenzia Magnum, realizza un reportage su una piccola città nel dipartimento francese di Cher diventata una comunità aperta. Fondata dallo psichiatra Auguste Marie nel 1892, per alleviare la pressione sui manicomi parigini, la comunità accoglie donne con disturbi mentali e demenza senile. Accudite da alcune famiglie “adottive”, queste donne sono libere di muoversi e svolgere diversi compiti. A lavoro ultimato, la direzione dell’istituto vieta di distribuire l’immagine delle proprie residenti, così gli scatti restano per anni negli archivi di Weiss. Ora il reportage è esposto alla Casa dei Tre Oci.


Sabine Weiss. La poesia dell'istante.

Dall’11 marzo al 23 ottobre

Casa dei Tre Oci

Fondamenta delle Zitelle 43 - Giudecca, Venezia

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