SCIENZA E RICERCA

Le prime comunità swahili discendevano da donne africane e uomini persiani

Durante il Medioevo, nell’area costiera oggi compresa tra la Somalia meridionale, il Kenya e Mozambico settentrionale, le città-stato swahili divennero un nodo chiave nella rete commerciale tra Africa orientale, Medio Oriente e Asia meridionale. Le fonti orali della tradizione locale raccontano che la cultura swahili iniziò ad affermarsi intorno all’anno 1000 d.C., in concomitanza con l’arrivo di nuovi flussi di popolazioni provenienti dalla Persia. È proprio a quel periodo che risalgono infatti i primi insediamenti urbani swahili.

Eppure, le origini di questa secolare cultura sono ancora oggetto di dibattito tra archeologi, antropologi e linguisti. I risultati di un recente studio basato sull’analisi di antichi genomi suggeriscono che le comunità swahili medievali discendessero dalle unioni tra uomini persiani e donne africane. Questo lavoro di ricerca, coordinato dall’antropologo di origine kenyota Chapurukha Kusimba, professore alla University of South Florida che da quarant’anni studia gli insediamenti swahili medievali, conferma che questo antico incontro avvenne intorno all’anno 1000 d.C.

I primi insediamenti urbani associabili alla cultura swahili sorsero nelle aree in questione proprio durante il primo millennio, in concomitanza con il consolidamento della presenza di popolazioni mediorientali in Africa e l’adesione dei primi gruppi locali alla religione islamica. Sulla base di queste considerazioni, gli archeologi colonialisti che durante il secolo scorso si occupavano di scavare i siti archeologici della costa orientale del continente negarono la paternità africana delle millenarie città swahili, sostenendo che, al contrario di quanto riportassero le fonti orali tradizionali, esse fossero state costruite dalle popolazioni mediorientali e che, di conseguenza, le società swahili fossero sostanzialmente di discendenza asiatica.

La tesi in questione non teneva conto, però, del fatto che alcuni elementi culturali ben riconoscibili, come pratiche agricole, tradizioni e prodotti manifatturieri caratteristici della cultura swahili fossero diffusi in tutta la regione già durante il VII secolo, e quindi in un’epoca di gran lunga precedente all’incontro tra popolazioni africane e persiane. Studi di filologia linguistica hanno inoltre confermato che il kiswahili è una lingua bantu (e quindi di origine africana). Insomma, come lamentano da tempo le comunità swahili, l’archeologia occidentale ha deliberatamente ignorato le prove che testimoniano le radici africane della loro cultura, derubandole così di una parte della loro identità storica.

Secoli di narrazioni contrastanti e prove archeologiche difficili da riordinare in un disegno coerente hanno reso la storia delle origini swahili particolarmente difficile da ricostruire. Per provare a dirimere la questione, Kusimba e coautori hanno quindi pensato bene di analizzare il dna antico degli individui che hanno vissuto in questi luoghi negli ultimi mille anni. Dopo aver chiesto e ottenuto il permesso da parte delle comunità swahili contemporanee, gli studiosi hanno raccolto campioni di dna da 80 individui di cultura swahili vissuti tra il 1250 e il 1800 d.C e sepolti nei cimiteri di sei città swahili medievali. La raccolta di materiale genetico in questione comprendeva anche il più antico campione di dna swahili mai analizzato finora. Il dataset utilizzato per lo studio includeva inoltre le informazioni genetiche (tratte da studi precedenti) relative a individui contemporanei, di cui 93 di cultura swahili e circa 1200 provenienti da altre zone dell’Africa orientale e dall’Eurasia.

L’analisi dei genomi antichi conferma quanto riportato dalle tradizioni orali swahili, stando alle quali le città di pietra furono costruite intorno all’anno 1000 d.C., con l’arrivo dei mercanti persiani. Allo stesso tempo, la doppia discendenza asiatica-africana rintracciata nel patrimonio genetico degli individui medievali contraddice le narrazioni perpetuate dall’archeologia coloniale e nega quindi che i popoli mediorientali fossero gli unici veri responsabili della cultura swahili. Quest’evidenza è confermata dai risultati degli studi archeologici che hanno permesso di datare le prime tracce riconducibili alla cultura swahili a un periodo antecedente all’arrivo delle popolazioni mediorientali.

I risultati dello studio hanno inoltre permesso di appurare che la componente mediorientale nel patrimonio genetico degli individui swahili medievali sia stata tramandata prevalentemente da individui di sesso maschile; al contrario, la quasi totalità dei tratti genetici africani sembra essere stata ereditata da antenate donne. Gli autori hanno incrociato quest’evidenza con i dati storici e archeologici che dimostrano che all’epoca della comparsa dei primi villaggi swahili, cioè prima dell’arrivo dei coloni dall’Asia, l’organizzazione sociale fosse matriarcale e matrilocale. È probabile, quindi, che la popolazione africana e quella persiana siano entrate inizialmente in contatto per via degli scambi commerciali e che, successivamente, abbiano cominciato a formarsi anche legami familiari tra le donne a capo delle comunità locali e i mercanti persiani. Ne consegue che queste nuove famiglie miste siano diventate molto potenti dal punto di vista economico e sociale; inoltre, l’organizzazione matriarcale e matrilocale delle comunità medievali dell’Africa orientale spiega il fatto che i figli nati da queste unioni abbiano conservato la cultura e la lingua materna.

Il prossimo obiettivo di Kusimba è quello di campionare altri dna antichi per ricostruire ancora più nel dettaglio gli incontri e gli eventi che hanno dato vita a un gruppo di popolazioni incredibilmente ampio e diversificato dal punto di vista socioeconomico come quello swahili. Resta inoltre ancora da chiarire se le popolazioni mediorientali e africane si siano incontrate e unite dapprima in un unico luogo – per poi espandersi lungo tutta la costa orientale – o se le prime famiglie miste siano comparse contemporaneamente e indipendentemente in località diverse.

Vale la pena sottolineare, infine, l’importanza di una collaborazione proficua e rispettosa tra ricercatori e popolazioni locali, le quali sono state coinvolte in tutte le fasi dello studio, fin dalla sua progettazione. Solo grazie a un patto di fiducia tra scienziati e cittadini, senza il quale sarebbe impossibile svolgere qualsiasi attività di ricerca in maniera eticamente corretta, è stato finalmente possibile iniziare a decolonizzare la storia delle origini swahili.

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