CULTURA

Il reggae diventa Patrimonio dell'Umanità

L’UNESCO ha recentemente dichiarato la musica reggae patrimonio immateriale dell’umanità. Si tratta di una mossa estremamente significativa da parte dell’organizzazione internazionale, visto che riconosce l'importanza di un genere musicale relativamente giovane ma che ha avuto un impatto incredibile nella cultura globale.

Uno degli aspetti peculiari del reggae è sicuramente la sua forte identità territoriale. Nato in Giamaica come costola dello ska e del rocksteady nella seconda metà degli anni sessanta, questo genere musicale è sempre stato legato alla sua nazione, tanto da diventare un vero e proprio simbolo dell’isola caraibica. Anche per un profano assoluto, l’immagine del reggae viene immediatamente associata alla Giamaica, ai dreadlock, a Trenchtown, al rosso, al giallo e al verde. Il reggae insomma non è solo musica, è un vero e proprio stile di vita che detta le proprie regole, che vanno dall’abbigliamento alla politica, dalle relazioni interpersonali fino alla propria visione del mondo.

L’orgoglio del popolo giamaicano per questa musica deriva molto probabilmente dalla storia politica del paese: la Giamaica infatti guadagnò la totale indipendenza dal Regno Unito solamente il 6 agosto del 1962, dopo secoli passati come colonia britannica e provincia della Federazione delle Indie Occidentali. Durante quegli anni di transizione, foraggiato dalla grande esposizione della musica nera americana come l’R&B o il jump blues, vedeva la luce lo ska, la prima forma di popular music nata sull’isola caraibica. Integrando elementi folk caraibici come il mento e ritmi di derivazione africana, questo genere divenne incredibilmente popolare in tutto il mondo, imponendosi anche nelle classifiche discografiche inglesi e portando anche molti musicisti bianchi, provenienti in particolare dalla scena punk, ad integrare elementi ska nelle proprie canzoni.

A metà degli anni '70 nel Regno Unito emerse il cosiddetto 2 Tone ska, un curioso mix di sonorità punk e ska portato avanti da band come The Specials e Madness. Quest'ultimi scelsero di aprire il loro album di debutto con One Step Beyond, una cover del brano del 1964 dell'artista giamaicano Prince Buster.


 

Ma cosa c’entra lo ska con il reggae? Diciamo che il secondo nasce come uno “ska dimezzato”, decisamente meno frenetico ma che conserva la forte componente sincopata, ovvero uno spostamento di accenti verso i tempi deboli. Anche la formazione della band è diversa: se i protagonisti dello ska sono i fiati, nel reggae tutto gira attorno alla sezione ritmica, ovvero il basso e la batteria. Il ritmo più lento e tranquillo portò anche a cambiare le tematiche dei testi, indirizzando molti artisti a preferire argomenti sociali e di protesta come tema delle proprie canzoni.

In poco tempo il reggae divenne un vero e proprio movimento, legandosi alla religione e allo stile di vita rastafari il cui ambasciatore principale fu Bob Marley. Scomparso tragicamente a soli 36 anni, il cantante giamaicano portò il roots reggae al successo internazionale veicolando nei suoi testi importanti temi di lotta sociale e diritti umani.

Il riconoscimento da parte dell’Unesco rappresenta perciò una grande conquista sia per il popolo giamaicano che per il mondo intero: innanzitutto nobilita un genere nato in una nazione che ha subito pesanti stravolgimenti politici ed economici, ma che è riuscita a farsi conoscere a livello internazionale grazie alla sua originalità stilistica e i temi affrontati. Ma la bellezza del reggae, nonostante il suo essere così autenticamente giamaicano, risiede soprattutto nel fatto di risultare comprensibile a qualsiasi cultura del globo. Una conquista che finora non era stata raggiunta da nessun altro tipo di “musica folkloristica”.

Anche Alan Moore, nella sua monumentale opera V for Vendetta, cita la band reggae Black Uhuru e l’etichetta musicale Trojan Records, specializzata nella distribuzione di musica giamaicana come ska, reggae e rocksteady. Nella graphic novel si parla di un regime totalitario che ha messo in atto un’epurazione delle minoranze etniche, anche attraverso l’eliminazione di elementi culturali come la musica.

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