SCIENZA E RICERCA
Scoperta in Cina un'innovativa cultura della pietra risalente a 40 mila anni fa
Strumenti in pietra scheggiata, di dimensioni ridotte e particolarmente versatili, ma anche un uso diffuso dell’ocra con veri e propri kit per la lavorazione, in un area geografica in cui di questa pratica non erano ancora state rinvenute tracce così antiche.
Quelle restituite di recente dal sito di Xiamabei, nel nord della Cina, dettagliate in un articolo recentemente pubblicato su Nature, sono testimonianze di tecniche e utensili originali che aprono nuovi e interessanti scenari sul complesso percorso delle nostre origini di sapiens, in una storia che è stata ricca di ibridazioni sia sul piano genetico che culturale.
The earliest known evidence of ochre processing in east Asia is reported in a new study in Nature https://t.co/nMrTrSPdmY
— nature (@Nature) March 2, 2022
Cominciamo inquadrando la data dei reperti: siamo intorno a 40 mila anni fa e la particolarità degli strumenti ritrovati consiste nel fatto che le tecnologie non corrispondono a quelle attribuibili alle popolazioni Denisoviane locali e l’età, pur essendo compatibile con quella che vide l’arrivo di Homo sapiens nell’Asia settentrionale, è di almeno una decina di migliaia di anni antecedente al periodo in cui le microlame conobbero una piena diffusione. Per dirla in altre parole i reperti di Xiamabei forniscono “informazioni importanti sulle industrie di produzione di utensili durante un periodo di transizione chiave”.
Lo studio è frutto di una collaborazione internazionale e, commenta a Il Bo Live, Marco Peresani, docente della sezione di Science preistoriche e antropologiche all'interno del dipartimento di Studi umanistici all'università di Ferrara, "si tratta di una serie di ritrovamenti che hanno messo in evidenza qualcosa di nuovo e di assolutamente diverso, nel panorama non completamente definito di quella regione".
Il sito archeologico di Xiamabei è in un altopiano ad ambiente steppico non lontano dalla Mongolia. La zona è a sud dei monti Altaj dove nel 2008 fu ritrovato il primo resto fossile denisovano e due anni dopo le analisi sul DNA mitocondriale (mtDNA) chiarirono che quel genoma era distinto sia da quello neandertaliano sia da quello dell'uomo moderno, che in quell’epoca convivevano nell’area.
"L'eccezionalità del sito - continua Peresani - è data non solo dal materiale archeologico ma anche dalla località in cui si trova. Attualmente c’è molta attenzione intorno all’uomo di Denisova, non sappiamo ancora che aspetto avesse e non sappiamo quale fosse la sua cultura materiale del tempo. Bisogna che le ricerche portino a inserire nuovi tasselli in questo mosaico complesso e quindi a chiarire meglio lo scenario".
L'intervista completa a Marco Peresani, della sezione di Science preistoriche e antropologiche all'interno del dipartimento di Studi umanistici all'università di Ferrara. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
La scoperta: caratteristiche culturali estremamente rare nell'Asia nord-orientale
Come ricorda una nota del Max Planck Institute for the Science of Human History, che è tra le istituzioni che hanno partecipato alla ricerca, "sebbene studi precedenti abbiano stabilito che Homo sapiens sia arrivato nell'Asia settentrionale circa 40.000 anni fa, gran parte delle vite e degli adattamenti culturali di questi primi popoli e delle loro possibili interazioni con i gruppi arcaici rimane sconosciuto.
L'analisi dei reperti emersi dal sito di Xiamabei offre nuovi importanti spunti sull'innovazione culturale durante l'espansione delle popolazioni di Homo sapiens e mostra una complessa storia di adattamenti economici, sociali e simbolici. La produzione di ocra rappresenta il primo esempio conosciuto di questa pratica nell'Asia orientale e le analisi dei ricercatori indicano che la popolazione locale aveva lavorato, mediante abrasione e martellamento, diverse tipologie di ocra per finalità che non è stato possibile appurare con certezza (forse per la produzione di vernici, decorazione di corpi o per la concia di pelli).
La quantità di polvere di ocra prodotta ha impregnato permanentemente i sedimenti dell'area su cui si svolgevano i lavori, come testimonia la grande macchia rossa che gli studiosi hanno trovato sul suolo del sito archeologico. "Si sa che l’ocra come pigmento minerale ed additivo veniva largamente usata nel Paleolitico - osserva Peresani - ma è raro trovare il kit di produzione: c'è il laboratorio con il pestello, il blocco di ocra minerale che è stato trasportato all’interno del sito per la lavorazione. Manca solo l’artigiano".
"L’interesse del sito - continua il docente della sezione di Science preistoriche e antropologiche all'interno del dipartimento di Studi umanistici all'università di Ferrara, non coinvolto nello studio - è costituito anche da resti organici che si sono conservati: si tratta di manufatti in osso che servivano a creare un manico per gli strumenti in pietra scheggiata".
Anche questo dettaglio ha attirato l'attenzione degli studiosi perché, come ha spiegato in un'intervista a La Stampa Francesco d’Errico, professore del dipartimento di Archeologia dell’università di Bordeaux e tra gli autori della scoperta, negli antichi siti cinesi è raro trovare strumenti assemblati in questo modo.
Wang et al., Innovative ochre processing and tool-use in China 40,000 years ago. Nature. 2022
A chi attribuire queste innovazioni culturali?
A Xiamabei non sono stati trovati, almeno per il momento, resti umani che possano aiutare a capire chi abbia introdotto queste innovazioni culturali circa 40 mila anni fa.
"La ricerca mira a trovare il responsabile, in senso positivo, di ciò che gli archeologi rinvengono. Questo è possibile farlo attraverso la fortunosa scoperta di resti umani, ad esempio denti, come è avvenuto recentemente nella grotta di Mandrin, nel sud della Francia, oppure attraverso il DNA ambientale, quindi DNA umano estratto dai sedimenti archeologici che conservano materia organica. L’attribuzione della cultura materiale al suo produttore biologico è assolutamente fondamentale perché bisogna capire chi ha fatto che cosa a quel tempo e se vi sono stati degli scambi. Siccome abbiamo evidenze del meticciamento biologico cerchiamo anche di capire se vi è stata un’osmosi culturale, una trasmissione di saperi e di conoscenze e tutto questo è di estremo interesse per tanti gruppi di ricerca", spiega al riguardo Marco Peresani.
Ma quali sono al momento le ipotesi più accreditate? Gli autori non escludono un ruolo dei Neanderthal o dei Denisoviani ma sono più propensi a ritenere che questi cambiamenti nella cultura materiale siano stati introdotti dalle prime comunità sapiens "anche perché - ricorda Peresani - una grotta in un sito non lontano da Xiamabei ha restituito di recente DNA riferibile proprio a Homo sapiens".
Quello che è certo è che i risultati di questo studio rafforzano l'idea che le innovazioni e gli adattamenti che hanno consentito ai primi esseri umani moderni di espandersi fuori dall'Africa e in tutto il mondo non raccontano una storia lineare, ma un mosaico di scambi, genetici e culturali, e di periodi di transizione. Gli stessi recenti ritrovamenti della grotta di Mandrin vanno in questa direzione. "Si cerca molto questa possibile interazione tra diverse umanità che erano in vita da lungo tempo e avevano sviluppato dei sistemi di adattamento agli ambienti. Le scoperte collegate alla grotta di Mandrin attestano la presenza dei Neanderthal, poi l’arrivo dei sapiens e poi di nuovo la presenza dei Neanderthal e poi il definitivo arrivo dei sapiens che soppianta i nativi preesistenti. Non è stato un unico fenomeno, ma più fenomeni avvenuti in tempi relativamente ridotti alla scala geologica ma che rendono complesso ed estremamente affascinante il racconto e lo scenario", afferma Peresani.
Un possibile (e affascinante) collegamento tra Xiamabei e il Nord Italia
Il professor Peresani conclude citando l'esistenza di un affascinante collegamento tra la scoperta di Xiamabei e territori a noi molto più vicini, come alcuni siti del Nord Italia. I manufatti rinvenuti in Cina rivelano infatti notevoli somiglianze con altri, che ne condividono la datazione, e che sono stati trovati nella grotta di Fumane e nel riparo dei Broion.
"In effetti sono rimasto estremamente colpito dallo scorrere alcune immagini dell’articolo perché oltre al ritrovamento di questo kit di fabbricazione dell’ocra, vi è un’industria litica, cioè un insieme di manufatti in pietra scheggiata che giustamente gli autori considerano un’innovazione nel quadro generale ma che trova molte affinità con utensili che sono stati rinvenuti anche in Nord Italia e costituiscono il marker culturale dei primi sapiens che arrivarono qui. Ad esempio in Veneto abbiamo la grotta di Fumane e il riparo dei Broion dove vi sono dei manufatti fabbricati con la stessa tecnica e lo stesso metodo di quelli ritrovati nella grotta di Xiamabei. Siamo a decine di migliaia di chilometri di distanza e questo ci fa veramente accendere un interesse e penso che troveremo modo di avviare delle collaborazioni con i gruppi di ricerca in quelle zone", spiega Peresani.
"E’ davvero incredibile il fatto di trovare dei manufatti della stessa età, a distanze così considerevoli e fabbricati con lo stesso sistema. E' qualcosa di straordinario ed è anche un'indicazione della mobilità di idee e di uomini, come della diffusione di invenzioni ad una scala veramente notevole. Le spiegazioni più logiche sono che l’uomo a quel tempo si muoveva parecchio, la densità di popolazione era piuttosto bassa e gli invidivui dovevano mantenere i contatti per non andare incontro a quelle forme di deriva genetica e di isolamento genetico che poi portavano alla scomparsa di popolazioni. Ricordiamoci che homo sapiens arriva più volte in Europa ma inizialmente ci sono anche periodi in cui scompare e quindi nelle prime fasi non è una storia totalmente di successo. Il ritrovamento di questi manufatti ci fa pensare che un gruppo di sapiens, se si trattava di sapiens, si staccò e andò a esplorare quelle lontanissime regioni", conclude il docente dell'università di Ferrara.