SCIENZA E RICERCA
Nuovi ritrovamenti dividono la comunità scientifica sull’arrivo di Homo sapiens in Europa
Scavi nella grotta Mandrin, 2016. Credits: Thilo Parg
Il puzzle dell’evoluzione umana resta lontano dalla completa soluzione, ma un altro tassello si aggiunge alle evidenze disponibili. Se effettivamente si tratti di un pezzo mancante però è una questione che divide la comunità di archeologi, paleoantropologi e genetisti.
Un dente e una serie di strumenti litici, rinvenuti in una grotta della valle Rhône nel Sud della Francia, sposterebbero indietro di 10.000 anni l’arrivo di Homo sapiens in Europa.
Secondo il lavoro pubblicato su Science Advances da un gruppo internazionale di ricercatori, guidati da Ludovik Slimak (CNRS francese e università di Tolosa) e Clement Zanolli (università di Bourdeaux), alcuni esseri umani moderni 54.000 anni fa avrebbero vissuto per un brevissimo periodo, circa 40 anni, nella grotta Mandrin per poi non metterci mai più piede. Per millenni, prima e dopo il breve soggiorno dei sapiens, la grotta sarebbe stata stabilmente occupata dai Neanderthal.
Denti e fuliggine
Di nove denti rinvenuti negli strati archeologici compresi tra 70.000 a 40.000 anni fa, otto sono risultati appartenere a individui Neanderthal, mentre solo uno è stato ritenuto essere di un bambino (tra i 2 e i 6 anni) della nostra specie.
Analogamente, la maggior parte dei reperti litici ritrovati nella grotta è risultata essere tecnologia Mousteriana, un tipo di lavorazione della pietra che è associato ai Neanderthal euroasiatici. Tuttavia alcuni oggetti, rinvenuti in quello che è stato nominato strato E del sito (tra 56.800 e 51.700 anni fa), erano punte affilate e piccole lame che vengono tipicamente associate a Homo sapiens.
I resti sono stati particolarmente ben preservati da un vento ghiacciato che soffiando da nord ha ricoperto nel tempo il fondo della grotta. Ma un ulteriore dettaglio rende particolare il ritrovamento della valle Rhône. Gli autori del paper sono stati in grado di stimare che è trascorso un solo anno tra l’ultima volta che esseri umani moderni hanno acceso un fuoco nella grotta Mandrin e la prima volta che sono tornati a farlo i Neanderthal.
Le fiamme infatti lasciavano sulle pareti della grotta uno strato di fuliggine che la stagione successiva veniva ricoperto da uno strato di carbonato di calcio. Un decennio di lavoro ha permesso ai ricercatori di capire che questo processo ripetuto nel tempo ha dato luogo a strati che potevano venir letti come gli anelli dei tronchi d’albero. Nel corso di 80.000 anni la grotta, strategica per l’osservazione del passaggio di animali dalla zona mediterranea a quella continentale, sarebbe stata occupata circa 500 volte e confrontando gli strati di fuliggine con quelli sul fondo della grotta i ricercatori hanno stabilito che solo un anno è intercorso tra l’ultima occupazione sapiens e quella successiva dei Neanderthal.
In un’intervista al New York Times, Katerina Harvati, paleoantropologa dell’università di Tubingen, in Germania, che non ha partecipato allo studio, sostiene che questi ritrovamenti mostrerebbero che il processo di diffusione degli esseri umani moderni nel continente europeo potrebbe essere stato più lungo e complesso di quanto si pensasse, così come più lunga e complessa potrebbe essere stata la convivenza tra Homo sapiens e Neanderthal. Questi ultimi, dopo aver abitato l’Europa per qualche centinaia di migliaia di anni, sono andati estinti intorno a 40.000 anni fa.
Il genoma di Homo sapiens europeo più antico ad oggi noto è quello di una donna di Zlaty Kun, Repubblica Ceca, risalente a oltre 45.000 anni fa. Se prima si pensava la convivenza tra Neanderthal e sapiens in Europa fosse durata circa 5.000 anni, i ritrovamenti della grotta Mandrin la porterebbero a 15.000 anni. In questo lasso di tempo, le due forme umane oltre ad essersi scambiati materiale genetico potrebbero anche essersi trasmessi conoscenze reciprocamente. La grotta Mandrin potrebbe raccontare questa storia, come pure il suo opposto: l'improvvisa scomparsa di Homo sapiens dalla grotta potrebbe essere un segno che la convivenza non sempre sia stata pacifica.
La comunità scientifica è divisa
Le conclusioni dello studio pubblicato su Science Advances si basano solo su ritrovamenti archeologici e paleontologici: manca invece il dato genetico, che consentirebbe di dissipare alcuni dubbi. Gli autori dello studio infatti, per timore di degradare il reperto, dichiarano di non aver tentato di estrarre DNA dal dente che solo tramite analisi morfologiche hanno attribuito a Homo sapiens.
Ma c’è chi ritiene che ci possano essere state sostanziali sovrapposizioni tra la forma dei denti di Homo sapiens e di Neanderthal. “Non sarebbe una forzatura pensare che un singolo Neanderthal possa avere avuto caratteristiche dentali simili a quelle di esseri umani moderni” ha dichiarato a Nature William Banks, archeologo del CNRS francese e dell’università di Bordeaux, che non ha partecipato allo studio. Banks ritiene che le evidenze a supporto di una presenza di Homo sapiens nella grotta Mandrin 54.000 anni fa siano “meno che convincenti”.
“Il solo modo per evitare speculazioni e creare falsi scenari è datare direttamente il campione” ha commentato sul New York Times Sahra Talamo, ricercatrice all’università di Bologna, specializzata nelle datazioni al radio carbonio, che non ha partecipato allo studio.
Punte di freccia “neroniane”
Per quanto riguarda gli strumenti litici, gli autori dello studio sostengono che le 1500 piccole punte litiche rinvenute nello strato E della grotta Mandrin assomigliano chiaramente a punte di freccia e che queste non hanno alcun chiaro precursore o successore tecnologico negli 11 strati archeologici adiacenti che invece presentano artefatti tipicamente neanderthaliani.
Tale discontinuità suggerisce agli autori di pensare che le punte litiche appartengano a una tecnologia differente, ribattezzata Neroniano da Ludovik Slimak (primo autore dello studio), e che siano state portate lì da un gruppo di esseri umani moderni.
Per corroborare questa tesi, gli autori hanno confrontato i reperti dello strato E con quelli ritrovati 54.000 anni fa in un luogo dove si sa per certo che Homo sapiens ha vissuto: in Medio Oriente, nel sito di Ksar Akil, vicino a Beirut, uno dei più ricchi siti paleolitici dell’Eurasia. Anche qui, sottolineano gli autori, sono state trovate piccole punte del tutto simili allo stile Neroniano della grotta Mandrin. “Questa somiglianza suggerisce fortemente che gli artefatti Neroniani non siano stati fatti da Neanderthal, ma piuttosto da un gruppo di esploratori umani moderni che si è addentrato nel continente molto prima di quanto non credessimo” scrivono quattro autori del lavoro su The Conversation.
Anche in questo caso però c’è chi dissente. Gli autori stessi infatti dichiarano che altri siti archeologici della valle Rhône contengono le piccole punte litiche. Quei siti però sono stati scavati molto tempo fa e in modo grossolano con piccozze che hanno rimescolato i livelli stratigrafici. Ciò ha reso difficile stabilire se la tecnologia neroniana sia comparsa improvvisamente o gradualmente, anche se gli autori ammettono che i Neanderthal potrebbero avere sviluppato i metodi per produrla autonomamente.
Secondo William Banks, critico nei confronti del lavoro pubblicato su Science Advances, anche le punte litiche rinvenute nello strato E della grotta Mandrin potrebbero quindi essere state prodotte da Neanderthal. Un’ipotesi ancora più suggestiva avanzata da Naomi Martisius, archeologa dell’università di Tusla, negli Stati Uniti, che non ha partecipato allo studio, è che se davvero la grotta ha visto alternarsi sapiens e Neanderthal, quegli strumenti potrebbero addirittura essere stati prodotti da individui ibridi.
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Quando è arrivato Homo sapiens in Europa?
Se di Homo sapiens davvero si tratta probabilmente lo scopriremo soltanto quando si riuscirà ad estrarre un campione sufficientemente preservato di DNA dal dente che gli autori dello studio attribuiscono a un essere umano moderno o da altri reperti dello strato E della grotta Mandrin.
“Il ritrovamento di esseri umani anatomicamente moderni in Europa 54.000 anni fa, se confermato, è una novità, sicuramente compatibile con la presenza di ‘avanguardie’ provenienti dal Medio Oriente, subito dopo (o subito prima) l'ibridazione con i Neanderthal” commenta per Il Bo Live Luca Pagani, professore di antropologia molecolare al dipartimento di biologia dell’università di Padova, che con il suo gruppo sta studiando i dati genetici relativi proprio all’arrivo di Homo sapiens in Europa.
“Dai dati genetici e paleoantropologici già in nostro possesso sappiamo che l'espansione fuori dall'Africa che ha portato alla colonizzazione dell'Eurasia da parte degli esseri umani anatomicamente moderni è avvenuta intorno ai 60.000 anni fa e che circa 55.000 anni fa la nostra specie si è ibridata con Neanderthal presumibilmente in Medio Oriente. Mettendo insieme conoscenze genetiche e quelle sulla cultura materiale, sappiamo anche che già 45.000 anni fa (o forse anche un po' prima) gli esseri umani anatomicamente moderni arrivavano in Europa dell'Est ed interagivano con i Neanderthal locali, portando una cultura e un background genetico che successivamente scompaiono, per essere rimpiazzati intorno a 38.000 anni fa da una nuova ondata di umani anch'essi presumibilmente provenienti dal Medio Oriente.”
“Sarà interessante capire se la cultura materiale associata al ritrovamento della grotta Mandrin sia compatibile con una di quelle già rinvenute in Est Europa”, ad esempio nei siti di Zlaty Kun o di Bacho Kiro (di cui Il Bo Live ha parlato qui) o se invece a quell’epoca, conclude Pagani, “la presenza degli esseri umani anatomicamente moderni fosse da intendersi come solo sporadica e culturalmente influenzata dai Neanderthal”.