SCIENZA E RICERCA

L’energia dell’intelligenza artificiale: un intreccio che ridisegna il futuro

All’inizio del Novecento l’arrivo dell’elettricità ha segnato l’avvio di uno sviluppo prima impensabile, con impatti non solo sul piano economico e tecnologico, ma anche politico. Oggi quel ruolo sembra averlo ormai preso l’intelligenza artificiale, passata rapidamente dall’essere un argomento riservato all’accademia o ai laboratori di qualche Big Tech a una tecnologia di uso quotidiano per milioni di persone. A cui corrisponde un mercato del valore di migliaia di miliardi di dollari capace di spostare gli equilibri politici internazionali, come ha mostrato, per esempio, la recente rincorsa cinese sui modelli linguistici di grandi dimensioni come il famoso DeepSeek.

Il salto di paradigma è stato possibile per il crollo dei costi di calcolo, per la disponibilità di dati in quantità mai viste e per una serie di innovazioni tecniche che stanno cambiando il volto della nostra società. Ma c’è un elemento che resta imprescindibile: senza energia, l’IA non può esistere. E non parliamo di una quantità trascurabile, ma di una fame energetica che rischia di ridefinire le priorità di interi sistemi-paese. Lo mostra un recente report pubblicato dall’International Energy Agency (IEA), intitolato semplicemente Energy and AI, ‘Energia e IA”.

Data center: le nuove centrali del mondo digitale

Proseguendo nel parallelismo con l’inizio del Novecento e l’elettricità, anche l’IA ha le sue centrali, che sono i data center: enormi “fabbriche” costituite da moltissimi computer che lavorano insieme per addestrare e far girare gli algoritmi. Secondo i dati dell’IEA, un singolo data center consuma una quantità di energia pari a 100 mila abitazioni e, secondo le proiezioni, quelli più grandi in costruzione oggi potrebbero arrivare a consumare fino a 20 volte tanto. 

I dati più recenti, riferiti al 2024, mostrano che i data center di tutto il mondo consumano l’1,5% dell’energia globale. E non sorprende che a guidare la classifica siano Stati Uniti, Cina ed Europa, con quest’ultima però staccata rispetto alle altre due. Per fare un paragone, secondo quanto riportato da un articolo di Jacky Wong uscito sul Wall Street Journal un anno fa, è lo stesso impatto dell’illuminazione pubblica globale.

Le analisi proposte da report di IEA non si limitano a misurare la sete di energia attuale, ma propongono anche delle stime per il prossimo futuro. In questo senso, nel 2030 la capacità installata, cioè grossomodo la quantità massima di potenza elettrica di cui i data center possono aver bisogno, più che raddoppierà negli Stati Uniti e in Europa, mentre in Cina quasi triplicherà.

In altri termini, entro il 2030, il consumo potrebbe più che raddoppiare, arrivando a 945 terawattora, poco più di quanto consuma oggi tutto il Giappone. L’IA è il principale motore di questa crescita, insieme ad altri servizi digitali che sfruttano gli stessi data center. Negli Stati Uniti, i data center potrebbero presto rappresentare quasi la metà dell’aumento della domanda elettrica, superando il fabbisogno combinato di tutti i settori manifatturieri più energivori.

Il peso delle scelte

Queste proiezioni però dipendono da diversi fattori. Di sicuro bisognerà capire in che modo vogliamo che questi data center vengano riforniti di energia. Cioè, come si domanda il report dell’IEA, all’aumentare della domanda produrremo più energia elettrica da fonti fossili oppure da fonti rinnovabili e più sostenibili? Visti gli impatti attuali e quelli attesi per la crescita della domanda, non si tratta di una questione trascurabile sulla quale le politiche energetiche mondiali avranno un ruolo decisivo.

Il peso dei data center sulla crescita della domanda elettrica è particolarmente evidente nelle economie avanzate, che rappresentano oltre il 20% dell’aumento previsto fino al 2030, dopo anni di stagnazione o calo dei consumi. Ma integrare queste “centrali digitali” nelle reti elettriche esistenti non è semplice. Secondo l’IEA, molte infrastrutture sono già sotto pressione, e ritardi nell’ampliamento delle reti o nella fornitura di componenti critici potrebbero mettere a rischio fino al 20% dei progetti previsti. Serviranno scelte più intelligenti nella localizzazione, maggiore flessibilità operativa e incentivi regolatori mirati.

Inoltre, le politiche e il successo sul mercato dell’IA del prossimo futuro potranno spingere in diverse direzioni il settore. Per questo motivo il documento presenta quattro scenari diversi, che portano al 2035 con proiezioni profondamente diverse.

Lo scenario chiamato “Base” non prevede cambiamenti di politica rispetto all’IA, né la comparsa sul mercato di tecnologie per la produzione energetica più efficienti delle attuali. lo scenario Lift-off” (letteralmente, “decollo”) prevede un aumento più rapido dell’attuale nell’adozione di tecnologie basate sull’IA e un miglioramente sensibile nella gestione energetica. In questa situazione, nonostante la crescita della domanda, l’aumento della richiesta energetica non è così grande, anche se al 2035 saremmo di fronte al consumo di poco meno di due volte il Giappone. Lo scenario “Alta efficienza” è quello che presuppone un miglioramento sensibile dell’efficienza di hardware e software su cui si basa l’IA per rendere i servizi meno energivori. Infine, lo scenario Headwinds (“venti contrari”) è quello in cui non ci sono miglioramenti tecnologici e infrastrutturali. Come si può vedere dal grafico, il risultato può essere molto diverso.

Un sogno tecno-ottimista

Nel rapporto dell’IEA è contemplato anche un fattore mitigante. Infatti, anche se il consumo energetico di data center sempre più numerosi e grandi avrà un impatto negativo anche in termini di emissioni climalteranti, l’IA potrebbe aiutare a rendere più efficienti altri settori industriali. Secondo il documento, per esempio, soluzione basate sull’IA implementate nei trasporti, nella gestione degli edifici o nella produzione industriale, potrebbero portare a una diminuzione del 5% delle emissioni entro il 2035.

Si tratta però di scenari (come notano gli stessi autori) che potrebbero venire sconfessati perché, per esempio, il tasso di adozione dell’IA non rispetta le previsioni. Oppure per ostacoli burocratici e politici, come per esempio delle conseguenze inattese di un conflitto commerciale o geopolitico, e l’attuale “guerra dei dazi” mostra che non si tratta di scenari così improbabili. 

Una visione ardita

Uno dei motivi per cui i data center consumano grandi quantità di energia è il raffreddamento. La loro attività produce calore che deve essere smaltito, altrimenti perdono di efficienza o, peggio, si incappa in guasti. Per questo motivo una startup fondata nel 2024, Starcloud, ha pensato che per un futuro non troppo lontano il luogo ideale per costruire i data center sia lo spazio. I vantaggi sarebbero interessanti. Le basse temperature fuori dall’atmosfera renderebbero il raffreddamento molto più efficiente che sulla Terra, oltre a non rappresentare un problema per il riscaldamento globale.

Inoltre, secondo quanto ha raccontato all’Economist il suo CEO, Philip Johnson, i sistemi di internet satellitare come la famosa rete Starlink di Elon Musk, hanno dimostrato di essere ormai estremamente efficaci e veloci. Motivo per cui in futuro trasportare grandi quantità di dati dalla superficie all’orbita non dovrebbe più essere un problema.

L’Economist riporta anche alcune criticità che i detrattori di Starcloud hanno fatto notare. Innanzitutto nello spazio, molto più che sulla Terra, c’è bisogno di proteggere i pannelli solari che alimenterebbero i data center, come per esempio dalle collisioni con altri oggetti orbitanti o fluttuanti, a cominciare dai molti rifiuti spaziali accumulati in alcune regioni dello spazio vicino.Questa necessità farebbe salire i costi al punto da non rendere vantaggioso il progetto.

Per Johnson, però, il vero nodo fondamentale è quello del costo dei lanci per spedire in orbita i materiali per la costruzione e la manutenzione. Con l’arrivo dei vettori commerciali, i costi si sono notevolmente abbassati, ma non ancora tanto da rendere tutta l’operazione Starcloud davvero realizzabile. Ma di quanto devono abbassarsi? Johnson e soci pensano che caleranno di oltre il 99%. Non si può dire che a Starcloud pecchino di ottimismo.

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