SCIENZA E RICERCA
Le ibridazioni tra Homo sapiens e Neanderthal erano frequenti anche in Europa
Si accumulano sempre più evidenze del fatto che Homo sapiens, dopo essere uscito dall’Africa tra 60.000 e 80.000 anni fa, si sia ibridato con i Neanderthal, una popolazione ominina che già abitava l’Eurasia.
Due modi diversi di essere umani che si sono incrociati e hanno lasciato discendenza: in media, il 2% del DNA di tutti gli esseri umani non africani di oggi è materiale genetico un tempo appartenuto ai Neanderthal e da loro ereditato.
Finora si sapeva che sapiens e Neanderthal si sono incontrati e accoppiati, scambiandosi geni, in Medio Oriente tra i 50.000 e i 60.000 anni fa. Eravamo anche a conoscenza di due sapiens euroasiatici che avevano avuto nel proprio albero genealogico almeno un Neanderthal: uno è vissuto nell’attuale Romania (Peștera cu Oase) tra i 37.000 e i 42.000 anni fa e l’altro in Siberia (Ust’-Ishim) circa 45.000 anni fa.
Ora due nuovi lavori, uno pubblicato su Nature e uno su Nature Ecology and Evolution, riportano almeno due novità molto importanti. Il primo lavoro rivela che le interazioni tra le due popolazioni ominine sembrano essere state frequenti anche in Europa. Il secondo riporta il genoma di Homo sapiens (con una percentuale di DNA Neanderthal) più antico finora conosciuto (oltre 45.000 anni fa). Ma come sempre accade l'evoluzione umana è molto meno intuitiva di quello che sembra. “L’aspetto interessante” commenta Luca Pagani, professore di antropologia molecolare al dipartimento di biologia dell’università di Padova “è che questi individui, nonostante siano stati rinvenuti in Europa, non sono diretti antenati degli europei odierni”.
Genome data for the three oldest known modern human remains in Europe shed light on early human migrations in Europe and suggest that mixing with Neanderthals was more common than is often assumed, according to a Nature paper. https://t.co/rrMBYTUcFo pic.twitter.com/45uDJSCwH6
— Nature (@nature) April 7, 2021
I tre di Bacho Kiro, Bulgaria
Il primo lavoro, coordinato dal genetista Svante Pääbo del Max Planck Institute di antropologia evoluzionistica a Lipsia, in Germania, analizza il materiale genetico ottenuto dai resti (un molare e quattro frammenti ossei) di tre individui maschi vissuti tra 45.930 e 42.580 anni fa nella grotta di Bacho Kiro, in Bulgaria. Una porzione compresa tra il 3,4% e il 3,8% del genoma di questi primi sapiens arrivati in Europa è risultata essere neanderthaliana. Inoltre le sequenze neanderthaliane sono risultate particolarmente lunghe, un dato che suggerisce che il bisnonno Neanderthal di questi individui risalisse a non più di 7 generazioni precedenti alla loro. In altri termini, il loro antenato Neanderthal si era accoppiato con un coniuge sapiens non più di 180 anni prima.
Luoghi in cui è stato sequenziato il genoma di Homo sapiens in Eurasia. In blu l’ipotetica area di estensione geografica delle popolazioni Neanderthal. Ann Gibbons 2021 Science
La donna di Zlatý kůň, Repubblica Ceca
Il secondo lavoro, coordinato da Johannes Krause del Max Planck Institute per le scienze della storia umana di Jena, analizza invece il genoma ottenuto dal cranio di un individuo femmina vissuto più di 45.000 anni fa nella grotta di Koněprusy in Repubblica Ceca, poco fuori Praga. Il reperto ha preso il nome dalla collina che sta sopra la grotta: Zlatý kůň, che significa cavallo dorato.
Il corredo genetico di questa donna è risultato Neanderthal per il 3%. Diversamente dagli individui di Bacho Kiro, il trisavolo Neanderthal della donna di Zlatý kůň sarebbe vissuto, secondo gli studiosi, tra le 70 e le 80 generazioni prima di lei, quindi oltre 2000 anni prima.
Il cranio di Zlatý kůň era in realtà un reperto scoperto degli anni ‘50 del Novecento. Per tenerne insieme i frammenti era stata utilizzata della colla bovina che però aveva contaminato il DNA del reperto, rendendone incerta la datazione. Kay Prüfer e Cosimo Posth, ricercatori del Max Planck Institute di Jena e primi firmatari del lavoro, hanno allora confrontato la porzione di genoma neanderthaliana con sequenze la cui datazione era già conosciuta, quelle dell’individuo siberiano maschio di Ust’-Ishim (di 45.000 anni fa).
Le analisi hanno svelato che la donna di Zlatý kůň e l’uomo di Ust’-Ishim sono risultati cugini alla lontana, perché entrambi facevano parte della discendenza lasciata da un medesimo incontro tra sapiens e Neanderthal, probabilmente (ma non certamente) avvenuto anni prima in Medio Oriente: la donna è vissuta 60 – 80 generazioni dopo quell’evento incontro, l’uomo 85 – 100 generazioni dopo. Questo dato stabilisce con certezza che la donna di Zlatý kůň è vissuta prima dell’uomo di Ust’-Ishim, il che assegna a lei il primato di genoma di Homo sapiens più antico mai sequenziato finora (oltre i 45.000 anni fa).
Luoghi in cui è stato sequenziato il genoma di Homo sapiens in Eurasia. In basso una tomografia microcomputerizzata del cranio di Zlatý kůň. Prüfer et al 2021, Nat Eco & Evo
Genomi antichi di Homo sapiens
Questo dato di DNA antico è particolarmente prezioso perché, da un punto di vista genetico, dei primi sapiens arrivati in Europa fino ad ora non si conosceva granché. Il DNA infatti è una molecola che si degrada molto facilmente con il passare del tempo e ogni qual volta si riesce ad estrarlo da reperti di diverse decine di migliaia di anni è sempre uno scrigno di informazioni che si schiude.
Il più antico DNA nucleare appartenente a una specie ominina risale a 430.000 anni fa e appartiene a un individuo vissuto in Spagna e rinvenuto nel sito archeologico di Sima de los Huesos, nella Sierra de Atapuerca.
Le proteine invece possono conservarsi più a lungo del DNA e anche dal loro sequenziamento si possono ottenere conoscenze interessanti: tipicamente ci si concentra su una proteina dei denti (enamel), che pure si conservano più facilmente, e si prova a risalire al corrispondente codice genetico. È così che si è ricostruito il proteoma di Homo antecessor, rinvenuto ad Atapuerca 800.000 anni fa.
I genomi antichi di Homo sapiens tuttavia si sono rivelati molto difficili da ricavare, anche dai reperti fossili africani: il più antico ad oggi conosciuto risale a 8.000 anni fa. Per quanto riguarda l’Eurasia finora conoscevamo quello cinese di Tianyuan (40.000 anni fa), quello siberiano di Ust’-Ishim (45.000 anni fa) e quello rumeno di Peștera cu Oase (circa 40.000 anni fa).
Di quest’ultimo si sapeva che era neanderthaliano più del 6% delle sue sequenze: analizzando il DNA estratto dal reperto Oase 1 (una mandibola) si era scoperto che quell’individuo aveva vissuto solo 4 – 6 generazioni dopo il proprio antenato Neanderthal. In questo caso l’accoppiamento tra sapiens e Neanderthal era avvenuto in Europa, ma fino ad oggi non si sapeva quanto frequenti fossero stati questi incontri. L’esemplare siberiano di Ust’-Ishim (di 45.000 anni fa), che pure era portatore di una piccola percentuale di DNA neanderthaliano, infatti era probabilmente il discendente di incontri avvenuti molto tempo prima (nell’ordine delle migliaia di anni), forse in Medio Oriente.
Ora, specialmente i genomi di Bacho Kiro in Bulgaria rivelano che le ibridazioni tra sapiens e Neanderthal erano probabilmente frequenti anche in Europa. “Non c’è stato solo l’incontro in Medio Oriente appena dopo che sapiens è uscito dall’Africa. Hanno continuato a interagire in Europa, Oase 1 non era un coincidenza” commenta Luca Pagani. “Andando verso ovest ci sono state ripetute interazioni, che a me piace pensare anche culturali”.
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Discendenza
I ricercatori sono anche andati a vedere quale eredità genetica i tre individui di Bacho Kiro e la donna di Zlatý kůň abbiano lasciato agli esseri umani che popolano oggi la Terra. Ebbene, nessuno dei due gruppi risulta aver lasciato tracce negli europei odierni. Significa che la loro linea di discendenza genealogica a un certo punto si è interrotta, per lo meno in Europa.
Curiosamente, però, i tre bulgari sono risultati imparentati alla lontana con il genoma cinese di Tianyuan (40.000 anni fa). Il lavoro pubblicato su Nature Ecology & Evolution, i cui primi due firmatari sono Mateja Hajdinjak e Fabrizio Mafessoni del Maz Planck Institute di Lipsia, stabilisce infatti che i tre individui di Bacho Kiro condividono porzioni genomiche con gli abitanti dell’Asia Orientale (antichi e odierni) e con i nativi americani (che a loro volta hanno preso le mosse dall’Asia orientale per raggiungere il nord America più di 15.000 anni fa). Sembrerebbe quindi che i discendenti di Bacho Kiro abbiano trovato fortuna evolutiva a est anziché a ovest.
Nemmeno la discendenza della donna di Zlatý kůň, in Repubblica Ceca, sembra avere lasciato tracce in Europa, e forse nemmeno in Asia. Per lo meno i ricercatori non sono riusciti a dire se fosse più vicina alla discendenza orientale o occidentale. Questo lascia presupporre che facesse parte di una popolazione antica che ancora non si era differenziata geneticamente in asiatici ed europei.
“Se 40.000 anni fa in Bulgaria vivevano individui con un genoma affine a quello degli est asiatici odierni, dove vivevano 40.000 anni fa i progenitori degli europei odierni? Questa domanda rimane aperta” fa notare Luca Pagani. Sappiamo però che l’Europa è stata ripopolata da chi è arrivato dopo l’ultima glaciazione risalente a circa 20.000 anni fa, come riporta Ann Gibbons in un commento su Science.
Resta però aperta anche la domanda sulla fine dei Neanderthal. Le ultime loro tracce archeologiche in Europa sembrano risalire a circa 40.000 anni fa. L’avanzata di sapiens ha probabilmente incontrato popolazioni di Neanderthal già organizzate in piccoli gruppi separati tra loro. Sappiamo che i sapiens hanno abitato le stesse grotte che un tempo erano state dei Neanderthal, come quella di Fumane, in provincia di Verona. Forse in alcuni di questi rifugi hanno persino convissuto e imparato qualcosa l’uno dall’altro.