SOCIETÀ
Convivialismo, un altro mondo è possibile

Ricercare un equilibrio sociale ed economico in un nuovo mondo fondato su principi democratici e nuove potenzialità di realizzazione personale e collettiva. Per costruire un nuovo umanesimo, una nuova umanità, un nuovo rapporto con la natura. Un’utopia? A leggere il Manifesto convivialista, dichiarazione d’interdipendenza (edizioni Ets) non si direbbe. In un piccolo libro trova posto il progetto rivoluzionario di una sessantina di intellettuali: sociologi, antropologi, economisti e filosofi, un gruppo guidato da Alain Caillé (tra i firmatari anche Serge Latouche ed Edgar Morin e gli italiani Francesco Fistetti, autore della postfazione, ed Elena Pulcini) e riunito, nel 1981, attorno alla Revue du Mauss. Al centro, un’idea di condivisione: più che un appello, una vera e propria proposta convivialista che, partendo dall’arte del vivere in comune, si contrappone ai “riduzionismi dell’homo oeconomicus” e si basa sui principi di comune umanità, comune socialità, individuazione e opposizione controllata. “Una dottrina universalizzabile adattata alle attuali urgenze di portata mondiale, anche se la sua applicazione concreta sarà necessariamente locale e congiunturale”.
“Il convivialismo – spiega Francesco Fistetti nella postfazione del manifesto convivialista - si configura nel processo totale della globalizzazione come un contromovimento che si fa portatore di un progetto di ri-civilizzazione capace di riattivare il ciclo del dono (donare/ricevere/contraccambiare)”, di cui già scrisse Marcel Mauss negli anni Venti del secolo scorso. “Il dono – precisa Fistetti – è sempre un dono agonistico, poiché non cancella il conflitto, ma lo carica di un valore di legame: il nemico o l’estraneo può diventare un socius, un possibile alleato, se il conflitto dà luogo all’autolimitazione delle pretese degli attori, alla redistribuzione tendenzialmente equa delle risorse e soprattutto alla cooperazione tra soggetti (individui, popoli, nazioni) che, pur avendo culture differenti, ritrovano ogni volta il senso di vivere in un mondo e in un pianeta che esistevano prima di noi e che devono continuare a esistere”. Entra, dunque, in campo il pluriversismo delle culture e delle forme di vita che sta alla base della convivenza umana, da contrapporre all’universalismo monologico della razionalità dell’homo oeconomicus. Questa la via per progettare un’etica del futuro che sappia gestire la rivalità tra esseri umani. Il convivialismo valorizza l’arte di vivere insieme e punta a realizzare una cooperazione che “permetta - si legge nel manifesto - di contrapporsi senza massacrarsi, prendendosi cura gli uni degli altri e della natura”. Perché una società rigenerata in questo senso saprà sicuramente “accogliere il desiderio di riconoscersi di ognuno, e la parte di rivalità, di aspirazione al superamento costante di se stessi e di apertura al rischio che questo cela, favorendo l’apertura cooperativa all’altro”.
Diventa necessario chiedersi da dove partire per ritrovare un equilibrio cooperando e sviluppando il meglio di sé “senza massacrarsi”. E’ possibile pensare di opporsi al potere ormai illimitato dell’uomo sulla natura che non tiene conto della finitezza di quest’ultima? E’ possibile opporsi al trionfo planetario del mercato che ha lentamente plasmato il mondo e sottomesso “tutti i settori dell’esistenza, fino agli affetti e alle relazioni amicali e amorose”, subordinandoli a una logica contabile, tecnica e gestionale? E’ possibile riposizionare l’economia e sviluppare maggiormente le scienze umane e sociali? Sono molteplici le iniziative che già si muovono in questo senso: da quelle per “la difesa dei diritti dell’uomo e della donna, del cittadino, del lavoratore, del disoccupato, o dei bambini” ai movimenti slow food, slow town, slow science, dagli indignados a Occupy wall street, passando per la rivendicazione del buen vivir, la decrescita e il post-sviluppo, l’affermazione dei diritti della natura e l’elogio del pachamama, la ricerca di indicatori di ricchezza alternativi, le teorie del care. Solo unendo le forze e gli obiettivi comuni sarà possibile contrastare le minacce del nostro tempo. “Una pista è quella di stabilire che il benessere di tutti richieda la costruzione di una società del care e lo sviluppo di politiche pubbliche che valorizzino sia il lavoro per l’altro che coloro che praticano l’assistenza. Il care, la cura, la sollecitudine, alle quali le donne per prime sono state storicamente assegnate, sono il problema principale degli esseri umani perché sono la manifestazione più evidente del fatto che nessuno si fa da solo e che noi tutti siamo dipendenti gli uni dagli altri”. Rallentare e condividere per ritrovare un centro.
Francesca Boccaletto