SOCIETÀ
Eppure guardiamo ancora la tv

I dati non sorprendono. Basta camminare per strada per rendersi conto della situazione. Passeggiando, smartphone alla mano, diamo un’occhiatina alle notifiche di Facebook; alla fermata dell’autobus, per ingannare l’attesa, leggiamo distrattamente qualche email e, prima di entrare in ufficio, lanciamo un veloce tweet, giusto per far sapere che “ci siamo”. Anche online abbiamo un’identità, abbiamo qualcosa da dire più o meno su tutto, vogliamo aver accesso al maggior numero di informazioni nel più breve tempo possibile, per poter poi esprimere rapidamente la nostra opinione. Condividiamo pezzi della nostra vita privata con amici e sconosciuti, utilizzando sempre meno filtri, sempre meno accortezze. Divoriamo parole in un attimo e le rilanciamo accompagnandole con qualche nostro breve e abbozzato pensiero. Conduciamo una doppia vita, quella reale e quella virtuale. E la seconda non è meno importante della prima. Non più. Anzi, a volte, si sovrappone. La rete è affollata e i social network sono metropoli trafficate in continua espansione, abitate da una popolazione connessa, sempre e ovunque.
A tal riguardo (dovessero servire conferme), qualche dato concreto viene fornito dal 12esimo rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione. Nel 2015 gli utenti di internet sono aumentati del 7,4% rispetto al 2013: il 71% degli italiani si connette. Si diffondono i social network: è iscritto a Facebook il 50,3% della popolazione (il 77,4% dei giovani under 30), YouTube raggiunge il 42% di utenti (il 72,5% tra i giovani) e il 10,1% degli italiani usa Twitter. Il rapporto Censis fa il bilancio della grande trasformazione dei media dell'ultimo decennio: la carta stampata è in agonia, ancora, e anzi sempre di più (-1,6% i lettori dei quotidiani rispetto al 2013), la rete avanza inesorabile. In questo panorama in continua trasformazione, solo un “vecchio amore” resiste: la televisione, che resta regina dei media con una quota di telespettatori che coincide sostanzialmente con la totalità della popolazione e raggiunge il 96,7%.
Abissali le distanze tra i consumi mediatici giovanili e quelli degli anziani. Tra i giovani la quota di utenti della rete arriva addirittura al 91,9%, mentre è ferma al 27,8% tra gli anziani. L'85,7% dei primi usa lo smartphone, solo il 13,2% dei secondi; il 77,4% degli under 30 è iscritto a Facebook, contro il 14,3% degli over 65; il 72,5% dei giovani usa YouTube, ma solo il 6,6% degli ultrasessantacinquenni sa di cosa stiamo parlando. E così via, le differenze “digitali” sono molte: i giovani che guardano la web tv (40,7%) sono molti di più degli anziani che fanno altrettanto (7,1%), il 40,3% dei primi ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, dieci volte di più dei secondi (4,1%) e, mentre un giovane su tre (36,6%) ha un tablet, solo il 6% degli anziani lo usa.
Al contrario, l'utenza giovanile dei quotidiani (27,5%) è inferiore a quella di chi ha più di 65 anni (54,3%). E a proposito di giornali, non ci sono buone notizie: la carta stampata non inverte il ciclo negativo e lascia invece spazio ai quotidiani online, in crescita (+2,6%), e agli altri portali web di informazione (+4,9%). Ma, dunque, dove si cercano oggi le informazioni? Resistono i telegiornali, ancora utilizzati come fonte d’informazione dal 76,5% della popolazione. Seguono i giornali radio (52%), i motori di ricerca su internet, come Google (51,4%), le tv all news (50,9%) e, appunto, Facebook (43,7%), con percentuali che cambiano notevolmente se ci si concentra sulle abitudini dei più giovani: il 71,1% cerca notizie su Facebook, il 68,7% su Google, il 68,5% sceglie il telegiornale.
In questo quadro di grandi trasformazioni, si inserisce e decolla l’economia della disintermediazione digitale. “Gli utenti – si legge nel rapporto Censis/Ucsi – si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che li mettono a diretto contatto con i loro interlocutori o con i servizi di loro interesse, evitando l’intermediazione di altri soggetti. Negli anni della crisi la diminuzione delle disponibilità finanziarie ha costretto gli italiani a tagliare su tutto. Ma non sui media digitali connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere individuale di disintermediazione, che ha comportato un risparmio netto finale nel bilancio familiare. Usare internet per informarsi, acquistare prodotti e servizi, prenotare viaggi e vacanze, guardare film o seguire partite di calcio, svolgere operazioni bancarie o entrare in contatto con amministrazioni pubbliche, ha significato spendere meno soldi o anche solo sprecare meno tempo: in ogni caso, guadagnare qualcosa”.
F.Boc.