SOCIETÀ

Eurozona, il prezzo dell’austerità

Un’area Euro sempre più indebitata, e al tempo stesso squilibrata al suo interno. Lo certifica l’Eurostat: alla fine del secondo quadrimestre 2013 il rapporto tra debito pubblico e Pil ha raggiunto il 93,4% nei paesi che usano la moneta unica, con un incremento del 3,5% in un anno. Se invece si considerano tutti i 28 paesi dell’Ue, la percentuale del debito scende all’86,8%, e anche la sua crescita è più contenuta (+2,1% rispetto al 2012).

In questa fase insomma l’area euro sembra sentire più la crisi rispetto agli altri paesi europei. Questo però non vale per tutti gli stati. L’indebitamento è infatti aumentato fortemente in periferia, specie a sud: in un anno +19,9% in Grecia, +15,5% in Irlanda, +14,7% in Spagna e +13,1% in Portogallo, i paesi dove le politiche di austerity fanno sentire maggiormente il loro peso. Al contrario, è diminuito in Lettonia (-3,8%), in Germania (-2,1%), Danimarca e Austria (entrambi al -0,6%).

Per quanto riguarda l’Italia il rapporto debito/pil è arrivato al 133,3%, (+7,7% in un anno), che fa del nostro paese il più esposto dopo la Grecia (169,1%), prima di Portogallo (131,3%) e Irlanda (125,7%). La Germania, che ha potuto sfruttare tassi eccezionalmente bassi nelle ultime emissioni, ha visto invece il proprio debito pubblico calare sotto la soglia dell’80%.

Sta di fatto che, nonostante il favore della finanza internazionale, anche le economie del centro e nord Europa nel medio-lungo periodo potrebbero soffrire dell’eccessivo impoverimento degli altri paesi. Non è forse un caso che anche in Germania si sia registrato in questi giorni un rallentamento dell’economia, unito a una leggera crescita della disoccupazione. Secondo dati ufficiali il numero dei senza lavoro è infatti cresciuto di 24.000 unità a settembre e di 2.000 ad ottobre, arrivando al 6,9% su base nazionale (il 10,3% nei Länder dell’Est). Allo stesso tempo la crescita economica è calata dallo 0,7% del secondo trimestre allo 0,4 del terzo, secondo i dati riportati dall’agenzia internazionale Bloomberg. Numeri che probabilmente in Italia ci sogniamo, ma che oltre le Alpi stanno mettendo più di qualche pensiero. In ottobre infatti per la prima volta in sei mesi tra le aziende tedesche è calata la fiducia sulle prospettive economiche: l’Eurozona continua infatti ad essere il primo partner commerciale della Germania, un’economia manifatturiera che fa delle esportazioni il suo punto di forza. Destano preoccupazione notizie come quella che riguarda la Bilfinger, il secondo costruttore edile a livello nazionale, che ha annunciato di volr tagliare 1.250 posti di lavoro nei prossimi due anni.

Sul piano europeo gli scompensi della crisi si fanno sentire: un esempio viene dal bilancio dell’Unione Europea, che ultimamente ha fatto registrare un buco di circa 2,7 miliardi di euro rispetto alle attese. L’ammanco è stato sostanzialmente causato dalla diminuzione delle importazioni, su cui l’Unione incassa i dazi per l’ingresso nel mercato comune. La questione è stata risolta grazie anche alla pressione del presidente Barroso, che ha invocato un aggiustamento urgente per evitare che le casse della Commissione rimanessero vuote entro metà novembre. Alla fine un emendamento al bilancio è stato approvato dal Parlamento Europeo con 428 voti a favore, 44 contro e 76 astensioni, ma questo significa che l’ammanco verrà coperto con il contributo diretto da parte degli stati membri in ragione del loro prodotto interno lordo, rischiando di intaccare ancora di più le finanze dei paesi in crisi. 

Intanto però sul fronte dell’economia arriva anche qualche buona notizia. Se in Francia sembrano aumentare le tensioni sociali e le preoccupazioni di contagio – a causa della perdurante stagnazione e delle nuove tasse decise dal governo per limitare il deficit crescente – dall’altro lato c’è anche chi inizia a sperare. È il caso della Spagna, dove il Pil nei tre mesi tra luglio e settembre ha registrato un incremento del 0,1% rispetto al precedente trimestre. Un piccolo passo avanti rispetto al -1,6% del secondo trimestre: tanto basta alla Banca di Spagna per dichiarare tecnicamente la fine della recessione dopo due anni di attese. Su base annuale il Pil scende comunque dell'1,2%, con un tasso di disoccupazione che rimane ampiamente sopra i livelli di guardia, mentre un certo miglioramento si intravede nell’aumento dell’export. La vera ripresa sembra ancora lontana, ma intanto può cantare vittoria il governo conservatore di Mariano Rajoy, da mesi al centro delle polemiche anche per le politiche impopolari fatte di tagli alla spesa e aumento della pressione fiscale.

E in Italia? Nelle previsioni dell’Istat, rese note dal presidente Antonio Golini nel corso di un’audizione al Senato, la fine della recessione dovrebbe arrivare nell’ultimo trimestre dell’anno in corso. Anche se a destare preoccupazione sono i numeri della disoccupazione giovanile, ormai arrivata al 40%, e soprattutto l’aumento delle persone che vivono sotto la soglia della povertà, raddoppiate in cinque anni fino a quota 4,8 milioni.

Daniele Mont D’Arpizio

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