SOCIETÀ

Fracking: svanisce il sogno dell'autosufficienza energetica

Da qualche anno negli Stati Uniti non si fa che parlare di come la fratturazione idraulica (o “fracking”), e altre simili tecnologie estrattive di ultima generazione, abbiano dato il via a una rivoluzione energetica di proporzioni storiche, che sta ora contribuendo alla ripresa economica americana - avendo fatto di questo paese uno dei più competitivi al mondo quanto ai costi del gas naturale e dell’elettricità - e, nel lungo periodo, permetterà a Washington di districarsi dall’instabilità politica che continua a caratterizzare la regione medio orientale e le nazioni produttrici di petrolio (basti pensare al nuovo precipitare della situazione in Iraq). Eppure alcuni esperti mettono già in guardia sull’eccessivo ottimismo che domina questo dibattito, convinti sì che il gas, e, in maniera meno significativa, il petrolio di scisto rappresentino un’alternativa importante a fonti di energia più tradizionali, ma che quest’industria sia anche nella stretta di una pericolosa ondata di speculazione.

Dati della Energy Information Administration, un’agenzia del governo federale, mostrano che se nel 2007 il gas di scisto rappresentava circa l’8,1% della produzione americana complessiva di gas naturale, nel 2012 la sua quota era salita al 39%. Per quanto riguarda il greggio, si è passati dal 12% nel 2008 al 35% nel 2012. E, almeno per il momento, questo trend continua inarrestabile.

Ma a leggere tra le righe, anche dei rapporti e degli studi più entusiasti rispetto al potenziale energetico degli Stati Uniti, si comprende che il boom del gas e del greggio di scisto è probabilmente solo temporaneo. Ad esempio, Francis O’Sullivan e Sergey Paltsev del Massachusetts Institute of Technology hanno calcolato nel 2012 che la produzione di gas generata dai pozzi di questo genere tende a scendere del 60% dai livelli iniziali già nei primi dodici mesi di vita, e successivamente di un ulteriore 20% all’anno. Considerato che “il volume reale del boom del gas di scisto è apparso nel 2009 – scrive sulla rivista online NEO F. William Engdahl, un ricercatore specializzato nel settore – “ciò significa che i giacimenti in cui erano presenti trivellazioni significative dal 2009 sono già drammaticamente esauriti del 80%, e presto del 90%.”(Qui una traduzione italiana del suo articolo). 

Non tutti sono così pessimisti, ma, anno più anno meno, le problematiche da lui sollevate sono senz’altro inevitabili. “La produzione di greggio e gas naturale dalle formazioni di scisto hanno dato agli Stati Uniti circa dieci anni prima che il loro esaurimento cominci seriamente – dice Arthur Berman, un geologo del petrolio e consulente indipendente che vive a Houston, Texas – Le stime più credibili, incluse quelle del governo, suggeriscono che la produzione di greggio di scisto raggiungerà il picco nei prossimi 3-7 anni e poi comincerà a declinare, mentre, per quanto riguarda il gas, le predizioni sono più variabili ma anche quelle più ottimiste valutano che il picco produttivo sarà raggiunto subito dopo il 2020”. Di conseguenza, spiega Berman, “l’idea che la situazione energetica degli Stati Uniti sia stata rivoluzionata per sempre è falsa”. 

Tra l’altro, la sopravvivenza commerciale di questi depositi difficili e costosi da raggiungere dipende direttamente dall’andamento dei prezzi internazionali di gas naturale e greggio, i primi già troppo bassi perché l’estrazione attraverso il fracking sia davvero sostenibile a livello finanziario e i secondi sufficienti oggi, ma non più se un barile di petrolio dovesse mai scendere sotto gli 80 dollari circa. 

Siccome però si continua a trivellare in ogni angolo degli Stati Uniti, c’è chi comincia a temere che una vera e propria bolla speculativa abbia investito questo settore. “Dato l'infinito regime di tasso di interesse zero della Fed, i fondi di investimento sono alla disperata ricerca di investimenti che rendano un interesse maggiore; sono così disperati che versano soldi nelle aziende di gas di scisto, o nel petrolio di scisto come mai prima – scrive Engdahl - Queste aziende lavorano in perdita, cariche di debiti, e le agenzie di rating valutano il loro debito come ‘spazzatura’, ovvero a rischio di default in una recessione di mercato”.

Anche in questo caso, Engdahl offre un’interpretazione particolarmente cupa della situazione, ma non c’è dubbio che l’industria del fracking americana farebbe meglio a maneggiare il boom energetico in corso con maggiore cautela. “L’entusiasmo per i depositi di scisto è comprensibile ma esagerata, perché la gente spera semplicemente di non dovere cambiare mai il proprio atteggiamento rispetto alla produzione e al consumo di energia – conclude Berman – Io non prevedo un collasso finanziario del settore americano dell’esplorazione e della produzione, ma c’è un’enorme quantità di debito e un rapporto insostenibile tra investimenti elevatissimi e flusso di cassa, quindi la mia ipotesi è che vedremo un certo livello di consolidamento man mano che le aziende più indebitate vanno in crisi”. Per il governo di Washington, di conseguenza, è ancora lontano il momento in cui potrà davvero ignorare il riaccendersi degli scontri settari in Iraq.

Valentina Pasquali


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