SOCIETÀ

Ivo Rossi: "Abbiamo bisogno di una città da Nobel"

La città come un organismo vivente, nella definizione data da Francesco Jori sulle pagine de “Il Bo”. Come tale Padova cambia, anche con rapidità: il vicesindaco del Comune, Ivo Rossi, cerca di tracciare una rotta a questo cambiamento.

Come vede la città di Padova oggi e come la vede invece in un immediato futuro?

Viviamo in una società globalizzata che produce effetti a livello sociale di cui si deve tenere conto e che comportano delle accelerazioni nel modo di vivere e percepire la comunità in cui si abita. La crisi economica che ci colpisce esalta il cambiamento. Ti chiede di adattarti con flessibilità e soprattutto velocemente. La politica è invece lenta. Questa dicotomia tra lentezza e velocità deve essere assolutamente superata. Ci sono dei chiari elementi di freno. Noi viviamo come se fossimo autosufficienti e non ci accorgiamo di essere, invece, parte del mondo. Il punto cardine è di essere o non essere nel globale e di cercare di contare. Il ruolo in questo contesto serve come condizione per soddisfare nel futuro il benessere, inteso non solo dal punto di vista economico, ma anche di quello sociale come piacere di vivere e relazionarsi nella città.

Qual è la “medicina”?

I veneti fino a poco tempo fa si immaginavano ricchi e ora invece si trovano in stato di choc e guardano storto anche chi viene dall’esterno. È necessario fare relazione e puntare sulle risorse che si hanno per arrivare all’eccellenza. Il capitale principale di cui disponiamo è quello della conoscenza, della presenza dei giovani e dell’università. Negli anni Settanta gli studenti del Sud arrivavano a Padova per iscriversi a medicina che era considerata la facoltà con la “f” maiuscola. Ora non è più così e dobbiamo cercare di riprenderci questo standard. Faccio due esempi: a Padova è stato presentato di recente il progetto Iter per la fusione nucleare. Bene, la nostra città è tra le sei al mondo che avvieranno questa sperimentazione. Saremo un nodo visibile a livello internazionale: avremo qualcosa da dire e da comunicare. Penso poi alla torre della Città della speranza: a regime ci saranno all’interno 200-300 ricercatori specializzati nella ricerca nel campo dell’oncoematologia pediatrica. Tra questi dovremo tirare fuori un premio Nobel.

Giovani e conoscenza come punto di partenza, insomma.

Sto facendo disegnare delle mappe della città perché questa è diversa da come la raccontiamo. Padova deve diventare una città “smart” o, come direbbero gli stessi padovani, una città “sgaia”.

Come diventare, allora, una città “smart”?

Ci sono dei punti cardine: Padova deve essere una città ad alta accessibilità, quindi investire sempre di più sul trasporto pubblico locale e il tram va in questa direzione. Abbiamo il via libera per la tratta del tram dalla Fiera di Padova fino a piazza Garibaldi per un costo di circa sei milioni di euro più il costo dei mezzi nuovi da acquistare.

Parlava di punti cardine, quali sono gli altri?

L’alta ciclabilità. In questi anni da amministratore ho lavorato molto sul fronte delle biciclette. Voglio che a Padova ci si possa muovere ovunque con le due ruote che per i cittadini devono diventare uno stile di vita irrinunciabile. Punto a realizzare ancora più piste ciclabili di quelle attualmente disponibili.

Per quanto riguarda il ruolo dell’università?

Padova deve essere una città ad alta connettività. E come sede universitaria deve poter fare di più di quello che si fa ora. L’ateneo deve fare in modo che i giovani siano in grado di far crescere delle start up per competere negli ambienti che contano. E soprattutto serve una massa critica: trovo deleterio creare molte sedi universitarie distaccate. Assomigliano più a dei grandi licei.

Torniamo a qualcosa di più concreto. Nei prossimi anni Padova si troverà ad affrontare un cambiamento notevole: lo spostamento dell’attuale ospedale dalla sua posizione attuale allo spazio di Padova Ovest. È prematuro parlare di quale sarà il destino dell’area incastonata tra le mura in centro storico?

Un’indicazione di massima esiste già. Si vorrebbe abbattere tutta la cubatura esistente tranne quella del policlinico, dove potrebbe essere trasferito l’ospedale Sant’Antonio di via Facciolati. Tutto il resto dell’area diventerebbe un grande parco verde, da una parte con l’allargamento del Treves, dall’altra con la valorizzazione delle mura di cinta e del fiume che scorre a fianco. La zona del vecchio giustinianeo rimarrebbe intatta, essendo vincolata ai beni architettonici.

Questa amministrazione ha puntato molto sulla questione del nuovo nosocomio, come mai?

La sanità è un volano per garantire salute ma in cui si produce anche salute. L’ospedale è anche un produttore di valore economico aggiunto, grazie a chi viene a curarsi e all’indotto che queste persone portano sul nostro territorio. Da questo punto di vista, produce salute intesa come benessere. Anche la nascita del nuovo centro congressi va in questa direzione.

 

Mattia Sopelsa

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