SOCIETÀ
Obama rieletto, Congresso diviso

Un uomo festeggia la vittoria di Obama in Kenya, nel paese di origine della famiglia del presidente degli Stati Uniti / Thomas Mukoya / Reuters
Alla fine il temuto “pareggio” non c’è stato: la minaccia di un risultato che, per la seconda volta in 12 anni, desse la vittoria al candidato che aveva ottenuto meno voti dai cittadini americani rivelando al mondo il carattere arcaico e pochissimo democratico del sistema elettorale americano non si è materializzata. Barack Obama ha ottenuto oltre 300 voti dei grandi elettori, largamente più della necessaria maggioranza (270). Soprattutto, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti popolari, sia pure un risicato 50,1%, smentendo le previsioni di chi dava Romney in vantaggio su questo terreno.
Obama ha compiuto un’impresa doppiamente storica: è il primo presidente americano dal 1936 a essere rieletto con una disoccupazione superiore al 7%, e il primo presidente che è riuscito a far approvare dal Congresso una razionalizzazione e un ampliamento del sistema sanitario, benché questo resti affidato alle assicurazioni private e non pubblico.
La notte elettorale è stata lunga: i primi seggi chiudevano alle 18, ora della costa orientale, e i primi risultati sono stati resi noti dalle televisioni alle 19, le una del mattino in Italia: il Kentucky andava a Romney e il Vermont a Obama. Si votava anche per la Camera e i repubblicani conquistavano subito 7 deputati, contro uno solo per i democratici. Al Senato, il candidato democratico in Virginia, Tim Kaine, era in lieve vantaggio (50,7%) contro quello repubblicano George Allen: un segnale positivo anche per il presidente, essendo la Virginia uno degli Stati dove l’esito era più incerto.
Alle 2 italiane cominciano ad affluire exit polls e qualche dato parziale: sono gli Stati dove il risultato è scontato, come Oklahoma, South Carolina e Georgia, dove Romney vince largamente: la mappa elettorale comincia a tingersi di rosso, il colore distintivo dei repubblicani. Intanto affluiscono i primi dati dagli Stati decisivi come Florida, Ohio e Virginia, e danno una perfetta parità in Florida, un lieve vantaggio a Obama in Ohio, un consistente vantaggio a Romney (56%) in Virginia. Si capirà più tardi nella notte che a trasmettere i risultati erano state per prime le contee rurali del sud di questo Stato, quelle dove le politiche ambientali di Obama sono percepite come una minaccia ai posti di lavoro nelle miniere di carbone. Romney a questo punto risulta in vantaggio anche in North Carolina, dove Obama aveva vinto quattro anni fa.
Alle 4, le sorti delle elezioni sembrano volgere a favore di Romney: tutti i “suoi” Stati si mettono ordinatamente in fila: North Dakota, South Dakota, Texas, Nebraska, Alabama. Le televisioni americane danno il candidato repubblicano in vantaggio di circa un milione e mezzo di voti, con il 50%, contro il 48% a Obama. Anche nel conteggio dei “grandi elettori” nel collegio elettorale Romney appare in testa, con 158 voti contro 147. Siamo ancora lontani dalla fine ma si delinea lo scenario di una elezione dove occorrerà contare e ricontare fino all’ultima scheda perché in Florida, in Ohio, in Virginia il risultato è incertissimo e in Wisconsin è Romney ad essere in testa. Poiché in molti Stati la legge rende obbligatorio un nuovo conteggio delle schede se la differenza tra i due candidati è inferiore allo 0,5% dei voti espressi, gli avvocati dei due partiti si preparano a presentare petizioni e ricorsi ovunque.
È’ solo dopo mezzanotte ora di New York, le 6 del mattino italiane, che si capisce che Obama può farcela quanto meno nel collegio elettorale: il suo vantaggio in Ohio tiene ed è in testa anche in Iowa (un altro Stato potenzialmente decisivo). A livello nazionale, però, è indietro di 150.000 voti, sia pure quando mancano da scrutinare centinaia di migliaia di suffragi della California. I network televisivi lo danno vincitore ma l’incertezza è ancora alta: la tradizionale telefonata del candidato perdente al vincitore, questo rituale americano che conta più del conteggio dei voti, non arriva. C’è ancora la possibilità che i repubblicani chiedano di verificare i risultati in Florida, Virginia e Ohio, rimandando di giorni, o forse di settimane, come avvenne nel 2000, la definizione del vincitore. Qualche minuto prima delle 7, ora italiana, ovvero dopo l’una di notte negli Usa Romney decide che il risultato non può essere ribaltato e chiama Obama per le congratulazioni. La più lunga, aspra e costosa campagna elettorale della storia americana è finita.
Fabrizio Tonello