SOCIETÀ

Parto anonimo, il figlio potrà cercare la madre biologica

Ogni anno in Italia nascono circa 400 bambini che non vengono riconosciuti dalla madre. Il dato, diffuso dalla Società italiana di neonatologia, è collegato alla facoltà garantita dalla legge di partorire in ospedale sotto garanzia di anonimato: la nascita, in questo caso, viene dichiarata dal personale sanitario, che è tenuto a omettere le generalità della puerpera. La madre può riservarsi del tempo per decidere, entro due mesi, se tornare sulla sua decisione; oppure, nel caso non abbia ancora sedici anni, può attendere fino a quell’età per optare per il riconoscimento. Entrambi questi casi richiedono, perché la proroga sia accordata, che la madre dopo il parto mantenga un rapporto continuativo con il bambino. Al di fuori di queste eccezioni, il bimbo non riconosciuto è subito segnalato al tribunale dei minori, per assicurargli quanto prima una famiglia adottiva.

L’impianto della normativa sul parto anonimo, che è generalmente ritenuta una misura fondamentale per prevenire aborti, infanticidi e abbandoni, potrebbe essere profondamente modificato se il Senato approverà un progetto di legge, già varato dalla Camera, che incide su un elemento decisivo: l’attuale assoluta impossibilità, per il figlio non riconosciuto, di risalire all’identità della madre biologica. Secondo le norme oggi in vigore, i dati identificativi della madre che non desideri riconoscere il figlio non sono consultabili per un periodo di 100 anni. La ratio è evidentemente offrire alla madre la garanzia che in nessun modo il figlio non riconosciuto possa, finché vive, risalire alla sua identità. Che il diritto della madre alla riservatezza dovesse prevalere su quello del figlio a conoscere le sue origini biologiche è stato un principio indiscusso fino al 2013, quando la Corte Costituzionale, in seguito a una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha stabilito l’illegittimità del divieto assoluto. In quella sede  la Corte, pur riconoscendo l’obbligo di tutelare la partoriente, ritenne necessario che la madre avesse la possibilità di revocare la decisione dell’anonimato, di fronte alla richiesta del figlio.

La questione è delicatissima, perché vengono a scontrarsi due situazioni degne della massima considerazione: da un lato la necessità di tutela della riservatezza della madre (si pensi, ad esempio, a donne straniere le cui comunità considerino una gravidanza al di fuori del matrimonio come una grave violazione del loro codice di valori); dall’altro la tutela, ugualmente degna di sostegno, dell’interesse del figlio a conoscere la madre (e la possibilità di garantire il ripensamento da parte di lei). Come interviene la nuova proposta di legge? È previsto che la madre, dopo 18 anni dal parto, possa confermare o revocare la decisione sull’anonimato. A sua volta, compiuta la maggiore età, il figlio può rivolgersi al tribunale per i minorenni perché interpelli la madre biologica solo nel caso in cui questa non abbia, fino a quel momento, esplicitamente confermato l’anonimato. A quel punto la madre, contattata dal tribunale tramite i servizi sociali, può decidere di ribadire la sua volontà alla riservatezza: in questo caso il figlio avrà accesso alle sole informazioni di carattere sanitario (informazioni, queste, garantite al figlio maggiorenne anche nel caso in cui la madre abbia preventivamente confermato l’anonimato, e dunque la domanda di accedere alla sua identità non possa aver luogo). Se invece la donna revoca la volontà di anonimato (con una dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile), dovrà fornire i dati necessari a identificarla. Il figlio potrà così conoscerne l’identità: un passo che non avrà, però, alcuna conseguenza in termini patrimoniali o successori.

Se da un lato la proposta di legge sembra recepire le richieste della Consulta, d’altra parte sono molti i punti che hanno suscitato critiche veementi. Anzitutto l’intero procedimento, avviato su istanza del figlio, a causa del gran numero di persone coinvolte rende, di fatto, possibile la violazione della segretezza dell’identità della madre senza riguardo alla sua decisione in proposito; senza contare le profonde implicazioni psicologiche connesse all’obbligo (e non alla facoltà) per la madre di riconsiderare, dopo tanti anni, una decisione tanto traumatica. È poi previsto (è forse la disposizione più controversa) che, qualora la madre muoia, il figlio maggiorenne abbia in ogni caso diritto di conoscerne l’identità. Nella fase di prima applicazione della legge, inoltre, alle donne che abbiano partorito in anonimato prima dell’entrata in vigore della norma è prescritto di confermare, entro dodici mesi, la propria volontà di rimanere anonime. Qualora non presentino la dichiarazione, saranno anch’esse soggette alla potenziale richiesta di identificazione su istanza del figlio: la legge otterrebbe così efficacia retroattiva, rimettendo in discussione le garanzie alla riservatezza in base alle quali ogni madre ha assunto, in passato, la propria decisione.

Sulla proposta di legge, attualmente ferma al Senato in commissione Giustizia, da più parti sono state avanzate richieste di correzione. Un’ipotesi alternativa si basa sul rovesciamento del potere di iniziativa nel procedimento. L’eventuale procedura della revoca dell’anonimato dovrebbe essere avviata sempre e solo dalla madre che, senza alcun limite di tempo, sarebbe sempre libera di rivelare la sua identità senza alcuna pressione o richiesta esterna. Un’altra proposta vedrebbe liberi di depositare una richiesta spontanea, senza limiti temporali né stimoli esterni, sia la madre che il figlio: ma il procedimento si avvierebbe solo nell’ipotetico momento in cui fossero presenti le istanze di entrambe le parti.

Va ricordato, in conclusione, che una sentenza recentissima del Tribunale di Milano, nel respingere una richiesta di dichiarazione giudiziale di maternità contro una donna che aveva partorito in anonimato, ha interpretato la decisione della Consulta come conferma del diritto all’oblio della partoriente: per i giudici milanesi la Corte si è limitata a censurare l’assenza, nell’ordinamento, di mezzi per indagare la volontà della madre passati molti anni dalla sua espressione iniziale. Per i togati, la volontà della madre di rimanere anonima, se non revocata, deve sempre prevalere sull’interesse del figlio a conoscere le proprie origini.

Martino Periti

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