SOCIETÀ
Poveglia, il ritorno dei cittadini

Una veduta dell'isola di Poveglia
Può un'isola di svariati ettari e ricca di costruzioni storiche della laguna di Venezia, a mezz'ora di barca da San Marco, venire venduta all'asta per il prezzo di un appartamento due stanze e cucina nel centro della città? O, se si preferisce, di un ettaro di vigna a Barolo oppure – annunci immobiliari alla mano – di cinque box auto in zona Brera, a Milano? Secondo le regole che il Demanio dello Stato, impegnato nell'operazione "Valore paese" si è dato, sì - fatta salva una valutazione di congruità; secondo moltissimi cittadini, che si sono associati in tempi record e hanno "battuto un colpo" partecipando all'incanto a forza di crowdfunding, no. E così questa vendita, lungi dal concludersi con il "colpo di martello elettronico" della fine dell'asta on line, è diventata un caso molto oltre i confini della laguna, del Veneto e anche del nostro Paese, e promette di riservare ancora diverse sorprese.
Nelle mattine d'inverno a stento la si intravede da Malamocco, Poveglia, e il suo campanile è un tremolio nella nebbia. Ma nella buona stagione è lì, a due passi dalla riva: si possono contare le finestre vuote sull'edificio principale e si distingue perfettamente il basso "ottagono" fortificato dal profilo sfuggente che proteggeva lei e l'accesso a Venezia fin dal 1380, al tempo della guerra di Chioggia contro i genovesi. Una piccola isola oggi sotto i riflettori, e fino a ieri dimenticata dai più. Non, però – particolare importante – da quei veneziani che ancora hanno dimestichezza con l'acqua e hanno continuato, negli anni dell'abbandono, a raggiungerla coi loro barchini e a farne il luogo prediletto delle gite, delle "fughe" da ragazzi e delle grigliate della domenica, in pace e nel mezzo di una natura tornata rigogliosissima.
Apparire e scomparire sembra essere il destino ricorrente di Poveglia: ufficialmente abbandonata dagli anni Settanta con la chiusura di un ospedale per lungodegenti, costellata di orti e vigne utilizzati a lungo da molte famiglie e poi oggetto di piani di recupero tutti via via affondati, l'isola era stata precedentemente sede della quarantena marittima (finirono qui al tempo di Napoleone gli ultimi ammalati di peste, marinai di una nave turca), lazzaretto e cronicario. E prima ancora stazione marittima e caposaldo difensivo lungo il canale principale che dalla bocca di Malamocco portava al bacino di San Marco della laguna, dopo essere stata nei primi secoli di Venezia pieve con più di 1.000 abitanti.
L'ultima "apparizione" sembrava dover coincidere anche con la sua sparizione dalla lista delle mete possibili, o meglio: delle mete liberamente fruibili, perché il Demanio, impegnato a "mettere a valore" le sue risorse nel pieno della crisi aveva deciso di darla in concessione per 99 anni al migliore offerente, con un'asta telematica senza base e senza altra valutazione che la convenienza dell'offerta. Al vincitore sette ettari complessivi divisi in due isole principali da uno stretto canale, di cui una parte edificata, dominata dal campanile del 1500 e da diverse altre costruzioni, nella porzione a ridosso dell'"ottagono" di fronte a Malamocco, tutte in cattive condizioni, per oltre 40.000 metri cubi di cubatura utile, più una parte verde divisa fra ex orti e bosco vero e proprio. Un patrimonio storico e naturalistico incredibile nel pieno della laguna, a due passi da San Marco. Destinazione più probabile, un resort di lusso, con annesso parco.
Passata per un momento quasi inosservata, la notizia della vendita annunciata agli inizi di marzo ha cominciato però presto a diventare l'argomento di tutte le conversazioni, trasformandosi nella classica "goccia che fa traboccare il vaso"- dove il vaso è la sopportazione dei veneziani per la perdita e lo snaturamento, pezzo dopo pezzo e con un processo apparentemente ineluttabile, di un patrimonio sentito fortemente come comune. A innescare la scintilla è stata, letteralmente, una discussione fra amici al bar, dalla quale è uscita l'idea giusta, quella capace di coinvolgere: se non c'è base d'asta, perché non fare una sottoscrizione e partecipare concretamente, con un'offerta collettiva capace di bilanciare con il peso dei cittadini la forza d'urto dei grandi investitori che prevedibilmente si sarebbero fatti avanti?
Partita dalla Giudecca, la proposta ha toccato evidentemente nervi scoperti, e ha avuto successo oltre ogni previsione: tanto che la scommessa iniziale - raccogliere i 20.000 euro necessari per gli adempimenti burocratici e partecipare all'asta simbolicamente, per mettere l'amministrazione pubblica di fronte alle sue responsabilità con il paradosso di cittadini che si tassano per riacquistare a proprie spese ciò che, come cittadini, è già loro in quanto pubblico - si è trasformata rapidamente in una partecipazione vera. Con la doppia forza di un'offerta non simbolica ma di 160.000 euro nella prima fase, diventati in pochi giorni oltre 420.000 alla data della chiusura, e di un gruppo di lavoro capace di mettere in campo progetti di recupero e utilizzo improntati al rispetto della storia e dell'ambiente, alla massima fruizione pubblica e alla sostenibilità anche economica, grazie all'apporto di decine e decine di professionisti volontari e alla disponibilità raccolta da moltissime attività artigianali, produttive, ricreative.
Come è stato possibile? La chiave, a detta degli stessi promotori, sta in due concetti: fiducia reciproca e senso di responsabilità. L'associazione "Poveglia per tutti" con la sua campagna "99 euro (costo della quota minima) per 99 anni (la durata della concessione dell'isola al vincitore dell'asta) si è ingrandita fino a raccogliere ad oggi oltre 4.000 adesioni e a sviluppare una proposta articolata di gestione collettiva dell'isola grazie alla capacita di suddividersi in gruppi di lavoro via via più specifici ogni volta che sorgeva un nuovo aspetto da affrontare: dalla raccolta di fondi alle possibilità di recupero degli edifici, dalla ricerca di attività capaci di garantire la sostenibilità complessiva della gestione alla progettazione di orti e parco naturale per i cittadini nel rispetto dell'ambiente e della ricchissima fauna che si è insediata. Fino, ovviamente, ai meccanismi decisionali da mettere in campo per l'asta prima e per la gestione dell'isola poi. Meccanismi improntati a rendere effettiva la partecipazione e a distribuire le responsabilità, a partire dalle assemblee divise per "tavoli", per garantire decisioni ponderate con la possibilità per ognuno di prendere la parola, confrontarsi e far emergere le idee più convincenti.
Un processo di "democrazia partecipata" da manuale, insomma, che proprio per la concretezza e il reale coinvolgimento, testimoniato dai numeri e dalla quota non certo enorme, ma per nulla simbolica ha saputo mettere in moto un processo virtuoso - la "carta" che gli organizzatori sperano di poter opporre alla formale sconfitta nell'asta, che ha visto un imprenditore privato aggiudicarsi Poveglia per 513.000 euro. Manca ancora, infatti, il parere di congruità sulla cifra, e rimane la possibilità per il Comune di esercitare il diritto di prelazione. Una chance che l'amministrazione cittadina sembra ora intenzionata a sfruttare, complice il segnale fortissimo della mobilitazione dei cittadini e la disponibilità di un soggetto collettivo ad assumersi la gestione.
Comunque vada a finire, almeno due sono le novità da segnalare, e da tenere d'occhio per il futuro. Una capacità nuova di auto-organizzarsi da parte dei cittadini, anzitutto, assumendosi oneri e responsabilità in prima persona e ponendo un'alternativa, a fronte della cronica inefficienza del pubblico "così com'è" alla gestione puramente privata proposta dai canoni del liberismo. E, in secondo luogo, qualcosa di più sottile e affascinante: una nuova forma di cittadinanza, in prospettiva, che travalica i confini amministrativi e le modalità consuete, tutt'ora novecentesche, e si assume responsabilità concrete a misura della rete, delle relazioni e della partecipazione che questa rende possibile.
Ad essersi "dichiarati "Povegliotti" sono infatti per la metà veneziani, per la metà persone che, dall'Italia e dal resto del mondo, sono legate a Venezia, vogliono dire la loro e partecipare concretamente - e possono, grazie alla rete. Anche da lontano. Si è risvegliato, come è stato detto, lo spirito della cittadinanza in città, ma si è anche intravista una "città" più grande e aperta, fatta di persone che la amano e vogliono dare il loro contributo. Qualcosa che forse poteva nascere solo a Venezia, città che nella sua storia aveva cittadini sparsi in tutti i domini "da mar" e viveva sul mare molto più che sulla terra; e a partire dalla quale il concetto di "cosa pubblica" – res publica, in latino – sembra ora ritrovare un proprio terreno, e proprie rotte, nell'elemento liquido eppure concretissimo del web, che permette di riunire idee e agire collettivo. Una novità che difficilmente resterà confinata alla laguna.
Michele Ravagnolo