SOCIETÀ
Quell’insolita passione per il delitto

Lo studio televisivo della trasmissione "Chi l'ha visto". Foto: Tania/A3/Contrasto
Vogliamo saperne di più, vogliamo conoscere tutti i dettagli e i retroscena più scabrosi. Viviamo la cronaca di un crimine come fosse un episodio di CSI. E così i casi di Cogne - con l'indimenticabile plastico di Porta a Porta- e Novi Ligure, e i più recenti delitti di Avetrana, Perugia, Garlasco e Brembate si trasformano in uno spettacolo a cui è impossibile resistere. Negli ultimi anni, in televisione, si sono moltiplicate le trasmissioni che svelano segreti e invitano alla partecipazione di un pubblico detective. Da Profondo nero di Carlo Lucarelli a Quarto Grado, da Amore criminale allo storico Chi l’ha visto? che ora propone anche una striscia quotidiana all’ora di pranzo: “tanti programmi sui crimini, ma anche i crimini in tutti i programmi”.
Il crimine fa audience, alimentando la cosiddetta ‘televisione del dolore’ di cui, non troppo tempo fa, si occuparono anche Ordine dei giornalisti e Osservatorio di Pavia, realizzando una specifica ricerca: “Dentro la narrazione del dolore, la notizia si trasforma in storia – si legge - Una storia raccontata a puntate, che di volta in volta propone nuove rivelazioni, colpi di scena, scoperte, vere o presunte […] Il programma si attribuisce una funzione inquisitoria, il compito di indagare insieme al pubblico, accompagnato nei luoghi del delitto, a percorrere tragitti percorsi da vittime o sospetti di reato, ad analizzare prove, a conoscere protagonisti diretti e indiretti”.
Ma perché in Italia i crimini, messi in rilievo dai media, attraggono tanto l’attenzione e la curiosità? Qual è il motivo del successo dei film e delle serie televisive su questi argomenti? Cosa lega spettacolo e vita? Sulla questione ragiona da tempo Ilvo Diamanti, docente di Analisi dell’opinione pubblica all’Università di Urbino, protagonista del recente incontro Storie vere come fiction. E viceversa, organizzato dal master in Sceneggiatura Carlo Mazzacurati dell’università di Padova. “È semplice, la paura piace. E in Italia il delitto è una passione nazionale”, spiega. “Le storie vere quando vengono spettacolarizzate cambiano natura, diventano fiction. Ma quella fiction è realtà”. E Diamanti continua: “L’insicurezza è una moneta pregiata, dal punto di vista del consenso. Ma anche dell’audience”. Se poi al centro del crimine c’è la famiglia, il gioco è fatto: “Alcuni delitti vengono scelti più di altri: prima di tutti quelli legati alla famiglia, su cui è fondata la società italiana”.
In tempi di democrazia del pubblico, tra percezione e realtà, c’è un’altra riflessione da fare: in Italia, negli ultimi anni, gli omicidi sono diminuiti, ma è comunque cresciuto il senso di insicurezza. Perché? Perché la paura riempie i programmi tivù e la televisione resta il principale mezzo di informazione. Sempre secondo Diamanti, a commento del IX Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa, “le insicurezze che scuotono l’Italia hanno diverse chiavi di lettura. In primo luogo: la spettacolarizzazione della paura. La tendenza dei media a fare dei principali eventi violenti e inquietanti un motivo per intercettare e moltiplicare l’interesse delle persone. Perché la violenza genera paura. Ma, per questo, suscita attenzione. Soprattutto se è trasferita sui media. Se ci permette di assistere, da spettatori. Non come vittime o bersagli. Allora, la paura fa audience. E i crimini diventano argomento di inchieste, trasmissioni di genere. Fiction”.
Più si è soli, più ci si sente inquieti e più ci si nutre della paura che passa in tivù. Ha più paura chi non esce di casa perché teme per esempio ‘lo straniero’ e trascorre quindi, ogni giorno, oltre quattro ore davanti alla televisione: separata dal resto del mondo e senza relazioni (in questo senso i social network non aiutano ma, al contrario, favoriscono l’isolamento), la persona sola assiste volentieri alla cronaca del delitto quotidiano. “La solitudine è un moltiplicatore dell’angoscia” e l’insicurezza è dettata dalle rappresentazioni della realtà. C’è una relazione diretta tra informazione e stati d’animo. Ma, dunque, viene da chiedersi: c’è davvero differenza tra percezione e realtà? La risposta è no, perché se non esco di casa per paura, la solitudine e l’angoscia diventano la mia realtà. “Sulla base della percezione ognuno fa le proprie scelte”.
Francesca Boccaletto