SOCIETÀ

Un’idea di arte libera, oltre i confini

“Gli uccelli possono volare da un posto all’altro, a loro non interessano i confini. Quando migrano non si lasciano un confine alle spalle, possono sempre andare avanti e indietro. Il mio messaggio politico è questo: dovremmo eliminare i confini, ma questa è forse una speranza troppo grande”. Semaan Khawam è un illustratore siriano, esule in Libano. La sua storia incrocia quella del fotografo inglese Giles Duley nel documentario Shame and Soul, girato a Beirut nel gennaio 2017, prodotto da Fabrica e diretto da Marco Pavan, trevigiano, classe 1984, laureato all’università di Padova. “Io e Giles siamo andati a Beirut per incontrare Semaan – spiega Pavan – Ci eravamo scritti e sentiti per organizzare il viaggio, ma non ci eravamo mai visti prima. Abbiamo costruito il lavoro insieme, partendo da zero. È stato bello ed emozionante. Prima di raggiungere Semaan, siamo andati a trovare altri due artisti libanesi: Marwan Sahmarani e Tagreed Darghouth”. 

Duley e Khawam, Sahmarani e Darghouth sono presenti con le loro opere nelle collezioni di Imago Mundi, il progetto non profit di arte contemporanea promosso da Luciano Benetton, una mappa in divenire delle culture umane. Democratica, collettiva e globale. Dalla prima esposizione in occasione della Biennale di Venezia nel 2013, artisti di tutto il mondo, affermati ed emergenti, si stanno ancora oggi confrontando con una tela di 10x12 centimetri. Fino ad ora sono stati coinvolti 20.000 artisti, saranno oltre 26.000 entro la fine del 2017. Tutti partecipano in modo volontario e senza fini di lucro. Il risultato è un mosaico di storie in piccolo formato, sogni, azioni e contraddizioni per raccontare la complessità e la bellezza del mondo attraverso l’arte. 

In questo contesto si colloca l’incontro tra i due protagonisti del documentario breve prodotto da Fabrica e presentato in occasione di Rotte Mediterranee, esposizione che Imago Mundi ha portato a Palermo nelle scorse settimane e che ha raccolto le collezi.oni provenienti dai Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, crocevia millenario di genti e culture: 3500 opere dal Medio Oriente, con Palestina e Israele, Siria e Libano, alle coste dell’Africa, toccando Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, fino all’Europa, con Portogallo, Grecia e Turchia passando per Spagna, Francia e Italia, con i focus su Campania e Sicilia, per risalire infine percorrendo Albania, Montenegro, Croazia e Slovenia. Dallo scorso novembre e fino alla fine del 2018, inoltre, 21 collezioni da cinque continenti sono in tour in Cina: le opere di quasi 4.000 artisti sono ospitate in sedi museali, centri di cultura e università di 14 città cinesi. Sono le tappe recenti di un giro del mondo in nome dell’arte in cui si inserisce felicemente anche il lavoro di Marco Pavan. 

“Perché gli uccelli? – chiede Duley mentre ammira la serie Shame – Ne vedo molti nel tuo lavoro”. “Si tratta di un’idea di libertà – spiega l’artista siriano – Possono viaggiare nel mondo, non hanno confini”. Poi, però, aggiunge: “Ma sono davvero liberi? Alla fine, è tutto una grande gabbia, nessuno è libero. Nei miei dipinti è l’uomo che cade, come un uccello che precipita. Ti sembrerò matto, ma tengo sempre un uccello morto nel congelatore”, e dopo averlo mostrato a Duley, ospite nella sua casa di Beirut, Khawam se lo appoggia sulla testa. È l’autoritratto che ripropone nelle sue opere. “L’ho trovato, deve essere stato cacciato perché ci sono tracce di sangue”. Sono entrambi consapevoli che non sarà la loro arte a fermare una guerra, a impedire l’uccisione di un bambino, ma sanno anche quanto i media possano influenzare il punto di vista del mondo. Per questo documentare è fondamentale: quel che conta è arrivare anche a una sola persona, ispirarla. L’ultimo atto di questo incontro di anime e arte si consuma in un campo profughi nella valle della Bekaa dove Duley accompagna Khawam: l’obiettivo è incontrare i bambini siriani che vivono lì e proporre loro una giornata dedicata al disegno, affiancando le attività della Ong Beyond. Non è importante il risultato, spiega Duley, “ma il processo di creazione che dà libertà di esprimere quello che hanno vissuto”. Ed è qui che si realizza appieno il senso di Imago Mundi, nella creazione libera e condivisa che permette il superamento dei confini favorendo il dialogo tra le anime del mondo. Imago Mundi ha deciso di sostenere Semaan Khawam nella realizzazione di altri progetti artistici per i bambini del campo profughi.

Francesca Boccaletto

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