SOCIETÀ

Togliatti, il Napoli del calcio e il coronavirus

Era il 14 luglio del 1948 alle 11.45 quando il segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti uscendo da Montecitorio, si imbatté nello studente Antonio Pallante il quale gli sparò tre colpi di pistola. Portato d’urgenza al Policlinico di Roma, fu immediatamente operato. La notizia, diffusa anche da un’edizione straordinaria dell’”Unità” (direttore Pietro Ingrao), provocò immediate manifestazioni spontanee. Il timore della morte di Togliatti esasperò gli animi e fu lo stesso Togliatti, già nell’ambulanza, a raccomandare: “State calmi, non fate sciocchezze” rivolto ai suoi Luigi Longo e Pietro Secchia. 

Ma, si sa, la piazza era difficilmente controllabile; la notizia variamente interpretata lasciava temere il peggio. Anche perché alla radio e sulla stampa non si parlava e non scriveva d’altro. Sino a quando, il giorno dopo, le cose cominciarono a cambiare e l’attenzione popolare fu in buona parte distolta dall’attentato per spostarsi su un evento sportivo: la vittoria di Gino Bartali in un’importante tappa del Tour de France (il 25 vinse proprio il giro di Francia). Il bravo campione ormai 34enne, abbastanza inconsapevolmente, rubò gli onori della cronaca all’attentato. E non pochi hanno sostenuto che l’entusiasmo per questo risultato sportivo contribuì a distrarre i manifestanti da intenti di protesta e rivolta. Non solo i manifestanti, naturalmente, ma la comunicazione di massa servì in tal modo a calmare gli animi.

Era il 14 luglio che sino a quel momento i più ricordavano essenzialmente come anniversario della “presa della Bastiglia” il 14 luglio del 1789.

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È stato il 17 giugno del 2020 alle ore 23 il giorno in cui la squadra di calcio di Napoli della quale sono sincero tifoso, battendo la rivale Juventus ai calci di rigore (4 segnati contro 2 subiti), si dotò per la sesta volta nella sua storia della Coppa Italia.

Un trofeo che ha poco a che vedere con il molto più blasonato scudetto, ma che, comunque, specialmente nel momento post (?) Covid-19 in cui la partita è stata giocata e il risultato è stato ottenuto, ha coinvolto non solo i tifosi delle due squadre, ma l’intero ambiente calcistico e non solo italiano.

Che c’entra questa osservazione con quella iniziale dell’attentato a Togliatti?

C’entra perché è agevole trovare un’analogia tra i due eventi. Mercoledì sera 17 giugno immediatamente l’attenzione è stata concentrata sulla vittoria di una squadra “minore” su quella data per sicura favorita anche dai bookmakers. Un evento tale da scombinare giocatori, dirigenti e tifosi nelle loro aspettative. Aspettative di una sicura vittoria la cui mancanza, come dicevo, ha indotto i responsabili della comunicazione tele/radio/scritta a centrare l’attenzione sulla squadra soccombente e magari lasciandosi andare a considerazioni malauguratamente negative sul modo di allenare la squadra, sui calciatori, sui dirigenti. Allora? Niente di meglio che pescare e trovare qualche elemento di attenzione che consentisse di ribaltare questa attenzione su qualche fatto, meglio se negativo, riguardante l’altra squadra e i suoi sostenitori, la cui vittoria poteva così passare in second’ordine.

Nel caso dell’evento/partita Napoli-Juventus solo poche ore dopo la conclusione della partita l’attenzione si è andata progressivamente spostando e focalizzando sul comportamento di migliaia di supporter del Napoli i quali, uscendo dalle abitazioni (nelle quali, peraltro, in moltissimi avevano trascorso settimane e mesi in confinamento), si sono riversati nelle strade e concentrati nelle piazze inneggiando e abbracciandosi in segno di esultanza.

La piazza è sempre stato un punto di raccolta spontaneamente eletto a luogo di incontro in seguito ad eventi di qualunque tipo fossero. A Napoli ricordo la piazza del Plebiscito come attrattore di grandi folle dopo la vittoria del primo scudetto come, anni prima, in seguito alla potente scossa di terremoto del 23 novembre 1980.

E la piazza è anche il luogo dove partiti politici, sindacati e associazioni di vario tipo, rappresentanti interessi e aspirazioni, invitano i propri iscritti e simpatizzanti a riversarsi per manifestare: dissenso o consenso.

Nel nostro caso, però, c’è un problema rappresentato dal fatto che, vivendo in un periodo di pandemia da Covid-19, per evitarne l’ulteriore espansione si raccomanda di tenersi a distanza gli uni dagli altri per evitare che qualche portatore di virus possa contagiare il suo vicino e per effetto domino il vicino del vicino del vicino eccetera. Questa sacrosanta raccomandazione non è stata tenuta in conto dai manifestanti del 17 giugno (come era già accaduto in precedenti occasioni a Roma e Milano).

Il rischio della diffusione di un contagio potrebbe essersi corso a Napoli. Tanto che le scene di esultanza collettiva televiste in collegamento diretto e in reportage successivi, hanno richiamato l’attenzione dei mezzi di comunicazione che si sono ripetutamente soffermati su questo caso facendo scivolare in second’ordine la partita, il risultato, la sconfitta della Juventus, la vittoria del Napoli.

Perfino l’OMS è intervenuta definendo “sciagurati” quei tifosi che, affollando le piazze, si abbracciavano. E il direttore aggiunto dell'Organizzazione mondiale della sanità Ranieri Guerra, commentando l’accaduto ha dichiarato che: "Fa male vedere queste immagini. Ricordo quanto ha contato la partita dell'Atalanta all'inizio dell'epidemia in Lombardia nella diffusione dei contagi. Non vorrei che si ripetesse proprio ora, che il Comitato Tecnico Scientifico ha cercato di accogliere le proposte del Figc per non limitare del tutto il gioco del calcio, come da scienza e coscienza medica sarebbe suggerito".

Credo che da qui debba partire un’altra, più importante, riflessione.

A conclusione delle analogie che cercavo e trovato (?) tra i due eventi da cui sono partito e volendo – con non poco semplicismo, lo riconosco - sintetizzare, intendevo dire che gli assembramenti nelle piazze napoletane sono stati un po’ come Bartali con Togliatti: un motivo di distrazione di massa.

Tuttavia, il problema che considero più importante in queste considerazioni alle quali fa certamente velo il mio ruolo di tifoso contento, non è tanto il ruolo della informazione se e quando orientata a tutelare interessi di parte. 

Il problema è un altro molto più serio: al presente e in prospettiva di medio breve periodo.

Riflettiamo sulle preoccupazioni espresse dal dottor Guerra e chiediamoci: fermo restando che chi si preoccupa della possibile diffusione di un contagio ha certamente ragione. Ma chi ha organizzato in questo modo la ripresa del calcio giocato per soddisfare evidenti interessi anche extracalcistici che cosa immaginava? Che un eventuale contagio riguardasse solo una quarantina, (diciamo una cinquantina per non confondere con quarantena) fra giocatori arbitri e dirigenti? E i tifosi? Quelli che gioiranno delle vittorie della propria squadra se ne staranno a casa a giocare a carte? Qualcuno è deputato a fermarli se scendono in piazza a manifestare? 

Né vale solo per il calcio o altre manifestazioni sportive oggetto della tifoseria.

Quando personaggi politici di opposizione invitano all’uso della piazza per manifestare il dissenso o quelli governativi per far manifestare il consenso, come pensano di contenere la debordanza dei presenti e il pericolo di contagio?

Allora? È importante non distrarsi e non farsi distrarre dando il peso che meritano agli eventi di qualunque tipo considerando che in una non improvvisata graduatoria il bene comune “salute” dovrebbe occupare sempre il primo posto.

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