CULTURA

Piante e medicina: l'eredità di Dioscoride

“Di Dioscoride si sa davvero pochissimo. Si sa che è nato nel I secolo dopo Cristo, che è stato medico. Ma sebbene lui stesso dica di aver condotto la vita di un soldato, non è così certo che sia stato medico militare sotto l’impero di Claudio o di Nerone”. Forse con quelle parole, spiega Paolo Caputo direttore dell’Orto botanico di Napoli, voleva solo significare di aver condotto una “vita da zingaro”, di essersi spostato come medico in molta parte dell’impero romano. Eppure, nonostante i contorni sfumati del personaggio, di lui rimane un’opera monumentale, considerata almeno fino al XVIII secolo il più importante trattato sulle piante medicinali. Vero e proprio best seller, il De materia medica (Perì hyles iatrikès), scritto in greco probabilmente su papiro, ci è pervenuto grazie alle numerose trascrizioni elaborate a partire dall’alto medioevo e alle successive edizioni a stampa. Opere trattate con i guanti bianchi e gelosamente custodite, in alcuni esemplari, anche a Padova nella Biblioteca del Seminario, nella sezione antica della biblioteca medica “V. Pinali”, nella biblioteca dell’Orto Botanico. Un trattato ora disponibile anche in un facsimile di più agevole consultazione, edito da Aboca in collaborazione con l’università e la Biblioteca Nazionale di Napoli, con il titolo De materia medica. Il Dioscoride di Napoli. Alla riproduzione del Codex neapolitanus greco, il cosiddetto Dioscoride di Napoli, vengono affiancate la traduzione integrale italiana e 243 tavole botaniche moderne. 

Le piante, si sa, furono per lungo tempo l’unico rimedio terapeutico. “Il cammino verso la scienza medica è stato lungo e faticoso – sottolinea Alessandro Menghini in uno dei saggi che introducono  il volume –  In passato le strade percorse sono state difficili e improntate a un unico refrain terapeutico, il ricorso alla natura. Un tempo il medico si affidava a questa unica fonte di rimedi a sua disposizione, cercando di utilizzare il meglio di essa, cioè le piante reattive sul piano biologico, le più efficaci tra quelle che essa poteva offrirgli”. Su questa strada si deve ricordare Teofrasto (371-286 a.C) che, con la sua De historia plantarum, operò un vero e proprio lavoro di sistemazione organica del regno vegetale, proponendo una prima embrionale classificazione delle piante. Si dovranno tuttavia attendere almeno tre secoli per incontrare altre due figure di spicco come Plinio, grande naturalista e autore dell’opera dal titolo Naturalis historia, e Dioscoride appunto.  

Ciò che l’autore del De materia medica, scritto intorno agli anni Settanta del I secolo d.C., aveva ereditato dalla cultura greca era il metodo razionale, un modo di procedere che applicò non solo nella sua professione, ma anche nella stesura dell’opera. A farsi notare nel suo lavoro è proprio la chiarezza con cui l’autore sintetizza quasi tutte le conoscenze terapeutiche in possesso dell’uomo agli inizi del primo millennio, dando in questo modo “unità organica alle frammentarie informazioni fino ad allora legate a realtà geografiche diverse”. Le fonti erano i medici che lo avevano preceduto, ma sul risultato finale influì anche la sua personale esperienza di medico e la conoscenza diretta delle erbe medicinali. Non senza tener conto della tradizione popolare sull’argomento. I numeri danno un’idea dell’imponenza dello sforzo: cinque libri, 827 capitoli che trattano in larga parte di piante medicinali, ma anche di prodotti di origine animale e minerale. Complessivamente un migliaio di rimedi medicinali per più di 4.000 applicazioni terapeutiche differenti, per fornire agli “operatori della salute” uno strumento pratico per scegliere la terapia di volta in volta necessaria. Aromi, olii, semi, frutti, piante aromatiche, arbusti, funghi, vini, metalli sono solo alcuni degli elementi descritti. Dioscoride aveva concepito un manuale descrittivo, ordinato per principio curativo. “Certo, non poteva avere idea di cosa fosse un principio attivo o un composto chimico – puntualizza Caputo – ma era consapevole del fatto che le piante avevano delle proprietà sensoriali, al gusto, al tatto e all’olfatto, e che venivano utilizzate per curare tipi di malattie differenti. E dunque le raggruppò per similarità”. Ciò di cui l’opera mancava, invece, era quasi sicuramente l’apparato iconografico. Le illustrazioni. 

A pensarci tuttavia fu chi, nei secoli seguenti, riprese in mano l’opera e la trascrisse, o forse sarebbe meglio dire la “reinterpretò”. Come nel caso dei due codici illustrati più antichi, conservati a Vienna (Codex Aniciae Julianae o Codice di Vienna) e a Napoli. Si tratta, nell’ambito della tradizione manoscritta dioscoridea, di erbari concepiti diversamente dall’originale, in cui viene estrapolata solamente la materia botanica e riorganizzata in ordine alfabetico. Le illustrazioni impreziosiscono il libro, lo rendono un oggetto da “biblioteca importante” e vengono in aiuto di chi non possiede quel sapere tecnico cui il libro fa riferimento. E aprono la strada alla diffusione dell’opera di Dioscoride tra un pubblico colto anche se di non addetti ai lavori. “Un erbario illustrato – sottolineano Caputo e il suo gruppo – era ben degno di una principessa… Di certo non avrebbe sfigurato nella biblioteca di un patrizio o di un intellettuale dell’esarcato di Ravenna o di altra zona bizantina d’Italia, per il quale di recente si è supposto sia stato miniato e scritto, tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, il … Napoletano”. 

La diffusione dell’opera dioscoridea fu molto ampia. Pietro D’Abano fu il primo a tradurla in latino. La prima edizione a stampa risale invece al 1499 e fu curata da Aldo Manuzio. Pietro Andrea Mattioli nel 1544 pubblicò la principale traduzione italiana dell’opera di Dioscoride (Di Pedacio Dioscoride Anarzabeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana), dando un grosso contributo alla classificazione moderna delle piante. 

Valentino Mercati sottolinea in particolare come il De materia medica per la medicina dell’epoca abbia aperto le frontiere del “modernismo, grazie al concetto di classe terapeutica e d’efficacia”, al punto da poter essere paragonato per quei tempi a un trattato scientifico moderno. “Divenne infatti – conclude – un best seller di enorme successo e di alto prestigio formativo: non c’è libro che nella storia della medicina che abbia avuto maggior credito in fatto di medicamenti”. 

Monica Panetto

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