SCIENZA E RICERCA

Piante con nomi problematici tra eredità coloniale e dibattito tassonomico

Erythrina è un genere di piante che comprende oltre centotrenta diverse specie che vivono nelle zone tropicali. Sono soprattutto alberi e arbusti, in alcuni casi molto apprezzati come piante ornamentali. Una di queste specie è molto diffusa in Sudafrica. Si tratta di Erythrina caffra e i suoi fiori colorati tra l’arancio e il rosso spiegano perché il nome popolare di alcune specie di Erythrina sia ‘albero del corallo’.

Negli ultimi tempi, però, il nome della specie, caffra, ha cominciato a provocare sempre più problemi. Il nome, infatti, deriva dall’arabo ‘kaffir’ che indicava anticamente i non fedeli musulmani. Nel corso dei secoli il termine, soprattutto nella traslitterazione ‘cafri’, ha preso sempre più un’accezione negativa e razzista per indicare le persone africane nere, in particolare quelle che vivono nell’Africa orientale. In Sudafrica, la parola è talmente problematica che non la si usa mai direttamente, ma ci si riferisce alla ‘K-word’, analogamente a quanto avviene negli Stati Uniti con la ‘N-word’.

In botanica, in circa duecento casi venivano usate diverse forme della parola ‘caffra’ per indicare le specie. Ma dal 27 luglio 2024 non è più così, in seguito al passaggio di una proposta durante il XX Congresso Internazionale di Botanica che si è tenuto a Madrid, in Spagna. La proposta, portata avanti da Gideon Smith e da Estrela Figueiredo della Nelson Mandela University (NMU) in Gqeberha, in Sudafrica, è passata  - secondo quanto riportato da Nature - con 351 voti a favore e 205 contrari. “Ma non si tratta di un rigetto dei nomi”, spiega il direttore dell’Orto e del Museo Botanico dell’Università di Pisa Lorenzo Peruzzi, “ma di un'ingegnosa proposta di correzione ortografica”. Al posto di ‘caffra’ si userà d’ora in poi il termine ‘affra’ e i suoi derivati come indicazione di Africa. Tecnicamente, quindi, le circa duecento specie interessate non avranno un nome diverso, ma una correzione, come se l’uso della parola dispregiativa fosse stato un errore ortografico. “Di fatto i nomi rimarranno gli stessi, tranne due o tre casi complicati che devono essere risolti a parte”, continua Peruzzi che ha partecipato al Congresso di Madrid e ha avuto la delega per votare anche a nome dell’Erbario dell’Università di Padova.

Altri nomi problematici

La proposta di Smith ed Estrela era però solo una delle oltre 430 che sono state discusse durante la settimana di lavori, “in un clima di grande apertura e scambio, come se fosse l’incontro di una grande famiglia”, commenta Peruzzi. Ciononostante, questo voto specifico non è stato condotto per alzata di mano, ma in segreto. Temi che riguardano l’eredità coloniale della nomenclatura botanica sono sempre più discussi all’interno e all’esterno della comunità di riferimento. Ne è un esempio un’altra proposta discussa a Madrid e molto chiacchierata anche dai media internazionali. Si trattava dell’eliminazione di parole considerate denigratorie da un gruppo di persone dai nomi delle specie. “Uno dei problemi di questa proposta era la sua retroattività”, commenta Peruzzi, “con una vera e propria richiesta di rigetto di una serie di nomi”. Si tratta di piante, alghe o funghi, che sono state dedicate a personalità importanti all’epoca della scoperta, come per esempio lo schiavista inglese George Hibbert vissuto a cavaliere tra Sette e Ottocento che nel 1789 a Londra tenne un discorso intitolato “La tratta degli schiavi è indispensabile”. Appassionato di botanica e membro della Società Linneana, con i proventi della tratta ha finanziato diverse spedizioni botaniche, ricavandone in cambio addirittura il nome di un genere di piante (Hibbertia).

Questa mozione non è stata accolta, anzi è stata molto discussa. Un risultato del dibattito è che con le nuove regole della nomenclatura non è possibile utilizzare come nomi parole che un gruppo di persone ritiene dispregiativo. Ma questo non riguarda i nomi di persona. “Escludere la possibilità di usare i nomi di persona per le specie nuove”, continua Peruzzi, “sarebbe stata una significativa limitazione della libertà dei botanici di dedicare una specie al proprio maestro”. Il riferimento è una proposta che è apparsa sulle pagine di Nature Ecology and Evolution che suggeriva di eliminare in toto la possibilità di usare nomi di persona.

Politica e scienza

In ogni caso, non è stato creato il comitato permanente che era stato proposto per queste questioni, ma si è allargata ai termini ritenuti dispregiativi la possibilità da parte di uno studioso o di una studiosa di chiedere il rigetto del nome di una nuova specie. “Quello che invece è stato accettato è la costituzione di un comitato temporaneo”, racconta Peruzzi, “con lo scopo ancor più ampio di elaborare una serie di proposte sull’etica della nomenclatura”. Queste proposte saranno poi discusse al prossimo Congresso che si terrà nel 2029 a Cape Town, in Sudafrica.

Su questi temi, Peruzzi è anche uno degli oltre millecinquecento firmatari di un appello pubblicato a giugno scorso che chiede di non modificare la nomenclatura perché a rischio di intaccare i quattro valori fondamentali che ha, ovvero universalità, stabilità, neutralità e transculturalità. Sulla neutralità, però, sembrano nascondersi le maggiori difficoltà. “Però lo dice anche il preambolo del codice internazionale per la nomenclatura botanica: i nomi delle piante non hanno nessun significato politico, ma servono solo per indicare in modo univoco una specie”, dice Peruzzi. Il riferimento è all’International Code of Botanical Nomenclature (ICBN), in cui si legge che “lo scopo di dare un nome ad un gruppo tassonomico non è quello di indicarne i caratteri o la storia, ma di fornire un mezzo per riferirsi a esso e indicarne il rango tassonomico”. Sicuramente, come sostiene Peruzzi, e con lui una parte della comunità botanica internazionale, queste discussioni a Madrid hanno dimostrato che “la botanica non è indifferente a questi temi”. Anzi, con il caso di ‘caffra’ ha anche dato un esempio concreto di azione. Certo non è facile, o forse non è proprio possibile, tenere completamente fuori la politica dalla scienza. Se ne riparlerà sicuramente anche prima del Congresso di Cape Town.

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