SCIENZA E RICERCA

Più obesi che sottopeso. E il diabete aumenta

Più persone obese che sottopeso oggi rispetto a 40 anni fa, quando invece i secondi doppiavano i primi. Sono gli esiti di una tendenza che vede l’obesità decisamente in aumento a livello mondiale. Con tutte le conseguenze che ne possono derivare, dalle malattie cardiovascolari, ai disordini muscolo-scheletrici, fino (non ultimo) al diabete. A sostenerlo è uno studio pubblicato su The Lancet dalla Non-Communicable Disease Risk Factor Collaboration (NCD-RisC), un network internazionale che ha visto coinvolta anche l’università di Padova. 

L’indagine prende in esame un campione di oltre 19 milioni di persone, dai 18 anni di età in su, nel periodo compreso tra il 1975 e il 2014 e valuta l’andamento dell’indice di massa corporea. Secondo i calcoli degli scienziati nel 1975 nel mondo soffrivano di obesità (avevano cioè un indice di massa corporea uguale o superiore a 30 kg/m2) 34 milioni di uomini e 71 milioni di donne, oggi rispettivamente 266 e 375 milioni. Di questi ultimi poi, 58 milioni di uomini e 126 milioni di donne sono gravemente obesi (cioè con un indice di massa corporea uguale o superiore a 35 kg/m2). Il 18% degli adulti con problemi di obesità si colloca nei Paesi ad alto reddito di lingua inglese.  

Rispetto a un tempo cambia la geografia degli Stati con il maggior numero di individui obesi. Nel 2014, ad esempio, è la Cina in cima alla classifica mondiale, lasciando gli Stati Uniti al secondo posto.  Stesse considerazioni per i casi di obesità grave. Se nel 1975 erano gli Stati Uniti, la Russia, la Germania, il Regno Unito e la Polonia ad avere il numero maggiore di individui con questo problema (considerando in questo caso gli uomini), a distanza di 40 anni, pur trovandosi gli Usa sempre in testa, sono la Cina, il Messico, la Russia e il Brasile a occupare i  vertici della classifica. Tendenza che si registra anche tra le donne. “Il benessere, soprattutto nelle società in via di sviluppo, comporta un aumento del peso corporeo – spiega Enzo Manzato, docente del dipartimento di Medicina dell’università di Padova e membro del gruppo di lavoro internazionale con Sabina Zanon –. Nelle società post-industrializzate l’istruzione e la cultura rendono la popolazione consapevole del fatto che l’aumento di peso corporeo nuoce alla salute e dunque, nonostante le disponibilità economiche non manchino, i cittadini controllano il proprio stile di vita. Alle nazioni invece che si affacciano al benessere economico manca ancora questa consapevolezza e ciò si traduce spesso in alimentazione eccessiva, scorretta e minore movimento fisico”.  

In questo contesto l’Italia fa (apparentemente) la sua bella figura: se nel 1975 occupava il quinto e sesto posto nel novero dei Paesi con il numero maggiore di donne e uomini obesi, nel 2014 scende rispettivamente in termini assoluti al quattordicesimo e nono posto. La situazione in realtà non è così rosea se si guarda ai dati nazionali, dato che negli ultimi 30 anni i soggetti con obesità nel nostro Paese sono costantemente aumentati, passando dal 10% al 20%. Non si assiste dunque a un miglioramento della situazione in Italia, quanto piuttosto a un peggioramento in altri Paesi. 

Negli ultimi 40 anni, sottolineano gli autori dello studio, si è passati da una società in cui le persone sottopeso erano più del doppio degli obesi, a una in cui al contrario i soggetti che soffrono di obesità hanno superato quelli sottopeso. A eccezione di una parte dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia, dove il problema del sottopeso è presente oggi come nel 1975 e rimane un’emergenza di salute pubblica. “Così come sono aumentate le diseguaglianze economiche a livello mondiale – osserva George Davey Smith in un articolo a commento dello studio – allo stesso modo esistono diseguaglianze nel peso corporeo”.  

Gli autori dello studio concludono che, se nei prossimi anni questo andamento rimarrà invariato, entro il 2025 la prevalenza dell’obesità a livello mondiale toccherà punte del 18% negli uomini e supererà il 21% nelle donne. In pratica, circa una persona su cinque potrebbe essere obesa, con tutte le conseguenze che ne derivano sulla salute dell’uomo, dato che l’obesità è un fattore di rischio per molte patologie. Non a caso a distanza di pochi giorni da questo articolo, The Lancet ne pubblica un secondo che illustra la diffusione del diabete a livello mondiale e mostra relazioni significative con i dati ottenuti dalla prima indagine. La ricerca, condotta ancora dal Non-Communicable Disease Risk Factor Collaboration e a cui Padova ha contribuito, ha preso in esame un campione di oltre quattro milioni di adulti dai 18 anni di età in su, in un arco temporale che va dal 1980 al 2014. Risultato: nel corso di 35 anni la prevalenza del diabete (standardizzata per età) è aumentata dal 4% al 9% negli uomini e dal 5% all’8% nelle donne. In pratica, secondo i calcoli, a livello mondiale si è passati da 108 milioni di persone che soffrivano della patologia ai 422 milioni di oggi. Nel 2014 metà degli adulti con diabete vivono in cinque Paesi: Cina, India, Stati Uniti, Brasile e Indonesia. “I Paesi a basso e medio reddito, come Indonesia, Pakistan, Messico ed Egitto – sottolineano gli autori – hanno sostituito Stati europei come Germania, Ucraina, Italia e Regno Unito nella lista delle dieci nazioni con il maggior numero di persone con diabete”. Anche in questo caso non ci sono buone notizie per l’Italia. Sebbene infatti il nostro Paese in termini assoluti sia sceso nella classifica mondiale dal nono al sedicesimo posto, il numero di diabetici è raddoppiato. “Una incidenza – osserva Manzato sulla base anche dei risultati del Progetto veneto anziani con cui ha contribuito alla ricerca internazionale – che rischia di avere un importante costo economico, legato alle complicanze della malattia, che potrebbe diventare nel giro di poco tempo insopportabile per la società”. 

L’aumento dell’obesità a livello mondiale è certamente una delle cause che concorrono a spiegare i risultati ottenuti nel corso dei questa seconda indagine, ma a incidere sull’aumento nella diffusione del diabete sono anche fattori di altro tipo e su tutti l’allungamento della vita media con tutte le patologie tipiche che la terza età porta con sé. Tra queste, appunto, il diabete di cui gli anziani soffrono in misura maggiore rispetto ai giovani. 

Monica Panetto

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