SCIENZA E RICERCA

Plutone e gli altri: un anno “spaziale”

Non sono affatto giorni tranquilli questi per chi studia lo spazio e per più di una ragione. New Horizons, la sonda della Nasa, nelle ultime ore ha sorvolato Plutone, l’unico pianeta ai confini del sistema solare a non essere ancora stato raggiunto dall’uomo. Pochi giorni fa il lander Philae, in seguito al “risveglio” del 24 giugno sulla cometa 67P/Churyumov Gerasimenko, ha di nuovo ristabilito le comunicazioni con Rosetta. E ancora, dopo aver tenuto tutti col fiato sospeso per un’anomalia nel sistema di controllo del suo orientamento, un’altra sonda della Nasa, Dawn, ha ripreso l’esplorazione del pianeta nano Cerere. “Si tratta di missioni che stanno rivoluzionando le nostre conoscenze sul sistema solare”, commenta Cesare Barbieri, uno dei referenti scientifici della missione spaziale europea Rosetta. In quasi 70 anni infatti sonde senza equipaggio hanno raggiunto tutti i pianeti del sistema solare, ma anche comete e asteroidi, i rover hanno esplorato la Luna e Marte, sono stati lanciati nello spazio osservatori come il telescopio Hubble, eppure il lavoro da fare è ancora molto.   

Adesso anche su Plutone si saprà qualcosa in più, grazie a un viaggio durato più di nove anni e con quasi 5 miliardi di chilometri percorsi. Dopo aver raggiunto la distanza minima di circa 12.500 chilometri dal pianeta, la sonda New Horizons, che questa notte ha “chiamato a casa” per avvisare sulla buona riuscita dello storico incontro, sta ora continuando il suo viaggio nella fascia di Kuiper per esplorare i confini del Sistema solare. E nonostante gli scienziati abbiano il loro bel da fare a esaminare i dati che via via stanno acquisendo, i primi risultati si dimostrano già interessanti. Innanzitutto un pianeta dall’aspetto rossastro, Plutone (come gli astronomi ai aspettavano), con un diametro di 2.370 chilometri, il 18,5% rispetto a quello della Terra, e una sua atmosfera. L’interno è in gran parte roccioso, mentre sulla superficie si osservano zone più chiare e più scure, elementi lineari e aree circolari che potrebbero essere scogliere e crateri. E si è trovato ghiaccio, a conferma di precedenti ipotesi, come il ghiaccio di azoto, ma anche metano e monossido di carbonio. In coppia con Plutone si è visto Caronte, il satellite più grande dei cinque presenti. “Una coppia affascinante” li definisce la Nasa, due mondi ghiacciati che girano intorno a un comune centro gravitazionale, come “due pattinatori che si stringono le mani”. Con un diametro di 1.208 chilometri (il 9,5% rispetto a quello della Terra), è costituito al suo interno in ugual misura da roccia e ghiaccio, mentre la superficie è piena di voragini e crateri. Il più pronunciato di questi si trova nell’emisfero sud ed è più lungo e profondo del Grand Canyon sulla Terra. Quella di Plutone è una storia recente ed evidentemente ancora da scrivere, iniziata nel 1930 quando l’astronomo americano Clyde Tombaugh scoprì il pianeta.

Allo stesso modo, ma su un altro fronte, si sta muovendo Rosetta. Il 9 luglio è arrivato un secondo segnale dal lander Philae. I dati, durante una connessione ininterrotta di 12 minuti, sono stati trasmessi dal Comet Nucleus Sounding Experiment by Radiowave Transmission. “Si tratta di un radar che consente di fare quasi una tomografia alla cometa – spiega Barbieri – Le onde attraversano il nucleo e permettono di capire com’è composto il suo interno. Ciò che si spera è che la trasmissione possa riprendere al più presto”. Intanto, gli occhi di Rosetta continuano a osservare. Osiris infatti sta acquisendo immagini pur a una distanza maggiore rispetto a quella stabilita. “I grani di polvere – spiega Barbieri – ingannano i sensori di assetto e vengono scambiati per stelle. Sono infatti molto illuminati dal Sole, molto brillanti e Rosetta insegue i grani anziché stare fissa sulla cometa”. La distanza di Rosetta in questo momento è di circa 180 chilometri. “Stiamo cercando di avvicinarci, ma l’impresa risulta difficile anche perché la missione potrebbe essere messa in pericolo”. Ragione che spinge il gruppo di ricerca alla cautela. L’indagine, che sta cercando di rispondere a domande importanti sul Sistema solare, sulla sua origine ed evoluzione e sul ruolo che in tutto questo hanno giocato le comete, è stata prolungata fino a settembre 2016. “L’Esa finanzierà l’estensione della missione per ulteriori nove mesi – sottolinea Barbieri – In questo modo potremo osservare la cometa via via che “si accende”, quando giungerà al perielio (la distanza minima dal Sole Ndr) il 13 agosto, ma potremo esaminare anche tutta la fase di spegnimento al di là dell’orbita di Marte”.

E infine, sotto i riflettori in questo momento c’è anche Cerere, un pianeta nano “agganciato” dalla sonda Dawn della Nasa solo qualche mese fa. Nel giro di poco tempo tuttavia, e nonostante il recente blackout della strumentazione, sono già stati rilevati molti elementi che caratterizzano la superficie del pianeta come rilievi, crateri e macchie luminose. Lanciata nel 2007, Dawn è stata la prima sonda a orbitare intorno a due corpi del Sistema solare nel corso di un unico viaggio, se si considera che nel 2011-2012 fu la volta dell’asteroide Vesta. Si tratta di una missione che l’Agenzia spaziale italiana definisce “a cavallo tra l’esplorazione del Sistema solare interno roccioso e del Sistema solare esterno gassoso” e che in particolare consentirà di comprendere meglio “il ruolo e l’importanza dell’acqua nell’evoluzione planetaria”. È un viaggio agli inizi del Sistema solare, cui l’Italia partecipa, che pone tra i suoi obiettivi anche quello di approfondire le conoscenze sul processo di formazione dei pianeti terrestri. 

Monica Panetto

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