CULTURA

Il Polesine, l’altrove del cinema italiano

Nell’immaginario del cinema italiano il Delta del Po è un altrove “privo di tutto, però autosufficiente, abitato da un’umanità che afferma, in ogni momento, la propria diversità”, per usare le parole di Gian Piero Brunetta, già docente di Storia e critica del cinema all’università di Padova. “Un paesaggio incontaminato – precisa -, ideale per aprire lo sguardo a modi inediti di rappresentazione della realtà, per avvicinarsi a uomini e cose al livello più basso della piramide sociale e aprirsi a dimensioni che hanno a che fare con l’invisibile, il mistero, il sogno, il fantastico”. È un luogo che “non esiste”, la sua “esattezza geografica non è che un’illusione”, raccontava lo scrittore Gian Antonio Cibotto, autore di Scano Boa (la lingua di sabbia che separa il fiume dal mare Adriatico), un romanzo portato al cinema nel 1961 da Renato Dall’Ara, con lo stesso titolo. “Io al cinema non ho mai visto il Delta – scriveva Cibotto - il cinema cerca di trasformarlo in un racconto. No, il Delta inventa lui. Tu sei là, e lo guardi incantato”.

 

“Notizie dal mondo o dal Po?”.

“ Dal Po, che del mondo non ce ne frega niente”

(dal film Scano Boa)

 

Carlo Mazzacurati lo definiva una pagina bianca su cui scrivere nuove storie e disegnare altri scenari, realizzando produzioni indipendenti sganciate dalle dinamiche del cinema mainstream. Il Polesine è un territorio dell’anima, “un modo di stare al mondo”, diceva il regista padovano che aveva scelto quei luoghi per il suo primo lungometraggio Notte italiana (1987), e poi per Il Toro (1994), L’estate di Davide (1998) e La giusta distanza (2007). E proprio La giusta distanza si apre attraversando il paesaggio: un pullman blu segue strade che costeggiano argini, sfiorano poche case e un’aria densa che è madre di tutte le nebbie, fino all’arrivo di una giovane maestra in un piccolo paese lontano da tutto. Se dovessimo realizzare un film per raccontare la mostra Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi, curata da Alberto Barbera (fino all’1 luglio a Palazzo Roverella, Rovigo), potremmo forse scegliere questa immagine, il viaggio seguito dall’alto, per iniziare a disegnare il Polesine partendo dal colore del suo vestito fatto di terra e acque, canneti e lembi di sabbia, acquitrini e valli da pesca.

Michelangelo Antonioni Deserto rosso Reporters Associati Archivi.jpg

Tra foto di scena e di set, manifesti e locandine, documenti originali e sequenze di film, il percorso espositivo di Palazzo Roverella inizia con Michelangelo Antonioni e il suo documentario Gente del Po, progetto del 1939 ripreso dopo la guerra, nel 1947, privato dei quattro quinti del girato. E il Delta ospita altri film del regista ferrarese: da Il grido (1957) a Deserto Rosso (1964), fino ad Al di là delle nuvole (1995). Negli stessi anni, altri registi scelgono il Polesine per ambientare le loro storie: nel 1938 Corrado D’Errico gira L’argine, film che contrappone, per la prima volta, la vita della gente povera e genuina del Delta a quella lussuosa e poco autentica di chi vive nella Capitale. Nel 1942 Luchino Visconti sceglie di ambientarvi Ossessione, nell’immediato dopoguerra Roberto Rossellini gira l’episodio conclusivo di Paisà (1946), il più bello e intenso tra i sei che costituiscono l’intera opera. Partendo da una sceneggiatura scritta con Antonioni, nel 1947, Giuseppe De Santis firma Caccia tragica e nel 1948 tocca a Il mulino del Po di Alberto Lattuada. Nel 1954 il grande fiume è testimone della consacrazione della diva per eccellenza, Sophia Loren, prorompente protagonista appena ventenne de La donna del fiume di Mario Soldati. Nel 1956 King Vidor sceglie il Delta per girare alcune scene di Guerra e pace, con lui (o meglio, con la troupe diretta da Mario Soldati che realizzò quelle immagini) il Po si trasforma in un fiume russo. E così, saltando da un film all’altro, da un’epoca all’altra, attraversando il tempo, le storie e i volti di attori come Monica Vitti, Ugo Tognazzi e persino Audrey Hepburn, si arriva al Polesine di oggi, raccontato con maestria dal già citato Mazzacurati o attraversato da Marco Tullio Giordana in una sequenza di Sanguepazzo (2008), girata a Taglio di Po ma presentata come campagna milanese, ma ancor prima da Pupi Avati che, nella Casa delle finestre che ridono (1976), trasforma l’apparente anima innocua e dimessa della Bassa Padana nell’inquietante teatro di un horror. Come King Vidor e Marco Tullio Giordana, altri autori scelgono il Delta come location per film ambientati altrove: da I cammelli di Giuseppe Bertolucci (1988) ad Agata e la tempesta di Silvio Soldini (2004), passando per Barnabo delle montagne di Mario Brenta (1994) e Lascia perdere, Johnny! di Fabrizio Bentivoglio (2004), La prima linea di Renato De Maria (2009) e il recente Made in Italy di Luciano Ligabue (2018).

Carlo Mazzacurati - La giusta distanza

“Il Polesine trova il suo primo vero spazio nell’immaginario cinematografico dagli anni di guerra e lo fa grazie alla confluenza contemporanea di più sguardi – spiega Brunetta nel bel saggio contenuto nel catalogo della mostra -, regalando subito la rappresentazione di un mondo attraverso alcune memorabili scene madri, ma soprattutto mescolando nel tempo medio-lungo tasselli d’autore, Visconti, Antonioni, Rossellini, Vancini, Soldati, Dall’Ara, Mingozzi, Avati, Mazzacurati, a immagini di documentari e cinegiornali di grande potenza espressiva, capaci di declinare molti registri, dal tragico all’epico, dal melodrammatico al fantastico, soprattutto dall’indomani dell’inondazione del Po del 1951”. E Brunetta continua: “[…] Un mondo parallelo soggetto a forze ingovernabili, che ne potrebbero segnare improvvisamente la fine. Un territorio bello e terribile per la natura selvaggia e poco ospitale, per il senso di piattezza e desolazione, e anche per il senso di infinito che trasmette alla vista, con un aspetto rimasto intatto nel tempo nelle sue caratteristiche ambientali e paesaggistiche”.

Francesca Boccaletto

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